Giu La registrazione di ufficio del contratto verbale di cessione di azienda impone una specifica verifica strettamente consequenziale ai dati di presunzione che la stessa disposizione correla al potere di registrazione di ufficio.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 26 giugno 2024 N. 17642
Massima
In tema di imposta di registro, la registrazione di ufficio del contratto
verbale di cessione di azienda, operata ai sensi del d.P.R. 26 aprile
1986, n. 131, art. 15, comma 1, lett. d), è fondata su di un autonomo
presupposto che, da un lato, rende la disposizione inconciliabile con i
criteri di interpretazione previsti (ai sensi dello stesso d.P.R., art. 20)
a riguardo dell’atto presentato per la registrazione e che, dall’altro,
impone una specifica verifica strettamente consequenziale ai dati di
presunzione che la stessa disposizione correla al potere di registrazione
di ufficio.

Casus Decisus
1. – Con sentenza n. 1608, depositata il 18 settembre 2018, la Commissione tributaria regionale della Toscana ha rigettato l’appello proposto dalle parti, odierne ricorrenti, così integralmente confermando il decisum di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di liquidazione (n. 2014/ORA00026) emesso in relazione alla registrazione di ufficio di un atto (del 13 ottobre 2011) che recava cessione di un ramo di azienda. 1.1 – Il giudice del gravame, per quel che qui (ancora) rileva, ha considerato che: - legittimamente l’amministrazione aveva annullato d’ufficio un precedente avviso di liquidazione, così facendo ricorso al potere di autotutela cd. sostitutiva, in quanto il nuovo avviso di liquidazione era stato emesso sulla base di una mera rivalutazione dei dati già posti a fondamento dell’originario atto impositivo – senza introduzione, dunque, di nuovi e sopravvenuti elementi, – dati che erano già a conoscenza delle contribuenti, così che non sussisteva nemmeno il dedotto difetto di motivazione dell’atto; - del pari legittimamente l’amministrazione aveva qualificato l’atto, sottoposto a tassazione, in termini di cessione di azienda, in quanto, ai sensi del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, doveva aversi riguardo alla causa reale dell’atto ed agli interessi effettivamente perseguiti dalle parti, secondo dicta della giurisprudenza di legittimità dovendosi, perciò, ritenere legittima la relativa riqualificazione, qual operata dall’amministrazione, in fattispecie (cd. a spezzatino, ed a formazione progressiva) connotata da una pluralità di operazioni finalizzate alla cessione di un ramo aziendale, ed in esito alla quale la cessionaria aveva conseguito i principali beni dell’azienda ceduta, oltrechè «attrezzature, materiali, personale e avviamento»; - dal carattere pienamente sostitutivo dell’avviso di liquidazione impugnato conseguiva, altresì, che il diritto al rimborso di quanto versato in relazione al precedente avviso di liquidazione non poteva essere dedotto in giudizio ma andava perseguito sulla base di specifica istanza di rimborso. 2. – H. S.r.l. e N. S.r.l. ricorrono per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 26 giugno 2024 N. 17642 Sorrentino Federico


??????1. – Il ricorso è articolato sui seguenti motivi:
1.1 – il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa
applicazione del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, deducendo le
ricorrenti che – avuto riguardo alla riformulazione di detta disposizione,
ad opera della l. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a),
ed al successivo intervento del legislatore che, con la l. 30 dicembre
2018, n. 145, art. 1, comma 1084, ne aveva precisato la portata in
termini di interpretazione autentica dell’art. 20, cit. – ai fini della
riqualificazione dell’atto, registrato di ufficio, il giudice del merito non
avrebbe potuto prendere in considerazione la pluralità delle operazioni
(in tesi) finalizzate alla cessione (cd. a spezzatino) del ramo aziendale,
diversamente rilevando (solo) gli effetti giuridici del contratto (verbale)
concluso tra le parti, e senz’alcuna considerazione di elementi
extratestuali ovvero degli atti collegati;
1.2 – col secondo motivo, sempre ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., le ricorrenti denunciano violazione e falsa
applicazione di legge con riferimento alla l. 27 luglio 2000, n. 212, art.
7, ed al d.l. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2-quater, conv. in l. 30
novembre 1994, n. 656, assumendo che – siccome il potere di
autotutela cd. sostitutiva esercitato con correzione dell’oggetto
dell’imposizione, e dunque nel merito della pretesa impositiva piuttosto
che in emenda di vizi formali – il giudice del gravame avrebbe dovuto
rilevare la violazione del principio di unicità dell’accertamento con
conseguente abuso del potere di annullamento in autotutela
sostitutiva;
1.3 – il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma,
n. 4, cod. proc. civ., reca la denuncia di nullità della gravata sentenza
per violazione del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, e dell’art.
132 cod. proc. civ., sull’assunto che, con motivazione apparente – in
quanto incentrata sulla considerazione di un diritto al rimborso che non
era stato dedotto in giudizio - il giudice del gravame aveva definito il
motivo di impugnazione col quale si era (diversamente) censurata
l’illegittimità della nuova irrogazione della sanzione, operata con
l’avviso di liquidazione sostitutivo di quello originariamente emesso, ed
atteso che le sanzioni (già) irrogate erano state definite in via agevolata
ai sensi del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 17, comma 2.
2. – Il primo motivo di ricorso è fondato, e va accolto, per quanto
di ragione.
Occorre premettere, al riguardo, che, in base al principio iura novit
curia, la Corte può individuare d'ufficio i profili di diritto rilevanti per
decidere le questioni sottoposte con i motivi di impugnazione in quanto,
nell'esercizio del potere di qualificazione giuridica dei fatti, la Corte di
cassazione può ritenere fondata la questione sollevata dal ricorso e,
così, accoglierla, per una ragione di diritto anche diversa da quella
prospettata dal ricorrente, purchè la riqualificazione operata sulla base
dei fatti per come accertati nelle fasi di merito, fermo restando,
peraltro, che l'esercizio del potere di qualificazione non deve inoltre
confliggere con il principio del monopolio della parte nell'esercizio della
domanda e delle eccezioni in senso stretto (Cass., 5 ottobre 2021, n.
26991; Cass., 13 ottobre 2020, n. 22037; Cass., 28 luglio 2017, n.
18775; Cass., 24 luglio 2014, n. 16867; Cass., 14 febbraio 2014, n.
3437; Cass., 22 marzo 2007, n. 6935; Cass., 29 settembre 2005, n.
19132).
Per di più, la Corte ha rimarcato che la forza degli effetti stabiliti
dall'art. 2909 cod. civ. opera soltanto rispetto alle questioni su cui il
provvedimento giurisdizionale si sia soffermato e non rispetto a
statuizioni meramente apodittiche (v. Cass., 7 dicembre 2021, n.
38767; Cass. Sez. U., 2 dicembre 2016, n. 24646; v., altresì, Cass.,
20 marzo 2014, n. 6543; Cass., 25 novembre 2010, n. 23918; Cass.,
6 agosto 2009, n. 18041); nonché che il giudicato interno non si
determina sul fatto ma su una statuizione minima della sentenza,
costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto
(Cass., 19 ottobre 2022, n. 30728).
3. – Tanto premesso va, quindi, rilevato che il giudice del gravame
ha definito la lite contestata – in relazione al presupposto impositivo
che, nella fattispecie, viene in effetti in considerazione – operandone la
qualificazione su di una disposizione (d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art.
20) che, per un verso, risulta malamente applicata e che, per il restante, non può ritenersi conferente con la causa petendi dell’atto impositivo che – come lo stesso giudice del merito rileva – si connette
alla fattispecie di un contratto verbale di cessione di azienda oggetto di
registrazione di ufficio [d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 15, comma
1, lett. d)].
3.1 – Sotto il primo versante, difatti, la qualificazione operata risulta illegittima in relazione, innanzitutto, alla riformulazione dell’art. 20, cit., ad opera della l. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87,
lett. a),
- secondo il cui disposto «L'imposta è applicata secondo la
intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo,
prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo
quanto disposto dagli articoli successivi.» - ed al successivo intervento
legislativo che detta disposizione ha qualificato in termini di
«interpretazione autentica del testo unico di cui al D.P.R. 26 aprile
1986, n. 131, art. 20, comma 1.» (l. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1,
comma 1084).
Disposizioni, queste, la cui legittimità costituzionale è stata
riconosciuta dal Giudice delle Leggi (v. Corte Cost., 21 luglio 2020, n.
158; Corte Cost. 16 marzo 2021, n. 39) ed alla cui stregua questa
Corte ha rimarcato che il ricordato principio giurisprudenziale del rilievo
preminente da attribuire alla «causa reale» del negozio, ovvero alla
regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai
contraenti (cd. prevalenza della sostanza sulla forma), può continuare
ad essere fatto valere dall’amministrazione - con riferimento agli effetti
giuridici dell’atto presentato per la registrazione - seppur nei (più
ristretti) limiti della unicità del dato documentale (instrumentum) che
non consente più la considerazione di elementi extra-testuali ovvero di
atti collegati, e che impone un’interpretazione ab intrinseco del gestum
(v. Cass., 28 gennaio 2022, n. 2677; Cass., 22 aprile 2021, n. 10688;
Cass., 1 aprile 2021, n. 9065); nonché che la funzione antielusiva deve
essere fatta valere dietro applicazione della l. 27 luglio 2000, n. 212,
art. 10-bis (Cass., 22 aprile 2021, n. 10688, cit.; v. altresì, in
motivazione, Cass., 20 luglio 2023, n. 21535).
3.2 – Sotto, invece, il secondo versante, sta di fatto che, per come
assumono le parti ricorrenti – e per come risulta dalle stesse pronunce
dei giudici di merito – la fattispecie impositiva è stata fondata sulla
registrazione di ufficio di un contratto verbale di cessione di azienda,
ai sensi del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 15, comma 1, lett. b),
alla cui stregua la registrazione di siffatti contratti verbali «è eseguita
d'ufficio, previa riscossione dell'imposta dovuta: … d) … quando, in
difetto di prova diretta, la loro esistenza risulti, continuando nello
stesso locale o in parte di esso la stessa attività commerciale, da
cambiamenti nella ditta, nell'insegna o nella titolarità dell'esercizio
ovvero da altre presunzioni gravi, precise e concordanti».
Ed è (del tutto) evidente che la fattispecie, così delineata, ha un
suo autonomo presupposto che, per un verso, è (logicamente)
inconciliabile con i criteri di interpretazione previsti a riguardo di un
atto presentato per la registrazione (art. 20, cit.) – ché, se il contratto
è concluso verbis, non può sussistere né il dato documentale
(instrumentum) né il gestum (che non consente più la considerazione
di elementi extra-testuali ovvero di atti collegati, e che impone
un’interpretazione ab intrinseco) – e che, per il restante, impone una
verifica strettamente consequenziale ai dati (di presunzione) che la
sopra riportata disposizione correla al potere di registrazione di ufficio
di un contratto verbale di cessione di azienda.
3.3 – Come, poi, rimarcato dalla Corte, la registrazione di ufficio –
oltrechè la prova diretta della cessione, qual in ipotesi correlabile al
riscontro documentale della cessione (già) perfezionatasi verbis –
presuppone che della cessione di azienda venga fornita prova
(indiretta) «fondata sulla presunzione legale (art. 2728 c.c.) data da
cambiamenti relativi alla ditta, all'insegna o alla titolarità dell'esercizio
dell'impresa nonostante la continuazione della medesima attività
commerciale nello stesso locale (o in parte di esso) oppure - senza che
la stabile permanenza dei beni strumentali nei locali originari
dell'impresa costituisca presupposto imprescindibile per il
riconoscimento di un effettivo trasferimento della titolarità dell'azienda
- … desunta da indizi, connotati dai requisiti di gravità, precisione e
concordanza (ex art. 2729 c.c.), come tali idonei a dimostrare il
trasferimento del complesso aziendale anche in caso di continuazione
dell'impresa da parte del cessionario in altri locali» (Cass., 15 luglio
2022, n. 22327).
3.3.1 - Difatti, con consolidato orientamento interpretativo, la
Corte ha statuito che deve qualificarsi quale cessione di azienda la
cessione di beni strumentali atti, nel loro complesso e nella loro
interdipendenza, all'esercizio di impresa, mentre la cessione di singoli
beni, inidonei di per sè ad integrare la potenzialità produttiva propria
dell'impresa, deve essere assoggettata ad IVA; ai fini
dell'assoggettamento all'imposta di registro non si richiede che
l'esercizio dell'impresa sia attuale, essendo sufficiente l'attitudine
potenziale all'utilizzo per un'attività d'impresa, nè è esclusa la cessione
d'azienda per il fatto che non risultino cedute anche le relazioni
finanziarie, commerciali e personali (Cass., 17 novembre 2017, n.
27290; Cass., 22 gennaio 2013, n. 1405; Cass., 19 novembre 2007,
n. 23857; Cass., 25 gennaio 2002, n. 897; Cass., 28 aprile 1998, n.
4319).
Così che può rientrare nella fattispecie della cessione di azienda
anche una sola parte dei beni ceduti che, pur non comprendendo tutti
quelli che appartenevano all'azienda oggetto di cessione, abbia tuttavia
mantenuto un'organizzazione autonoma idonea a consentire di
esercitare un'attività d'impresa, seppur con inevitabili integrazioni che
il cessionario abbia dovuto porre in essere (Cass., 15 luglio 2022, n.
22327, cit.; Cass., 8 maggio 2013, n. 10740).
3.4 - In un siffatto contesto regolatorio, il giudice del gravame
avrebbe dovuto, per l’appunto, accertare – piuttosto che la cessione di
azienda era conseguita da una pluralità di atti tra di loro collegati,
secondo una fattispecie progressiva riconducibile (in tesi) alla
disposizione di cui al d.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, – che, alla data
individuata nell’atto impositivo quale momento di perfezionamento del
contratto verbale in questione, si fossero verificate le sopra indicate
condizioni legittimanti la registrazione di ufficio e, nello specifico, che
ricorressero o la presunzione legale costituita da cambiamenti relativi
alla ditta, all'insegna o alla titolarità dell'esercizio dell'impresa,
nonostante la continuazione della medesima attività commerciale nello
stesso locale ovvero indizi gravi, precisi e concordanti in ordine al
trasferimento dei beni costituenti (almeno) un nucleo di organizzazione
finalizzato ex ante all'esercizio dell'attività di impresa e, dunque, di per
sè idoneo a consentire l'inizio o la continuazione di quella determinata
attività.
Accertamenti, questi, che in effetti sono (del tutto) mancati in
difetto (sinanche) di una individuazione dello stesso oggetto
dell’attività di impresa al cui esercizio il complesso dei beni organizzati
avrebbe dovuto essere destinato.
3.5 – Va conclusivamente enunciato il seguente principio di diritto:
«In tema di imposta di registro, la registrazione di ufficio del contratto
verbale di cessione di azienda, operata ai sensi del d.P.R. 26 aprile
1986, n. 131, art. 15, comma 1, lett. d), è fondata su di un autonomo
presupposto che, da un lato, rende la disposizione inconciliabile con i
criteri di interpretazione previsti (ai sensi dello stesso d.P.R., art. 20)
a riguardo dell’atto presentato per la registrazione e che, dall’altro,
impone una specifica verifica strettamente consequenziale ai dati di
presunzione che la stessa disposizione correla al potere di registrazione
di ufficio.».

4.– Il secondo motivo di ricorso è destituito di fondamento.
Per come deducono le stesse ricorrenti, l’esercizio dell’autotutela
ha avuto riguardo al petitum degli avvisi di liquidazione, così che
correttamente la gravata sentenza – il cui dispositivo è conforme a
diritto - ha dato applicazione al principio di diritto secondo il quale in
tema di domanda ed eccezione nel processo tributario, le parti
conservano la disponibilità dei diritti in contestazione, con la
conseguenza che, qualora l'amministrazione si avveda che è corretta e da accogliere una contestazione mossa dal contribuente, non per
questo essa deve rinnovare l'intero procedimento amministrativo,
spesso ormai precluso dai termini di decadenza, ma ha il potere-dovere
di semplicemente ridurre la domanda rinunciando ad una parte di essa
(Cass., 29 dicembre 2020, n. 29732; Cass., 21 giugno 2017, n. 15413;
Cass., 23 maggio 2014, n. 11470; Cass., 18 luglio 2003, n. 11265).
4.1 - La Corte in più occasioni ha rimarcato che la modifica in
diminuzione dell'originario avviso di accertamento non esprime una
nuova pretesa tributaria, limitandosi a ridurre quella originaria, per cui
non costituisce atto nuovo, ma solo revoca parziale di quello
precedente, che non deve rispettare il termine decadenziale di esercizio
del potere impositivo (Cass., 4 agosto 2022, n. 24297; Cass., 27 aprile
2022, n. 13141; Cass., 8 giugno 2016, n. 11699).
E, sinanche con riferimento a provvedimenti definitivi, si è rilevato
che l'annullamento parziale adottato dall'Amministrazione in via di
autotutela, o comunque il provvedimento di portata riduttiva rispetto
alla pretesa contenuta in atti divenuti definitivi, non rientra nella
previsione di cui all'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 e non è quindi
impugnabile, non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva
degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto e
consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente
accertamento, laddove, invece, deve ritenersi ammissibile
un'autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa
rispetto all'originaria pretesa (Cass., 15 aprile 2016, n. 7511 cui adde
Cass., 16 novembre 2018, n. 29595).
5. – Il terzo motivo è, per converso, fondato, e va accolto.
5.1 – Come risulta dalla stessa gravata sentenza, tra i motivi di
appello proposti figurava (anche) la censura relativa alla «illegittima
reiterazione del procedimento sanzionatorio; violazione e falsa
applicazione del principio della sanzione unica amministrativa».
Il giudice del gravame – nel rilevare, come anticipato, l’improponibilità in giudizio della domanda di rimborso – in effetti ha
reso una pronuncia che risulta (del tutto) inconferente col contenuto
della censura articolata in appello, così che ha omesso di pronunciare
– come, in buona sostanza, il motivo di ricorso prospetta – sulla
deduzione dell’effetto preclusivo che, nella fattispecie, conseguiva dalla
definizione agevolata della sanzione (d.lgs. n. 472 del 1997, art. 17,
comma 2).
Questione, quella in discorso, che la Corte ha in più occasioni
esaminato, statuendo che l'adesione all'applicazione delle sanzioni in
misura ridotta ai sensi del d.lgs. n. 472 del 1997 (artt. 16 e 17)
definisce irrevocabilmente ogni questione inerente l'aspetto
sanzionatorio del rapporto tributario in contestazione, precludendo
all'amministrazione finanziaria di irrogare maggiori sanzioni ed al
contribuente di ripetere le somme versate bonariamente (v. Cass., 5
marzo 2021, n. 6126; Cass., 16 febbraio 2021, n. 3984, in
motivazione; Cass., 22 settembre 2015, n. 18740; Cass., 13 novembre
2013, n. 25493).
6. - L’impugnata sentenza va, pertanto, cassata in relazione ai
motivi di ricorso accolti e la causa va rinviata, anche per la disciplina
delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di
secondo grado della Toscana che, in diversa composizione, procederà
al riesame della controversia attenendosi ai principi di diritto sopra
esposti (sub § 3. e § 5.).
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il
secondo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi
accolti e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità,
alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in
diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 febbraio 2024