Giu Nel caso di contestazione dell'atto comunicato a mezzo raccomandata, l'onere di provare che il plico non conteneva l'atto stesso, ovvero che ne conteneva uno diverso da quello spedito, grava sul destinatario in forza della presunzione di conoscenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 11 luglio 2024 N. 19161
Massima
Nel caso di contestazione dell'atto comunicato a mezzo raccomandata, l'onere di provare che il plico non conteneva l'atto stesso, ovvero che ne conteneva uno diverso da quello spedito, grava sul destinatario in forza della presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 cod. civ., fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell'ordinaria regolarità del servizio postale. Tale conclusione discende altresì dal cosiddetto "principio di vicinanza della prova" poiché, una volta effettuata la consegna del plico per la spedizione, esso fuoriesce dalla sfera di conoscibilità del mittente e perviene in quella del destinatario, il quale può dunque dimostrare che al momento del ricevimento il plico era privo di contenuto (o ne aveva uno diverso); infatti, la sfera di conoscibilità del mittente incontra limiti oggettivi nella fase successiva alla consegna del plico per la spedizione, mentre la sfera di conoscibilità del destinatario si incentra proprio nella fase finale della ricezione, ben potendo egli dimostrare (ed essendone perciò onerato) che al momento dell'apertura il plico era in realtà privo di contenuto (Cass., n. 16528 del 2018; Cass., n. 33563 del 2018).

Casus Decisus
1. La S. con sede in Malta ha impugnato una cartella di pagamento emessa da Equitalia Sud sa, ora Agenzia delle entrate Riscossione, relativa ad Imposta unica sulle scommesse per il 2009, allegando che l’avviso di accertamento presupposto non le era mai stato notificato. 2. Si è costituita l’Agenzia delle dogane la quale ha dedotto di aver provveduto alla notifica dell’avviso (prot. 68077) mediante raccomandata internazionale, precisando che con lo stesso plico erano stati notificati altri due avvisi (prot. 68084 e prot. 68098), tempestivamente impugnati dalla S., come indicato nella busta della raccomandata. 3. La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Latina ha respinto il ricorso osservando che le questioni sollevate dovevano essere fatte valere nei confronti dell’atto presupposto. 4. La S. ha proposto appello, che la Commissione Tributaria Regionale (CTR) del Lazio ha rigettato rilevando che la busta della raccomandata conteneva «chiaramente» l’indicazione anche di un terzo avviso, «per questa ragione» sarebbe stato onere della destinataria, in ossequio al principio di collaborazione e di buona fede di cui all’art. 10 legge n. 212/2000, provvedere a segnalare tempestivamente all’Agenzia l’asserito disguido e «tale omissione determina[va] perciò il decorso del termine per impugnare l’avviso». 5. Avverso questa pronunzia la S. propone ricorso per cassazione fondato su due motivi e deposita memoria. 6. Restano intimate sia l’Agenzia delle entrate Riscossione sia l’Agenzia delle dogane.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 11 luglio 2024 N. 19161 Bruschetta Ernestino Luigi

1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., nullità della sentenza per violazione degli artt. 42 d.P.R. n. 600/1973 e 6 comma 1 legge n. 212/2000 nonché degli artt. 1335, 2727 e 2729 c.c., in quanto era onere dell’Ufficio mittente dimostrare che il plico conteneva anche il terzo avviso di accertamento e nessuna prova era stata fornita né questa poteva essere desunta dalle indicazioni sull’involucro esterno della raccomandata alle quali non può riconoscersi fede privilegiata.

2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 comma 2 n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., art. 36 comma 2 n. 4 d.lgs. n. 546/1992, in connessione all’art. 111 Cost., deducendo «motivazione apparente, illogica e contraddittoria in ordine alle ragioni per cui nonostante sia stata riconosciuta verosimile l’inesistenza della notifica dell’avviso sarebbe stato onere della Ricorrente segnalare tempestivamente all’Ufficio il disguido con conseguente decorso del termine di impugnazione».

3. Va esaminato prioritariamente il secondo motivo, che è infondato.

3.1. Non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi - che si convertono in violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale", di "motivazione apparente", di "manifesta ed irriducibile contraddittorietà" e di "motivazione perplessa od incomprensibile", purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022).

Questa Corte ha, altresì, precisato che «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da "error in procedendo", quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; v. anche Cass. n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi rendendo impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento). In questo caso, non ricorre difetto assoluto di motivazione in quanto, come risulta dalla superiore esposizione in fatto, una motivazione esiste ed è suscettibile di verifica e controllo; non rileva, invece, la carenza motivazionale sull’interpretazione dell’art. 10 cit., poiché il vizio dedotto può riguardare esclusivamente l'accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l'interpretazione e l'applicazione delle norme giuridiche, stante il potere correttivo della motivazione attribuito a questa Corte dall’art. 384 c.p.c., ultimo comma (Cass. n. 1375 del 2011; Cass. n. 19567 del 2017); infine, l’affermazione della «verosimiglianza del disguido» non incide sulla ratio decidendi, essendo stata formulata con riguardo alle spese quale ragione di compensazione.

4. Il primo motivo, invece, è inammissibile perché, da un lato, non coglie la ratio della sentenza e, dall’altro, cerca di rimettere in discussione gli accertamenti in fatto svolti dal giudice di merito che non sono sindacabili dalla Corte di legittimità, la quale non ha il potere di riesaminare e valutare il merito della causa ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. n. 6288 del 2011).

4.1. Secondo l'orientamento giurisprudenziale maggioritario, nel caso di contestazione dell'atto comunicato a mezzo raccomandata, l'onere di provare che il plico non conteneva l'atto stesso, ovvero che ne conteneva uno diverso da quello spedito, grava sul destinatario in forza della presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 cod. civ., fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell'ordinaria regolarità del servizio postale. Tale conclusione discende altresì dal cosiddetto "principio di vicinanza della prova" poiché, una volta effettuata la consegna del plico per la spedizione, esso fuoriesce dalla sfera di conoscibilità del mittente e perviene in quella del destinatario, il quale può dunque dimostrare che al momento del ricevimento il plico era privo di contenuto (o ne aveva uno diverso); infatti, la sfera di conoscibilità del mittente incontra limiti oggettivi nella fase successiva alla consegna del plico per la spedizione, mentre la sfera di conoscibilità del destinatario si incentra proprio nella fase finale della ricezione, ben potendo egli dimostrare (ed essendone perciò onerato) che al momento dell'apertura il plico era in realtà privo di contenuto (Cass., n. 16528 del 2018; Cass., n. 33563 del 2018).

4.2. In altri termini, la prova dell'arrivo della raccomandata fa presumere l'invio e la conoscenza dell'atto, mentre l'onere di provare eventualmente che il plico non conteneva l'atto spetta non già al mittente (in tal senso, Cass. n. 9533 del 2015; n. 2625 del 2015; n. 18252 del 2013; n. 24031 del 2006; n. 3562 del 2005), bensì al destinatario (in tal senso, oltre ai precedenti sopra citati, Cass. n. 30787 del 2019; Cass., n. 10630 del 2015; conf. Cass. n. 24322 del 2014; n. 15315 del 2014; n. 23920 del 2013; n. 16155 del 2010; n. 17417 del 2007; n. 20144 del 2005; n. 15802 del 2005; n. 22133 del 2004; n. 771 del 2004); invece, quando il mittente afferma di avere inserito più di un atto nello stesso plico ed il destinatario contesta tale circostanza, è necessario, perché operi la presunzione di conoscenza posta dall'art. 1335 c.c., che l'autore della comunicazione fornisca la prova, anche per presunzioni, che l'involucro conteneva più atti, atteso che, secondo l'id quod plerumque accidit, ad ogni atto da comunicare corrisponde una singola spedizione (Cass. n. 12135 del 2003; Cass. n. 20027 del 2011; Cass. n. 30787 del 2019).

4.3. Si è aggiunto, però, che le indicazioni sulla busta, sebbene prive di efficacia di prova privilegiata, «debbano essere valutate sul piano presuntivo, ai fini del giudizio sul riparto dell'onere della prova» (Cass. n. 20786 del 2014; Cass. n. 21533 del 2017); invero, tali evidenze possono far percepire al destinatario il “disguido” nella spedizione e l’assenza all’interno del plico di uno degli atti indicati; in tale evenienza l’onere probatorio incomberebbe sul destinatario secondo il principio di “vicinanza della prova”, che riguarda la possibilità di conoscere in via diretta o indiretta il fatto e non già la possibilità concreta di acquisire la relativa prova (Cass. n.12910 del 2022). La CTR si è mossa in termini coerenti con questa prospettiva, laddove ha evidenziato il fatto «incontestato» che l’involucro della raccomandata ricevuta recava «chiaramente» l’indicazione anche di un terzo avviso, assumendo, quindi, la percezione da parte della destinataria dell’allegata mancanza di uno degli atti all’interno del plico: su questo assunto la CTR ha individuato un dovere di attivazione in capo alla destinataria, secondo il principio di buona fede e collaborazione, ma lo stesso assunto pone a carico della destinataria, in forza del principio di “vicinanza della prova”, l’onere di provare il fatto allegato, cioè l’assenza del terzo avviso all’interno del plico, in contrasto con quanto risultante dalle chiare indicazioni sul plico. 

5. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; non vi è da decidere sulle spese atteso che le controparti sono rimaste intimate.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo

13. Così deciso in Roma, il 28/02/2024.