1. il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., l’errata imputazione, da parte del Tribunale di Napoli, del secondo acconto di € 15.000,00, riconosciuto a Aldo B. con provvedimento del 21/06/2010, alla gestione complessiva dei beni sequestrati nell’àmbito del procedimento penale R.G. n. 28515/2003, laddove, in realtà, quella somma, come del resto il primo acconto, sempre di € 15.000,00, riguardava esclusivamente la liquidazione del compenso finale in relazione ai beni (sequestrati) di proprietà della B. Srl;
2. il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2 octies, della legge n. 575 del 1965, per avere il Tribunale di Napoli ritenuto satisfattivi dell’attività svolta dall’amministratore giudiziario fino alla revoca dell’incarico, disposta con decreto del 20/04/2012, i due acconti liquidati per i periodi (il primo) dal 27/04/2009 al 27/09/2009 e (il secondo) dal 28/09/2009 al 27/01/2010, senza considerare che (appunto) si trattava soltanto di acconti sul compenso finale, come tali privi del carattere della definitività in relazione alla complessiva attività svolta;
3. il terzo motivo, rubricato “omessa ed errata valutazione delle prove relative all’attività di gestione: violazione art. 360 n. 5 c.p.c.”, critica la statuizione del giudice di merito secondo cui l’amministratore giudiziario non avrebbe provato di avere posto in essere una diligente e concreta attività gestoria dei beni che gli erano stati affidati, ulteriore rispetto a quella già remunerata con gli acconti. Il ricorrente si duole che il giudice di merito abbia trascurato che lo svolgimento delle attività per le quali chiedeva il compenso era attestato sia dal diario delle attività sia da ampia documentazione, cioè: dai bilanci, dai verbali di immissione in possesso e di riconsegna dei beni dissequestrati, dai verbali di riunione, dalle copie dei contratti di servizio e di conferimento degli incarichi professionali, dalle relazioni periodiche sulla gestione, etc.;
4. il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 3, 4, d.P.R. n. 177 del 2015: il Tribunale di Napoli ha negato il compenso sul rilievo che, dopo la liquidazione del secondo acconto, il ricorrente si sarebbe reso infedele all’incarico ricevuto e avrebbe posto in essere condotte illegittime, culminate nella revoca dell’incarico, in data 20/04/2012.
Il ricorrente replica che le disposizioni di riferimento, gli artt. 3 e 4 del menzionato decreto, come del resto la normativa precedente, non prevedono l’esclusione del compenso nell’ipotesi della revoca dell’amministratore giudiziario;
5. il primo e il terzo motivo, suscettibili di esame congiunto perché pongono la medesima questione, sono inammissibili;
5.1. è ius receptum (tra le altre, Sez. 2, Ordinanza n. 10525 del 31/03/2022, Rv. 664330 - 01) che, in tema di giudizio di cassazione, il motivo di ricorso di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio. Il che significa che alla Corte di legittimità non può essere chiesta una nuova attività istruttoria ed è principio altrettanto pacifico in giurisprudenza che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento di fatto compiuto dai giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che lo scrutinio dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’àmbito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione che ne ha fatto il giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (ex plurimis, Cass. 7/04/2017, n. 9097; Cass. 07/03/2018, n. 5355; Cass. 13/06/2023, n. 16781);
5.2. ciò precisato, quanto al primo motivo, rileva la Corte che il Tribunale di Napoli, con motivazione congrua e priva di vizi logici, ha spiegato che il compenso di € 30.000,00, liquidato all’amministratore durante lo svolgimento dell’incarico, si riferiva all’attività dal medesimo svolta nell’àmbito del procedimento penale oggetto di questo giudizio e non ad una diversa attività (la gestione della B. Srl), come era desumibile dal contenuto dell’istanza di liquidazione presentata dal ricorrente in data 12/01/2015.
Con riferimento, al terzo motivo, il giudice, anche questa volta con insindacabile apprezzamento di fatto, pone l’accento sull’attività dell’amministratore giudiziario, come documentata in atti, e nega che al richiedente spetti un compenso in aggiunta agli acconti ricevuti in ragione del fatto che l’ausiliario, in definitiva, ha svolto in maniera infedele l’attività gestoria, ha violato le norme di legge e ha tenuto condotte contrarie agli interessi della procedura e, per tali motivi, è stato revocato;
6 il secondo motivo è infondato;
6.1. il Tribunale di Napoli, senza violare l’art. 2 octies, legge n. 575 del 1965 (“Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere”), quale norma che, per quanto qui interessa, disciplina la liquidazione delle spese di amministrazione dei beni sequestrati, come sopra evidenziato (punto 5.2.), ha ritenuto che, oltre ai compensi liquidati a titolo di acconto, null’altro fosse dovuto all’amministratore giudiziario, in mancanza di prova di un’utile gestione successiva o, meglio, in ragione del fatto che, nella parte finale dell’amministrazione, l’ausiliario del giudice penale aveva tenuto condotte illegittime che avevano portato alla sua revoca;
7. il quarto motivo è infondato;
7.1. la tesi del ricorrente è che gli artt. 3 e 4, del d.P.R. n. 177 del 2015 (“Regolamento recante disposizioni in materia di modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari […]”), al pari della normativa precedente, non prevedono l’esclusione del compenso nell’ipotesi di revoca dell’amministratore. Il ricorrente trascura che il presupposto implicito, ma imprescindibile, degli artt. 3 e 4, cit., che dettano i criteri per la determinazione, l’aumento e la riduzione del compenso, è che l’amministratore abbia maturato il diritto al compenso per avere bene adempiuto all’attività demandatagli dall’A.G. Nella specie, i giudici di merito (prima il GIP e, successivamente, in sede di opposizione, il Tribunale civile di Napoli), con accertamento di fatto insindacabile dalla Cassazione, hanno escluso la liquidazione di un ulteriore compenso, oltre all’anticipo liquidato nel corso della procedura, a causa dell’inadempimento dell’ausiliario, il quale aveva tenuto delle condotte in contrasto con la legge, con gli interessi della procedura, e con le direttive dell’A.G., tanto da renderne necessaria la revoca. In conclusione, va enunciato il seguente principio di diritto: «In tema di liquidazione dei compensi a favore dell’ausiliario del giudice (come nell’ipotesi dell’amministratore giudiziario di beni sequestrati nell’àmbito di un procedimento penale), il presupposto implicito, ma indefettibile, dell’attribuzione del compenso, a titolo di acconto e/o di saldo, è che l’ausiliario, nello svolgimento dell’incarico, si attenga alle direttive del giudice e che non ponga in essere condotte in contrasto con la legge o con gli interessi della procedura»;
8. in conclusione, respinti il secondo e il quarto motivo, dichiarati inammissibili il primo e il terzo motivo, il ricorso è rigettato;
9. le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza; 10. ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 10.000,00, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda