CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - ORDINANZA 29 agosto 2024 N. 23361
Massima
In tema di immissioni acustiche provenienti da aree pubbliche, appartiene alla giurisdizione ordinaria la controversia avente ad oggetto la domanda, proposta da cittadini residenti nelle zone interessate, di condanna della P.A. a provvedere, con tutte le misure adeguate, all'eliminazione o alla riduzione nei limiti della soglia di tollerabilità delle immissioni nocive, oltre che al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, patiti, atteso che l'inosservanza da parte della P.A. delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario non solo per conseguire la condanna della P.A. al risarcimento dei danni, ma anche per ottenerne la condanna ad un facere, tale domanda non investendo scelte ed atti autoritativi della P.A., ma un’attività soggetta al principio del neminem laedere (Cass. Sez. U. n. 21993 del 12/10/2020, Rv. 659163–01; v. anche Cass., Sez. 2, 12/11/2018, n. 28893)
Casus Decisus
1. L’ANAS ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 354/23, del 21 aprile 2023, della Corte d’appello di Bologna, che – respingendone il gravame avverso la sentenza n. 1062/19, dell’11 dicembre 2019, del Tribunale di Forlì – ha confermato il parziale accoglimento della domanda proposta da Marta F. e altri quarantadue tra proprietari o eredi di immobili ubicati in prossimità della strada E45, nello specifico la S.S. 3-bis Tiberina, e dunque la condanna della predetta società ad installare, nel tratto stradale prospiciente la proprietà privata dei già attori, delle barriere antirumore, nonché a corrispondere, a ciascuno, un indennizzo annuo di € 15.000,00. 2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di essere stata convenuta in giudizio dai soggetti meglio identificati in epigrafe, i quali lamentavano illegittime immissioni rumorose, non tollerabili, in ragione dell’elevato traffico veicolare sul tratto di strada in questione. Gli attori proponevano domanda di eliminazione delle immissioni acustiche, nonché di risarcimento dei danni e, in ogni caso, di liquidazione dell’indennizzo ex art. 844, comma 2, cod. civ., a fronte della quale la convenuta, nel contestare ogni loro pretesa, in particolare deduceva – per quanto qui ancora di interesse – “la presenza di un piano nazionale di contenimento e abbattimento del rumore, ossia un piano pluriennale di risanamento, che includeva la aree oggetto di discussione prevedendo la realizzazione di una pavimentazione fonoassorbente, da realizzarsi nel tempo e secondo le priorità e i criteri previsti dalla legge, in base anche alle assegnazioni finanziarie, dato l’impegno complessivo per ANAS pari ad almeno 1,679 MLN €”. L’adito giudicante, all’esito dell’istruttoria – nel corso della quale si procedeva anche allo svolgimento di consulenza tecnica d’ufficio – accoglieva la domanda nei termini sopra indicati, indicando, sulla scorta dell’indagine tecnica espletata dall’ausiliario, “la tipologia di intervento da fare nel tratto di superstrada oggetto di accertamento”, vale a dire l’installazione di “barriere dirette a mitigare il rumore proveniente dall’alta circolazione veicolare in orari diurni e notturni”. Esperiva gravame la convenuta, lamentando, in particolare, come “il giudice di primo grado si fosse ingerito nella valutazione discrezionale riservata alla Pubblica Amministrazione sulla modalità di abbattimento del rumore, già oggetto di un piano nazionale di opere infrastrutturali volte a contenere le immissioni acustiche cagionate dal traffico veicolare”, individuate “per le aree in questione nella posa di asfalto fonoassorbente da eseguire secondo l’indice di priorità stabilito dal piano”. Nondimeno, il giudice d’appello respingeva il mezzo, osservando come ANAS avesse “già programmato la posa delle barriere acustiche stradali per cinquecentocinquanta metri lineari della corsia Sud nel tratto E 45”, essendosi, poi, “determinata ad estendere l’opera nel tratto viario interessato dalle abitazioni degli appellati”, fermo, però, restando che “il protratto inquinamento acustico è di per sé indice dell’eccesso di potere e della violazione di legge della Pubblica Amministrazione, la cui discrezionalità è esercitabile fin quando assicura il raggiungimento dello scopo che è tenuto a perseguire e che, nel caso de quo, non ha realizzato”. 3. Avverso la sentenza della Corte felsinea ha proposto ricorso per cassazione l’ANAS, sulla base – come detto – di tre motivi. 3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Assume, infatti, la ricorrente che il giudice d’appello avrebbe omesso di considerare la “sussistenza, nel Piano Nazionale di Contenimento ed Abbattimento del Rumore (o anche PNCAR), che si occupava, a livello, appunto, nazionale, delle opere infrastrutturali necessarie per contenere immissioni rumorose provenienti dall’intera rete stradale, di uno specifico intervento per le aree in questione, ovvero la realizzazione di una pavimentazione fonoassorbente”. La Corte bolognese, infatti, avrebbe formato il proprio convincimento omettendo l’esame di tale fatto, “affermando (al contrario) che ANAS S.p.a. aveva già programmato la posa delle barriere acustiche stradali per cinquecentocinquanta metri lineari della corsia Sud nel tratto E45”, essendosi, poi, “determinata ad estendere l’opera nel tratto viario interessato dalle abitazioni degli appellati”, e quindi “fondando il proprio convincimento su una asserita determinazione di ANAS ad estendere il progetto di installazione di barriere antirumore per il tratto di strada oggetto di giudizio”. Così facendo, però, la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare come proprio per il tratto di strada in questione ANAS “avesse già predisposto una diversa tipologia di intervento (posa di asfalto fonoassorbente) e che proprio per tale ragione ciò che doveva essere accertato in sede di gravame non era tanto la valutazione della opportunità della valutazione dell’amministrazione sulla idoneità dell’intervento previsto”, ma piuttosto “la correttezza o meno di una pronuncia che, a fronte della programmazione di una tipologia di intervento (posa di asfalto fonoassorbente), aveva condannato la parte convenuta a metterne in atto uno differente (installazione di barriere antirumore)”. D’altra parte, quanto alla possibilità per questa Corte di sindacare l’omissione, la ricorrente rileva come non ricorra l’ipotesi della c.d. “doppia conforme di merito”, giacché “i fatti da cui partono i due giudici di merito sono differenti: il Tribunale di Forlì ha dato atto della sussistenza del PNCAR, ed ha poi ritenuto di accogliere le conclusioni cui era arrivato il CTU circa l’opportunità di installare delle barriere per il rumore; la Corte d’appello, invece, ha tratto le proprie conclusioni dalla circostanza (invero errata) della predisposizione proprio da parte di ANAS del progetto di installazione delle summenzionate barriere”. Tanto basterebbe, dunque, a ritenere non precluso l’esame del presente motivo, e ciò anche in considerazione del fatto che l’art. 360, comma 4, cod. proc. civ. attualmente vigente (a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149) prevede l’impossibilità di censurare, in sede di legittimità, l’omesso esame di un fatto solo quando “la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti, poste a base della decisione impugnata”, ovvero – si sostiene – allorché “la sentenza di secondo grado sia interamente corrispondente a quella di primo grado, per essere le due statuizioni fondate sul medesimo iter logico argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa”. 3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E), per “illegittima ingerenza in attività amministrativa”. La ricorrente lamenta che il giudice di secondo grado, “partendo peraltro come si è detto da un presupposto errato (essendo incontestato in giudizio che ANAS avesse inserito l’area in questione nel PNCAR, con un programma di intervento per la posa di pavimentazione fonoassorbente) ha comunque effettuato una valutazione di opportunità che lo ha indotto a condannare la convenuta ad adottare le specifiche misure indicate, condanna posta in essere in sfregio al principio di separazione dei poteri”. Si ribadisce, infatti, come gli interventi “antirumore”, dei quali saranno destinati a beneficiare anche gli attori/appellanti, sia stato predisposto in base alla legge 26 ottobre 1995, 447, al d.m. 29 novembre 2000 e al d.P.R. 30 marzo 2004, n. 142, comportando “un impegno finanziario per ANAS pari ad almeno 1.679 MLN di euro” e – quel che più conta – risultando “redatto in ragione di criteri di priorità e tipologia di intervento dettagliati dalla normativa di riferimento di cui il Piano nazionale è espressione”, criteri in forza dei quali, per “il caso in esame”, è stato individuato un “indice di priorità” che “è di 497,70, con conseguente posizione in graduatoria nazionale al numero 1567 e in quella regionale al numero 124”. Sicché sarebbe “evidente come la tipologia dei lavori, gli indici e i criteri di priorità non possano essere messi in discussione dal giudice, come fatto nella sentenza oggetto di censura, costituendo espressione della funzione amministrativa”. 3.3. Il terzo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente. Lamenta la ricorrente che “i giudici di secondo grado non hanno in alcun modo chiarito né le ragioni dell’asserito eccesso di potere in cui sarebbe incorsa l’amministrazione competente, né il motivo per cui la predisposizione delle barriere antirumore sarebbe preferibile rispetto alla posa di asfalto fonoassorbente”. Inoltre, si sottolinea che “la motivazione della pronuncia non consente di chiarire nemmeno la seguente ed ulteriore problematica”, ovvero se l’amministrazione – una volta avvenuta l’installazione delle “barriere antirumore così come ordinato dai giudici di merito” – possa “in ogni caso trovarsi a dover (in attuazione del PNCAR) effettuare anche l’intervento a suo tempo programmato, e la cui realizzazione ben potrebbe essere sollecitata da ulteriori soggetti interessati nonché dall’Autorità vigilante e che comporterebbe di fatto una indebita duplicazione di interventi i cui costi graverebbero sempre su ANAS”. 4. Hanno resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, i già attori/appellati (e gli eredi di quanti, tra essi, sono deceduti nelle more del presente giudizio), chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata. 5. In relazione al presente ricorso è stata formulata proposta di definizione accelerata del ricorso, ex art. 380-bis, comma 1, cod. proc. civ., così motivata: “considerato che: il primo motivo (ex art. 360 n. 5 c.p.c.) è inammissibile per la preclusione che deriva – ai sensi dell’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ. [come sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. a), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134] — dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme; v. Cass. 22/12/2016, n. 26774; 06/08/2019, n. 20994; 15/03/2022, n. 8320): diversamente da quanto postulato in ricorso la circostanza dell’avere l’Azienda ricorrente programmato la posa di asfalti fonoassorbenti è stata espressamente considerata dalla Corte d’appello (donde, comunque, anche l’infondatezza del motivo) e giudicata, come dal primo giudice, irrilevante, in adesione alle conclusioni del c.t.u. circa l’opportunità di installare delle barriere per il rumore; il secondo motivo (ex art. 360 n. 3 c.p.c.) è manifestamente infondato alla luce del principio secondo cui «in tema di immissioni acustiche provenienti da aree pubbliche, appartiene alla giurisdizione ordinaria la controversia avente ad oggetto la domanda, proposta da cittadini residenti nelle zone interessate, di condanna della P.A. a provvedere, con tutte le misure adeguate, all'eliminazione o alla riduzione nei limiti della soglia di tollerabilità delle immissioni nocive, oltre che al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, patiti, atteso che l'inosservanza da parte della P.A. delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario non solo per conseguire la condanna della P.A. al risarcimento dei danni, ma anche per ottenerne la condanna ad un facere, tale domanda non investendo scelte ed atti autoritativi della P.A., ma un’attività soggetta al principio del neminem laedere (Cass. Sez. U. n. 21993 del 12/10/2020, Rv. 659163–01; v. anche Cass., Sez. 2, 12/11/2018, n. 28893); il terzo motivo (ex 360 n. 4 c.p.c.) è parimenti infondato: ciò che vi si deduce esula dal contenuto che al detto paradigma hanno attribuito Cass. Sez. U. n. 8053 e 8054 del 2014, secondo le quali: «La riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al ‘minimo costituzionale’ del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione»; nel caso di specie la motivazione è perfettamente comprensibile”. 6. La ricorrente ha richiesto la decisione del collegio ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 380-bis cod. proc. civ., sicché la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ. 7. Entrambe le parti hanno depositato memoria. 8. Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - ORDINANZA 29 agosto 2024 N. 23361 FRASCA RAFFAELE GAETANO ANTONIO
9. Il ricorso va rigettato, sebbene per ragioni
in parte differenti da quelle indicate nella proposta di
definizione accelerata.
9.1. Invero, l’inammissibilità del primo motivo
trova la sua ragion d’essere – a differenza di quanto evidenziato
nella suddetta proposta – nella violazione dell’art. 366, comma 1,
n. 6), cod. proc. civ. e non dall’applicazione dell’art. 348-ter
cod. proc. civ.
9.1.1. Deve, difatti, evidenziarsi che la norma da ultimo
indicata risulta abrogata dall’art. 3, comma 26, lett. e), del
d.lgs. 1° ottobre 2022, n. 149, con effetto dal 28 febbraio 2023 e
con applicazione ai procedimenti pendenti a tale data (tale è il
caso del giudizio in esame, visto che il ricorso risulta notificato
il 21 aprile 2023), secondo la previsione generale di cui al comma
1 dell’art. 35 del medesimo d.lgs. n. 149 del 2022. La possibilità
di dichiarare inammissibile il presente motivo di ricorso per c.d.
“doppia conforme”, resta, pertanto, assoggettata – “ratione
temporis” – alle condizioni di cui al nuovo testo dell’art. 360,
comma 4, cod. proc. civ., come introdotto dall’art. 3, comma 27,
lett. a), del già citato d.lgs. n. 149 del 2022, norma che, ai
sensi del comma 5 del già citato art. 35 del d.lgs. n. 149 del
2022, ha effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 e si applica ai
giudizi di legittimità introdotti con ricorso notificato a
decorrere da tale data (al pari di tutte le altre novellate norme
del capo III del titolo III del libro secondo del codice di
procedura civile, salvo quelle per le quali il comma 6 del suddetto
art. 35 del d.lgs. n. 149 del 2022 non ha disposto diversamente).
Orbene, muovendo dal tenore del novellato testo del comma 4
dell’art. 360 cod. proc. civ. (“Quando la pronuncia di appello
Corte di Cassazione - copia non ufficiale 11 conferma la decisione
di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti,
poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione
può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui al primo
comma, numeri 1, 2, 3 e 4. Tale disposizione non si applica
relativamente alle cause di cui all'articolo 70, primo comma”), la
ricorrente sostiene che la preclusione della doppia conforme
opererebbe, ormai, solo quando “la sentenza di secondo grado sia
interamente corrispondente a quella di primo grado”, ciò che
sarebbe da escludere nel caso in esame. Sostiene, infatti, la
ricorrente che, mentre la sentenza di primo grado ha escluso che la
misura prevista dal Piano Nazionale di Contenimento ed Abbattimento
del Rumore (PNCAR), ovvero, la posa di pavimentazione
fonoassorbente, fosse idonea a garantire soddisfazione – “hic et
nunc”, verrebbe da aggiungere – al diritto dei già attori a non
subire immissioni acustiche intollerabili, la sentenza d’appello,
ignorando addirittura le prescrizioni del Piano, ha sostenuto che
Anas aveva “già programmato la posa delle barriere acustiche
stradali per cinquecentocinquanta metri lineari della corsia Sud
nel tratto E 45”, essendosi, poi, “determinata ad estendere l’opera
nel tratto viario interessato dalle abitazioni degli
appellati”.
9.1.2. Ciò detto, questo Collegio reputa di doversi esimere
dall’affrontare la questione – pure proposta dal presente motivo,
anzi preliminare al suo scrutinio – sulla coincidenza, o meno,
della nozione di “doppia conforme”, come delineata dall’abrogato
art. 348-ter e dal novellato art. 360, comma 4, cod. proc. civ.
Valgono, infatti, al riguardo le seguenti considerazioni. In
disparte, invero, il rilievo che il vizio denunciato neppure sembra
riconducibile alla fattispecie dell’omesso esame di un fatto,
apparendo, piuttosto, un errore revocatorio, per avere
la Corte felsinea “scambiato” le misure “de futuro” del PNCAR
(la posa della pavimentazione fonoassorbente), con quella –
ritenuta addirittura “de praeterito” – consistente nella estensione
delle barriere acustiche anche nel tratto di strada oggetto del
giudizio, deve rilevarsi che l’ANAS, nel formulare tale censura,
non si è attenuta ai presupposti di ammissibilità individuati dalla
giurisprudenza di questa Corte, non avendo precisato dove i temi
suddetti siano stato introdotti in primo grado e dove, poi, in
appello. La denuncia del vizio di “omesso esame” esige, a norma
dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., l’indicazione non
solo di quale sia il fatto “omesso” – e, come si dirà di seguito,
la dimostrazione della sua “decisività” – ma anche del “dato”,
testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, e del
“come” e del “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione
processuale (cfr., Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8054,
Rv. 629831-01; in senso conforme, tra le altre, Cass. Sez. 3, sent.
11 aprile 2017, n. 9253, Rv. 643845-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 10
agosto 2017, n. 19987, Rv. 645359-01).
Infine, sempre nel senso dell’inammissibilità del presente
motivo deve rimarcarsi che il fatto di cui si assume essere stato
omesso l’esame – ovvero, che anche il tratto di sede stradale
interessato dalle abitazioni degli attoiri/appellati formasse
oggetto dell’intervento programmato dal PNCAR – non si presentava
“decisivo”, vale a dire “idoneo a determinare un esito diverso
della controversia” (cfr. Cass. Sez. 6-5, ord. 4 ottobre 2017, n.
23238, Rv. 646308-01; Cass. Sez. Lav., sent. 25 giugno 2018, n.
16703, Rv. 649316-01), essendo a carico del ricorrente, che denunci
il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ.,
dimostrare “il rapporto di derivazione diretta tra l’omesso esame e
la decisione, a lui sfavorevole, della controversia” (Cass. Sez.
Lav., ord. 13 ottobre 2022, n. 29954, Rv. 665823-01).
Difatti, nella specie, ciò che ambo i giudici di merito hanno
inteso rimarcare era la non procrastinabilità dell’intervento
necessario per contenere le immissioni, senza dover attendere
l’esecuzione delle misure programmate ma ancora “in fieri”,
qualunque esse fossero; e ciò sulla scorta, del resto, delle
osservazioni formulate dall’Agenzia regionale per la protezione
ambientale (richiamate, invero, anche dalla Corte territoriale
nella propria motivazione), la quale, dopo aver “riscontrato
livelli di pressione sonora 4 volte superiori al livello massimo
consentito”, evidenziava “una situazione di criticità per tutti gli
edifici che sono posti entro i 50/60 metri dal limite della
carreggiata, con costante superamento del limite assoluto di
immissione nel periodo notturno”, concludendo che, “malgrado gli
interventi di mitigazione proposti”, quali specificamente la “posa
di asfalti fonoassorbenti” e “la posa in opera di barriere
fonoisolanti/fonoassorbenti”, si registrasse “il permanere di
situazioni non sanate completate”. Del resto, la stessa ricorrente,
nel dolersi del fatto – ciò che forma oggetto, in particolare, del
secondo motivo di ricorso – che “gli indici e i criteri di
priorità” fissati dal PNCAR “non possano essere messi in
discussione dal giudice”, riferendo, altresì, che all’intervento
destinato ad interessare il tratto di strada per cui è giudizio è
stato conferito un “indice di priorità” che “è di 497,70, con
conseguente posizione in graduatoria nazionale al numero 1567 e in
quella regionale al numero 124”, finisce con il confermare
l’indifferibilità delle misure imposte dai due giudici di merito. E
ciò in ragione del fatto che quella posizione in graduatoria non
era certo idonea a consentire che il problema di interesse degli
attori/appellati fosse affrontato con tempestività. Sicché, anche
sotto questo profilo, può dirsi che ANAS sia stata ben lungi dal
dimostrare “il rapporto di derivazione diretta” tra l’omesso esame
delle risultanze del PNCAR e la decisione sfavorevole della
controversia.
9.2. Il secondo motivo, invece, non è fondato,
come da proposta formulata. 9.2.1. Trova, infatti, applicazione – a
fugare il dubbio che la pronuncia adottata violi i limiti “esterni”
alla giurisdizione, di cui all’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n.
2248, all. E) – il principio enunciato da questa Corte, anche nella
sua massima sede nomofilattica, proprio in controversie in materia
di immissioni acustiche intollerabili, secondo cui, “l’inosservanza
da parte della P.A. delle regole tecniche o dei canoni di diligenza
e prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal
privato davanti al giudice ordinario non solo per conseguire la
condanna della P.A. al risarcimento dei danni, ma anche per
ottenerne la condanna ad un facere, tale domanda non investendo
scelte ed atti autoritativi della P.A., ma un’attività soggetta al
principio del neminem laedere” (cfr. Cass. Sez. Un., ord. 12
ottobre 2020, n. 21993, Rv. 659163-01; Cass. Sez. 3, sent. 31
gennaio 2018, n. 2338, Rv. 647592-01; Cass. Sez. 1, sent. 12 luglio
2016, n. 14180, Rv. 640502-01; Cass. Sez. Un., ord. 20 ottobre
2014, n. 22116, Rv. 632415-01; Cass. Sez. Un, sent. 6 settembre
2013, n. 20571, Rv. 627429-01). D’altra parte, non senza rilievo è
anche la circostanza che i due giudici di merito, nell’ordinare la
soluzione tecnica dell’installazione delle barriere, e non la posa
della pavimentazione fonoassorbente, si siano astenuti dal
“sovvertire” l’ordine di priorità, nell’effettuazione di tale
intervento, previsto dal PNCAR, ciò che, al limite, avrebbe potuto
costituire “intrusione” nelle scelte discrezionali compiute
attraverso di esso.
9.3. Il terzo motivo non è fondato, nuovamente
come da proposta.
9.3.1. Sul punto, infatti, va rammentato che, ai sensi dell’art.
360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. – nel testo “novellato”
dall’art. 54, comma 1, lett. b), del decreto-legge 22 giugno 2012,
n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n.
134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il
sindacato di questa Corte è destinato ad investire la parte motiva
della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass.
Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonché, “ex
multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv.
637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv.
637781-01; Cass. Sez. 1, ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv.
658088-01).
Il difetto di motivazione è, dunque, ipotizzabile solo nel caso
in cui la parte motiva della sentenza risulti “meramente
apparente”, evenienza configurabile, oltre che nell’ipotesi di
“carenza grafica” della stessa, quando essa, “benché graficamente
esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della
decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a
far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione
del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016,
n. 22232, Rv. 641526-01, nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5,
ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01, Cass. Sez. 6-1, ord.
1° marzo 2022, n. 6758, Rv. 664061-01), o perché affetta da
“irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12
ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25
settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), ovvero connotata da
“affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord.
25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), mentre “resta irrilevante
il semplice difetto di «sufficienza» della motivazione” (Cass. Sez.
2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01). Ferma in ogni
caso restando la necessità che il vizio “emerga immediatamente
e direttamente dal testo della sentenza impugnata” (Cass. Sez. Un.,
sent. n. 8053 del 2014, cit.), vale a dire “prescindendo dal
confronto con le risultanze processuali” (così, tra le molte, Cass.
Sez. 1, ord. 20 giugno 2018, n. 20955, non massimata; in senso
conforme, da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 3 marzo 2022, n. 7090, Rv.
664120-01). Nella specie, la motivazione benché scarna (ma, come
detto, l’insufficienza è stata espunta dal novero dei vizi
motivazionali, e ciò “attesa l’insuperabile indeterminatezza della
nozione”; così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 5 marzo 2024,
n. 5792, Rv. 670391-01), è del tutto intellegibile, né evidenzia
aspetti di irriducibile contraddittorietà o di inconciliabilità
logica, sicché il motivo è da rigettare.
10. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza,
essendo pertanto poste a carico della ricorrente e liquidate come
da dispositivo.
11. La non completa conformità della presente decisione alla
proposta di definizione accelerata preclude l’applicazione dei
commi 3 e 4 dell’art. 96 cod. proc. civ.
12. A carico della ricorrente, stante il rigetto del ricorso,
sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante
all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio
2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma
1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condannando la società ANAS S.p.a.
a rifondere, ai controricorrenti meglio identificati in epigrafe,
le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in
complessivi € 8.200,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese
forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio
2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della
legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello
stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale