verbale di cessione di azienda, operata ai sensi del d.P.R. 26 aprile
1986, n. 131, art. 15, comma 1, lett. d), è fondata su di un autonomo
presupposto che, da un lato, rende la disposizione inconciliabile con i
criteri di interpretazione previsti (ai sensi dello stesso d.P.R., art. 20)
a riguardo dell’atto presentato per la registrazione e che, dall’altro,
impone una specifica verifica strettamente consequenziale ai dati di
presunzione che la stessa disposizione correla al potere di registrazione
di ufficio.
??????1. – Il ricorso è articolato sui seguenti motivi:
1.1 – il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e
falsa
applicazione del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, deducendo
le
ricorrenti che – avuto riguardo alla riformulazione di detta
disposizione,
ad opera della l. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett.
a),
ed al successivo intervento del legislatore che, con la l. 30
dicembre
2018, n. 145, art. 1, comma 1084, ne aveva precisato la portata
in
termini di interpretazione autentica dell’art. 20, cit. – ai fini
della
riqualificazione dell’atto, registrato di ufficio, il giudice del
merito non
avrebbe potuto prendere in considerazione la pluralità delle
operazioni
(in tesi) finalizzate alla cessione (cd. a spezzatino) del ramo
aziendale,
diversamente rilevando (solo) gli effetti giuridici del contratto
(verbale)
concluso tra le parti, e senz’alcuna considerazione di elementi
extratestuali ovvero degli atti collegati;
1.2 – col secondo motivo, sempre ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., le ricorrenti denunciano violazione e
falsa
applicazione di legge con riferimento alla l. 27 luglio 2000, n.
212, art.
7, ed al d.l. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2-quater, conv. in l.
30
novembre 1994, n. 656, assumendo che – siccome il potere di
autotutela cd. sostitutiva esercitato con correzione
dell’oggetto
dell’imposizione, e dunque nel merito della pretesa impositiva
piuttosto
che in emenda di vizi formali – il giudice del gravame avrebbe
dovuto
rilevare la violazione del principio di unicità dell’accertamento
con
conseguente abuso del potere di annullamento in autotutela
sostitutiva;
1.3 – il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo
comma,
n. 4, cod. proc. civ., reca la denuncia di nullità della gravata
sentenza
per violazione del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, e
dell’art.
132 cod. proc. civ., sull’assunto che, con motivazione apparente –
in
quanto incentrata sulla considerazione di un diritto al rimborso
che non
era stato dedotto in giudizio - il giudice del gravame aveva
definito il
motivo di impugnazione col quale si era (diversamente)
censurata
l’illegittimità della nuova irrogazione della sanzione, operata
con
l’avviso di liquidazione sostitutivo di quello originariamente
emesso, ed
atteso che le sanzioni (già) irrogate erano state definite in via
agevolata
ai sensi del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 17, comma 2.
2. – Il primo motivo di ricorso è fondato, e va accolto, per
quanto
di ragione.
Occorre premettere, al riguardo, che, in base al principio iura
novit
curia, la Corte può individuare d'ufficio i profili di diritto
rilevanti per
decidere le questioni sottoposte con i motivi di impugnazione in
quanto,
nell'esercizio del potere di qualificazione giuridica dei fatti, la
Corte di
cassazione può ritenere fondata la questione sollevata dal ricorso
e,
così, accoglierla, per una ragione di diritto anche diversa da
quella
prospettata dal ricorrente, purchè la riqualificazione operata
sulla base
dei fatti per come accertati nelle fasi di merito, fermo
restando,
peraltro, che l'esercizio del potere di qualificazione non deve
inoltre
confliggere con il principio del monopolio della parte
nell'esercizio della
domanda e delle eccezioni in senso stretto (Cass., 5 ottobre 2021,
n.
26991; Cass., 13 ottobre 2020, n. 22037; Cass., 28 luglio 2017,
n.
18775; Cass., 24 luglio 2014, n. 16867; Cass., 14 febbraio 2014,
n.
3437; Cass., 22 marzo 2007, n. 6935; Cass., 29 settembre 2005,
n.
19132).
Per di più, la Corte ha rimarcato che la forza degli effetti
stabiliti
dall'art. 2909 cod. civ. opera soltanto rispetto alle questioni su
cui il
provvedimento giurisdizionale si sia soffermato e non rispetto
a
statuizioni meramente apodittiche (v. Cass., 7 dicembre 2021,
n.
38767; Cass. Sez. U., 2 dicembre 2016, n. 24646; v., altresì,
Cass.,
20 marzo 2014, n. 6543; Cass., 25 novembre 2010, n. 23918;
Cass.,
6 agosto 2009, n. 18041); nonché che il giudicato interno non
si
determina sul fatto ma su una statuizione minima della
sentenza,
costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed
effetto
(Cass., 19 ottobre 2022, n. 30728).
3. – Tanto premesso va, quindi, rilevato che il giudice del
gravame
ha definito la lite contestata – in relazione al presupposto
impositivo
che, nella fattispecie, viene in effetti in considerazione –
operandone la
qualificazione su di una disposizione (d.P.R. 26 aprile 1986, n.
131, art.
20) che, per un verso, risulta malamente applicata e che, per il
restante, non può ritenersi conferente con la causa petendi
dell’atto impositivo che – come lo stesso giudice del merito rileva
– si connette
alla fattispecie di un contratto verbale di cessione di azienda
oggetto di
registrazione di ufficio [d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 15,
comma
1, lett. d)].
3.1 – Sotto il primo versante, difatti, la qualificazione operata
risulta illegittima in relazione, innanzitutto, alla riformulazione
dell’art. 20, cit., ad opera della l. 27 dicembre 2017, n. 205,
art. 1, comma 87,
lett. a),
- secondo il cui disposto «L'imposta è applicata secondo la
intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla
registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma
apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto
medesimo,
prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso
collegati, salvo
quanto disposto dagli articoli successivi.» - ed al successivo
intervento
legislativo che detta disposizione ha qualificato in termini di
«interpretazione autentica del testo unico di cui al D.P.R. 26
aprile
1986, n. 131, art. 20, comma 1.» (l. 30 dicembre 2018, n. 145, art.
1,
comma 1084).
Disposizioni, queste, la cui legittimità costituzionale è stata
riconosciuta dal Giudice delle Leggi (v. Corte Cost., 21 luglio
2020, n.
158; Corte Cost. 16 marzo 2021, n. 39) ed alla cui stregua
questa
Corte ha rimarcato che il ricordato principio giurisprudenziale del
rilievo
preminente da attribuire alla «causa reale» del negozio, ovvero
alla
regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai
contraenti (cd. prevalenza della sostanza sulla forma), può
continuare
ad essere fatto valere dall’amministrazione - con riferimento agli
effetti
giuridici dell’atto presentato per la registrazione - seppur nei
(più
ristretti) limiti della unicità del dato documentale (instrumentum)
che
non consente più la considerazione di elementi extra-testuali
ovvero di
atti collegati, e che impone un’interpretazione ab intrinseco del
gestum
(v. Cass., 28 gennaio 2022, n. 2677; Cass., 22 aprile 2021, n.
10688;
Cass., 1 aprile 2021, n. 9065); nonché che la funzione antielusiva
deve
essere fatta valere dietro applicazione della l. 27 luglio 2000, n.
212,
art. 10-bis (Cass., 22 aprile 2021, n. 10688, cit.; v. altresì,
in
motivazione, Cass., 20 luglio 2023, n. 21535).
3.2 – Sotto, invece, il secondo versante, sta di fatto che, per
come
assumono le parti ricorrenti – e per come risulta dalle stesse
pronunce
dei giudici di merito – la fattispecie impositiva è stata fondata
sulla
registrazione di ufficio di un contratto verbale di cessione di
azienda,
ai sensi del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 15, comma 1, lett.
b),
alla cui stregua la registrazione di siffatti contratti verbali «è
eseguita
d'ufficio, previa riscossione dell'imposta dovuta: … d) … quando,
in
difetto di prova diretta, la loro esistenza risulti, continuando
nello
stesso locale o in parte di esso la stessa attività commerciale,
da
cambiamenti nella ditta, nell'insegna o nella titolarità
dell'esercizio
ovvero da altre presunzioni gravi, precise e concordanti».
Ed è (del tutto) evidente che la fattispecie, così delineata, ha
un
suo autonomo presupposto che, per un verso, è (logicamente)
inconciliabile con i criteri di interpretazione previsti a riguardo
di un
atto presentato per la registrazione (art. 20, cit.) – ché, se il
contratto
è concluso verbis, non può sussistere né il dato documentale
(instrumentum) né il gestum (che non consente più la
considerazione
di elementi extra-testuali ovvero di atti collegati, e che
impone
un’interpretazione ab intrinseco) – e che, per il restante, impone
una
verifica strettamente consequenziale ai dati (di presunzione) che
la
sopra riportata disposizione correla al potere di registrazione di
ufficio
di un contratto verbale di cessione di azienda.
3.3 – Come, poi, rimarcato dalla Corte, la registrazione di ufficio
–
oltrechè la prova diretta della cessione, qual in ipotesi
correlabile al
riscontro documentale della cessione (già) perfezionatasi verbis
–
presuppone che della cessione di azienda venga fornita prova
(indiretta) «fondata sulla presunzione legale (art. 2728 c.c.) data
da
cambiamenti relativi alla ditta, all'insegna o alla titolarità
dell'esercizio
dell'impresa nonostante la continuazione della medesima
attività
commerciale nello stesso locale (o in parte di esso) oppure - senza
che
la stabile permanenza dei beni strumentali nei locali originari
dell'impresa costituisca presupposto imprescindibile per il
riconoscimento di un effettivo trasferimento della titolarità
dell'azienda
- … desunta da indizi, connotati dai requisiti di gravità,
precisione e
concordanza (ex art. 2729 c.c.), come tali idonei a dimostrare
il
trasferimento del complesso aziendale anche in caso di
continuazione
dell'impresa da parte del cessionario in altri locali» (Cass., 15
luglio
2022, n. 22327).
3.3.1 - Difatti, con consolidato orientamento interpretativo,
la
Corte ha statuito che deve qualificarsi quale cessione di azienda
la
cessione di beni strumentali atti, nel loro complesso e nella
loro
interdipendenza, all'esercizio di impresa, mentre la cessione di
singoli
beni, inidonei di per sè ad integrare la potenzialità produttiva
propria
dell'impresa, deve essere assoggettata ad IVA; ai fini
dell'assoggettamento all'imposta di registro non si richiede
che
l'esercizio dell'impresa sia attuale, essendo sufficiente
l'attitudine
potenziale all'utilizzo per un'attività d'impresa, nè è esclusa la
cessione
d'azienda per il fatto che non risultino cedute anche le
relazioni
finanziarie, commerciali e personali (Cass., 17 novembre 2017,
n.
27290; Cass., 22 gennaio 2013, n. 1405; Cass., 19 novembre
2007,
n. 23857; Cass., 25 gennaio 2002, n. 897; Cass., 28 aprile 1998,
n.
4319).
Così che può rientrare nella fattispecie della cessione di
azienda
anche una sola parte dei beni ceduti che, pur non comprendendo
tutti
quelli che appartenevano all'azienda oggetto di cessione, abbia
tuttavia
mantenuto un'organizzazione autonoma idonea a consentire di
esercitare un'attività d'impresa, seppur con inevitabili
integrazioni che
il cessionario abbia dovuto porre in essere (Cass., 15 luglio 2022,
n.
22327, cit.; Cass., 8 maggio 2013, n. 10740).
3.4 - In un siffatto contesto regolatorio, il giudice del
gravame
avrebbe dovuto, per l’appunto, accertare – piuttosto che la
cessione di
azienda era conseguita da una pluralità di atti tra di loro
collegati,
secondo una fattispecie progressiva riconducibile (in tesi)
alla
disposizione di cui al d.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, – che, alla
data
individuata nell’atto impositivo quale momento di perfezionamento
del
contratto verbale in questione, si fossero verificate le sopra
indicate
condizioni legittimanti la registrazione di ufficio e, nello
specifico, che
ricorressero o la presunzione legale costituita da cambiamenti
relativi
alla ditta, all'insegna o alla titolarità dell'esercizio
dell'impresa,
nonostante la continuazione della medesima attività commerciale
nello
stesso locale ovvero indizi gravi, precisi e concordanti in ordine
al
trasferimento dei beni costituenti (almeno) un nucleo di
organizzazione
finalizzato ex ante all'esercizio dell'attività di impresa e,
dunque, di per
sè idoneo a consentire l'inizio o la continuazione di quella
determinata
attività.
Accertamenti, questi, che in effetti sono (del tutto) mancati
in
difetto (sinanche) di una individuazione dello stesso oggetto
dell’attività di impresa al cui esercizio il complesso dei beni
organizzati
avrebbe dovuto essere destinato.
3.5 – Va conclusivamente enunciato il seguente principio di
diritto:
«In tema di imposta di registro, la registrazione di ufficio del
contratto
verbale di cessione di azienda, operata ai sensi del d.P.R. 26
aprile
1986, n. 131, art. 15, comma 1, lett. d), è fondata su di un
autonomo
presupposto che, da un lato, rende la disposizione inconciliabile
con i
criteri di interpretazione previsti (ai sensi dello stesso d.P.R.,
art. 20)
a riguardo dell’atto presentato per la registrazione e che,
dall’altro,
impone una specifica verifica strettamente consequenziale ai dati
di
presunzione che la stessa disposizione correla al potere di
registrazione
di ufficio.».
4.– Il secondo motivo di ricorso è destituito di fondamento.
Per come deducono le stesse ricorrenti, l’esercizio
dell’autotutela
ha avuto riguardo al petitum degli avvisi di liquidazione, così
che
correttamente la gravata sentenza – il cui dispositivo è conforme
a
diritto - ha dato applicazione al principio di diritto secondo il
quale in
tema di domanda ed eccezione nel processo tributario, le parti
conservano la disponibilità dei diritti in contestazione, con
la
conseguenza che, qualora l'amministrazione si avveda che è corretta
e da accogliere una contestazione mossa dal contribuente, non
per
questo essa deve rinnovare l'intero procedimento
amministrativo,
spesso ormai precluso dai termini di decadenza, ma ha il
potere-dovere
di semplicemente ridurre la domanda rinunciando ad una parte di
essa
(Cass., 29 dicembre 2020, n. 29732; Cass., 21 giugno 2017, n.
15413;
Cass., 23 maggio 2014, n. 11470; Cass., 18 luglio 2003, n.
11265).
4.1 - La Corte in più occasioni ha rimarcato che la modifica in
diminuzione dell'originario avviso di accertamento non esprime
una
nuova pretesa tributaria, limitandosi a ridurre quella originaria,
per cui
non costituisce atto nuovo, ma solo revoca parziale di quello
precedente, che non deve rispettare il termine decadenziale di
esercizio
del potere impositivo (Cass., 4 agosto 2022, n. 24297; Cass., 27
aprile
2022, n. 13141; Cass., 8 giugno 2016, n. 11699).
E, sinanche con riferimento a provvedimenti definitivi, si è
rilevato
che l'annullamento parziale adottato dall'Amministrazione in via
di
autotutela, o comunque il provvedimento di portata riduttiva
rispetto
alla pretesa contenuta in atti divenuti definitivi, non rientra
nella
previsione di cui all'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 e non è
quindi
impugnabile, non comportando alcuna effettiva innovazione
lesiva
degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto
e
consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del
precedente
accertamento, laddove, invece, deve ritenersi ammissibile
un'autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata
ampliativa
rispetto all'originaria pretesa (Cass., 15 aprile 2016, n. 7511 cui
adde
Cass., 16 novembre 2018, n. 29595).
5. – Il terzo motivo è, per converso, fondato, e va accolto.
5.1 – Come risulta dalla stessa gravata sentenza, tra i motivi
di
appello proposti figurava (anche) la censura relativa alla
«illegittima
reiterazione del procedimento sanzionatorio; violazione e falsa
applicazione del principio della sanzione unica
amministrativa».
Il giudice del gravame – nel rilevare, come anticipato,
l’improponibilità in giudizio della domanda di rimborso – in
effetti ha
reso una pronuncia che risulta (del tutto) inconferente col
contenuto
della censura articolata in appello, così che ha omesso di
pronunciare
– come, in buona sostanza, il motivo di ricorso prospetta –
sulla
deduzione dell’effetto preclusivo che, nella fattispecie,
conseguiva dalla
definizione agevolata della sanzione (d.lgs. n. 472 del 1997, art.
17,
comma 2).
Questione, quella in discorso, che la Corte ha in più occasioni
esaminato, statuendo che l'adesione all'applicazione delle sanzioni
in
misura ridotta ai sensi del d.lgs. n. 472 del 1997 (artt. 16 e
17)
definisce irrevocabilmente ogni questione inerente l'aspetto
sanzionatorio del rapporto tributario in contestazione,
precludendo
all'amministrazione finanziaria di irrogare maggiori sanzioni ed
al
contribuente di ripetere le somme versate bonariamente (v. Cass.,
5
marzo 2021, n. 6126; Cass., 16 febbraio 2021, n. 3984, in
motivazione; Cass., 22 settembre 2015, n. 18740; Cass., 13
novembre
2013, n. 25493).
6. - L’impugnata sentenza va, pertanto, cassata in relazione ai
motivi di ricorso accolti e la causa va rinviata, anche per la
disciplina
delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia
tributaria di
secondo grado della Toscana che, in diversa composizione,
procederà
al riesame della controversia attenendosi ai principi di diritto
sopra
esposti (sub § 3. e § 5.).
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo ed il terzo motivo di ricorso,
rigetta il
secondo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai
motivi
accolti e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di
legittimità,
alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana,
in
diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 febbraio
2024