Giu Nell giudizio di rinvio non possono essere proposti dalle parti, né presi in esame dal giudice, motivi di impugnazione differenti da quelli che erano stati formulati nel giudizio conclusosi con la sentenza cassata
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE - ORDINANZA 21 agosto 2024 N. 22828
Massima
Nell giudizio di rinvio non possono essere proposti dalle parti, né presi in esame dal giudice, motivi di impugnazione differenti da quelli che erano stati formulati nel giudizio conclusosi con la sentenza cassata e che continuano a delimitare, da un lato, l'effetto devolutivo dello stesso gravame e, dall'altro, la formazione del giudicato interno (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 5137 del 21/02/2019; Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 18600 del 21/09/2015)

Casus Decisus
Con contratto dell'8 gennaio 2002, il Comune di Castel Volturno ha affidato alla E. s.p.a. (poi divenuta E.S. s.p.a.) la gestione del servizio integrato rifiuti, come definito nell’apposito POS (Progetto Integrato Servizio), per il compenso annuo di € 3.285.647,91, da coprire mediante apposita tariffa da istituirsi da parte del Comune. Iniziata l'esecuzione del contratto, con delibera del 26/03/2002 n. 12, è stato approvato il Regolamento, in forza del quale il Gestore avrebbe dovuto provvedere alla riscossione della Tariffa, e sono stati dettati tempi e modalità di approvazione del Piano tariffario, al contempo, prevedendosi che, in caso di mancata approvazione entro il 31 maggio 2002, il Comune avrebbe garantito con fondi propri la copertura dei costi di servizio. In considerazione del ritardo nell'approvazione del Piano, il Comune ha versato l'importo di € 1.537.404,00 e successivamente si è impegnato a sottoscrivere deleghe di pagamento, per consentire alla società di accedere al mutuo presso la Cassa DD.PP. Tale impegno non è stato assolto dal Comune che, con delibera n. 162 del 30/11/2002, ha approvato il Piano tariffario per il 2002, e, con delibera n. 16 del 16/04/2003, ha approvato il disciplinare Gestione Tariffa Ciclo Integrato Rifiuti, in forza del quale il Gestore avrebbe sopportato i costi, salve le previste anticipazioni del Comune, il quale ha anche stabilito che il saldo negativo sarebbe stato recuperato mediante riscossione delle Tariffe nell'anno 2003 e che, al termine del 2004, le anticipazioni del Comune sarebbero state destinate alla costituzione di un Fondo di garanzia. In esecuzione di detta delibera, l'ente territoriale ha erogato, nel maggio 2003, la somma di € 1.000.000,00, quale anticipazione del servizio prestato nel 2003, e ha diffidato il gestore ad attuare il POS 2003 (approvato con delibera n. 18 del 16/04/2003), comunicando l'avvio del procedimento di risoluzione contrattuale, per i riscontrati disservizi. Ciononostante, il 30/06/2003, le parti hanno sottoscritto un contratto integrativo, che, nel prevedere la sanatoria delle anomalie di gestione del primigenio rapporto, ha affidato al Gestore anche il servizio FORSU (frazione organica RSU assimilati). Con nota del 28/08/2003, il Comune ha comunicato, poi, l'avvio di un nuovo procedimento di risoluzione contrattuale, mentre la società ha manifestato la volontà di promuovere il giudizio arbitrale. Nel frattempo, con provvedimento del 23/12/2003, il Comune ha disposto la risoluzione del contratto originario e di quello aggiuntivo e il relativo provvedimento è stato impugnato davanti al TAR Campania. Frattanto, il costituito Collegio arbitrale, con lodo del 12/10/2005, in parziale accoglimento dei quesiti posti, ha condannato il Comune al pagamento della somma di € 6.163.266,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria, per la maggiore onerosità delle prestazioni e i danni riconducibili ad inadempienze del Comune, sospendendo il procedimento arbitrale, in relazione ad alcune delle voci richieste, in attesa della definizione del giudizio amministrativo. Il Comune ha impugnato il lodo innanzi alla Corte d’appello di Napoli e la E.S. s.p.a. si è costituita, chiedendo il rigetto dell’impugnazione. Dichiarato interrotto il processo a seguito del fallimento della società, il giudizio veniva riassunto nei confronti del Fallimento. La Corte d’appello ha rigettato l'impugnazione. Il Comune di Castel Volturno ha proposto ricorso per cassazione contro tale sentenza, formulando nove articolati motivi di impugnazione, e il Fallimento della E.S. s.p.a. si è difeso con controricorso. Questa Corte di legittimità ha accolto in parte il ricorso per cassazione, ritenendo inammissibile il primo motivo di impugnazione, ma fondati il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo, dichiarando assorbiti gli altri (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 646 del 12/01/2018). I motivi di ricorso accolti sono stati descritti nell’ordinanza appena menzionata nei seguenti termini: «2. Col secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c., oltre che vizio di motivazione in relazione alla valutazione dell'inadempimento contrattuale di esso Comune rispetto a talune obbligazioni (ritardo ingiustificato nell'approvazione del Regolamento e del Piano Tariffa, mancato rilascio di garanzie, onde ottenere il mutuo) e lo abbia condannato al pagamento della somma di € 6.163.266,00, oltre rivalutazione ed interessi, nonostante nelle more della decisione del giudizio d'impugnazione fosse stato escluso, con sentenza del TAR Napoli n. 2534 del 2008, in sede di giurisdizione esclusiva ed ormai passata in giudicato, tale suo inadempimento alle medesime obbligazioni e fosse stato posto in evidenza che, mediante la delibera consiliare n. 16 del 2003, l'Amministrazione avesse dato atto dell'esecuzione di anticipazioni, ed avesse previsto un regime transitorio per porre rimedio alla situazione di iniziale difficoltà e così superare problematiche carenze di liquidità, da compensarsi attraverso specifici meccanismi di recupero. Su tale giudicato la sentenza aveva taciuto, erroneamente ritenendo diversi l'oggetto dei due giudizi. 3. Col terzo motivo, il quarto ed il quinto motivo si denuncia la violazione degli artt. 829, co 1 n. 5 e 295 c.p.c., per non avere i giudici a quo ritenuto illegittima, in relazione a tutti e tre i motivi d'impugnazione, la mancata sospensione del giudizio arbitrale relativamente a tutti i quesiti ad esso sottoposti, onde evitare il conflitto di giudicati.» Le censure contenute nei motivi assorbiti hanno riguardato, invece, critiche riferite alla dedotta violazione di legge e insufficienza di motivazione in relazione alle prospettate inadempienze del Gestore e alla quantificazione del danno. Questa Corte, nell’esaminare congiuntamente i motivi accolti, ha rilevato che, nel corso del giudizio d’impugnazione del lodo, era stata prodotta la sentenza del TAR Campania n. 2534 del 24/04/2008, passata in giudicato, che aveva escluso l'esistenza di responsabilità contrattuali dell’ente committente in relazione al rapporto contrattuale in questione (contratto iniziale e accordo integrativo), sicché l'avallo di una statuizione differente era preclusa alla Corte territoriale, che, piuttosto che disquisire circa i presupposti della sospensione del giudizio arbitrale o circa la congruenza della motivazione addotta in seno al lodo per affermare l'autonomia delle poste risarcitorie da inadempimento del Comune rispetto a quanto dibattuto in seno al giudizio amministrativo, avrebbe dovuto arrestarsi alla constatazione dell'avvenuto giudicato di segno diverso rispetto a quello reputato dagli arbitri ed avrebbe dovuto valutarne la portata e le refluenze sul lodo. Il Comune ha riassunto il giudizio davanti alla Corte d’appello chiedendo quanto segue: «1) dichiarare la nullità ex art. 829 e 830 c.p.c. del lodo arbitrale reso inter partes e sottoscritto dagli arbitri in data 12.10.2005, reso esecutivo con decreto del Presidente del Tribunale di Napoli del13.12.2005, nella parte in cui "accoglie i quesiti nn. 1, 2, 3 (in parte), 7, 9, lett. A (in parte), C, D, F, O (in parte), 11 e 12 nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, e pertanto, condanna il Comune di Castel Volturno a pagare in favore della società E.Co. Quattro Spa l'importo complessivo di € 6.163.266,00 oltre interessi e rivalutazione monetaria da computarsi a decorrere dal 1 agosto 2005 al saldo ... ", con conseguente suo annullamento e/o riforma; 2) in conseguenza della pronuncia di cui sopra, rigettare integralmente le domande proposte dall'appellata con la domanda di arbitrato, attesa l’inconfigurabilità di qualsivoglia inadempimento da parte del Comune di Castel Volturno, come acclarato dal TAR Napoli con sentenza n. 2534/2008 passata in giudicato, la quale ha respinto ogni ipotesi di inadempimento contestato al Comune di Castelvolturno dalla E.Co. Quattro Spa (F.to Egeaservice spa) e, quindi, ha minato sin dalle fondamenta tutti gli addebiti mossi all'Ente medesimo con la pronuncia arbitrale del 12 maggio 2005; 3) accertare e dichiarare, alla luce di quanto argomentato in diritto e stante la declaratoria di legittimità (sentenza del TAR Napoli n. 2534/2008 passata in giudicato) della risoluzione contrattuale adottata dal Comune di Castel Volturno, il diritto di quest'ultimo al pagamento dell'importo complessivo di € 2.495.590,62 irrogato alla E.Co.Quattro a titolo di sanzioni consequenziali alla risoluzione del contratto predetta (costi per il servizio, personale, e penali); nonché il diritto del Comune al pagamento degli ulteriori oneri finanziari che l'Ente comunale si è accollato per fronteggiare gli inadempimenti della E. Co. Quattro, quali: il versamento di € 661.813,75 per oneri di conferimenti in discarica (in favore della FIBE Campania Spa e in favore della Impregeco srl e del Consorzio GEO.ECO. spa) e di € 1.118.742,61 sempre per oneri di conferimento in discarica per altro periodo (in favore ancora della FlBE Campania Spa); il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria; in ogni caso, i suddetti crediti del Comune si eccepiscono, nel loro valore complessivo, in via riconvenzionale; 4) condannare l'appellata al pagamento degli onorari e spese di causa, anche in relazione al giudizio in Cassazione, come disposto dalla Suprema Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 646/2018». Nel costituirsi, il Fallimento ha concluso «per il rigetto delle domande proposte dal Comune. In subordine, perché la Corte accerti mediante Consulenza Tecnica di Ufficio i crediti del Fallimento derivanti da prestazioni effettivamente e legittimamente eseguite a suo tempo dalla Società in bonis, condannando conseguentemente il Comune al pagamento delle somme che risulteranno dovute, con interessi e rivalutazione e vittoria di spese.» Con la sentenza in questa sede impugnata, la Corte d’appello ha accolto l’impugnazione del lodo e, dichiarata la nullità dello stesso, decidendo nel merito, ha respinto le domande risarcitorie proposte dalla società con la domanda di arbitrato, ha dichiarato improcedibili le domande di rimborso e pagamento formulate dal Comune nei confronti del Fallimento e ha dichiarato inammissibile la domanda formulata dalla Curatela nel giudizio di rinvio. La Corte territoriale ha, in particolare, ritenuto che i medesimi inadempimenti, posti a fondamento della contestazione della risoluzione contrattuale (innanzi al TAR), e dai quali il Collegio arbitrale aveva fatto discendere tutti gli addebiti patrimoniali a carico del Comune medesimo, erano stati dichiarati inesistenti dal giudice amministrativo con sentenza passata in giudicato. In conseguenza di ciò, la medesima Corte ha annullato il lodo e rigettato della domanda risarcitoria del Fallimento fondata su tali inadempimenti. Con specifico riferimento alla domanda gradata del Fallimento, volta ad ottenere comunque il pagamento delle prestazioni effettivamente eseguite in favore dell’ente, la Corte d’appello ha ritenuto trattarsi di domanda inammissibile, perché non consentita, in quanto nuova, non risultando essere stata formulata in precedenza, ma articolata per la prima volta solo nel giudizio di rinvio. Avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione il Fallimento, affidato a un solo motivo di impugnazione. L’intimato si è difeso con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE - ORDINANZA 21 agosto 2024 N. 22828 SCOTTI UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

1. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 392 e seguenti c.p.c., a seguito dell’ordinanza della Corte di cassazione n. 646/2018. Secondo il ricorrente, il giudice del rinvio era chiamato a verificare l’efficacia del giudicato esterno, dato dalla sentenza del TAR Campania, ai fini della decisione dell’impugnazione del lodo arbitrale, ma ciò non impediva di statuire su eventuali condotte del Comune, considerate dagli arbitri, ma non anche dal TAR, né di riscontrare nell’ambito della pronuncia arbitrale titoli di responsabilità e/o di condanna al pagamento diversi dalla responsabilità contrattuale, quali ad esempio l’illecito aquiliano, la ripetizione d’indebito e l’arricchimento senza causa. In particolare, il ricorrente ha dedotto che la condanna arbitrale metteva capo tanto ad inadempimenti contrattuali del Comune quanto alla richiesta di ristoro (indipendente dalla risoluzione per inadempimento contrattuale) che era (ed è) dovuto in relazione all’arricchimento senza causa conseguito dal Comune per effetto dell’attività comunque svolta in suo favore dal Gestore, che aveva ad esso recato una sicura utilità (v. in particolare p. 18 e 23 del ricorso per cassazione).

2. Il motivo di ricorso è inammissibile.

2.1. Com’è noto, questa Corte è consolidata nell’affermare il carattere chiuso del giudizio di rinvio, ai sensi dell’art. 394 c.p.c., con la conseguenza che in tale fase non è consentito alle parti proporre domande nuove, né formulare conclusioni diverse da quelle prese nel giudizio in cui è stata pronunciata la sentenza cassata (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 29879 del 27/10/2023). Inoltre, tenuto conto che il giudizio di rinvio è preordinato a una nuova pronuncia in sostituzione di quella oggetto di annullamento, per le parti operano anche le preclusioni derivanti dal giudicato implicito, formatosi con la sentenza rescindente della Corte di cassazione, tant’è che neppure le questioni rilevabili d'ufficio, che non siano state considerate dalla Corte di legittimità, possono essere dedotte o comunque esaminate, giacché, diversamente, si finirebbe per porre nel nulla o limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto con il principio di sua stessa intangibilità (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 24357 del 10/08/2023). In tale ottica, si è affermato che, nel giudizio di rinvio non possono essere proposti dalle parti, né presi in esame dal giudice, motivi di impugnazione differenti da quelli che erano stati formulati nel giudizio conclusosi con la sentenza cassata e che continuano a delimitare, da un lato, l'effetto devolutivo dello stesso gravame e, dall'altro, la formazione del giudicato interno (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 5137 del 21/02/2019; Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 18600 del 21/09/2015).

2.2. Nel caso di specie, come sopra evidenziato, la Corte d’appello ha affermato che gli stessi inadempimenti, dai quali il Collegio arbitrale aveva fatto discendere tutti gli addebiti patrimoniali a carico del Comune, erano stati dichiarati inesistenti dal giudice amministrativo, con sentenza passata in giudicato. Il ricorrente ha, invece, dedotto che la condanna arbitrale «mette capo tanto ad inadempimenti contrattuali del Comune di Castel Volturno, quanto al ristoro (indipendente dalla risoluzione per inadempimento contrattuale) che era (ed è) dovuto in relazione all’arricchimento senza causa conseguito dal Comune medesimo per effetto dell’attività svolta dalla Società poi fallita, che ha arrecato all’Ente una sicura utilità.» (v. in particolare p. 23 del ricorso per cassazione). La parte, tuttavia, non ha neppure specificamente indicato quali fossero state le statuizioni di condanna del Collegio arbitrale diverse dal risarcimento del danno conseguente al ritenuto inadempimento contrattuale del Comune che, invece, è stato escluso dal giudicato amministrativo. Il Fallimento ha, infatti, semplicemente riportato quello che ha definito il “cuore” della motivazione del lodo, ove si legge: «che "l'anticipata risoluzione del contratto ha definitivamente impedito al Gestore di riscuotere le tariffe relative agli esercizi 2002-2003 e, conseguentemente, di coprire i costi"; che "indipendentemente dalla legittimità o meno del provvedimento risolutivo, l'attività di riscossione della tariffa limitatamente al periodo in cui il servizio di gestione raccolta rifiuti è stato effettivamente prestato non avrebbe dovuto essere sottratta alla società E. S.p.A."; e che "il Collegio ritiene sussistere, per quanto innanzi rilevato, il diritto del Gestore al risarcimento del danno rappresentato dalla mancata copertura di tutti i costi del servizio che come previsto dalla legge e dagli accordi di contrattuali avrebbe dovuto essere assicurato dalla riscossione delle tariffe affidate al gestore".» (p. 18 del ricorso per cassazione). È tuttavia evidente che si tratta di brevi stralci della decisione arbitrale, riferiti a frammenti di motivazione non correlate alla parte dispositiva del lodo, che comunque espressamente si riferiscono al diritto al risarcimento del danno, conseguente alla mancata riscossione delle entrate, a causa della mancata tempestiva approvazione delle tariffe da parte del Comune. Né lo stesso ricorrente ha fatto alcun riferimento alla devoluzione della cognizione in ordine a domande asseritamente non coperte dal giudicato amministrativo, con riguardo al giudizio d’impugnazione del lodo, o al giudizio di legittimità, con la conseguenza che, in base ai principi sopra illustrati, tali domande non possono certo essere oggetto di esame per la prima volta da parte del giudice del rinvio.

3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

4. La statuizione sulle spese segue la soccombenza.

11 5. In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dal controricorrente, che liquida in € 14.000,00 per compenso, oltre € 200,00 per esborsi ed accessori di legge; dà atto, in applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile