tempestività del ricorso avverso un atto impositivo, nell’ipotesi del
verificarsi di uno degli eventi interruttivi previsti dall’art. 40, comma
1, lett. a), del d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546, la cui disciplina è
estesa dal comma 4 del medesimo articolo anche al computo del
termine di proposizione del ricorso introduttivo della controversia,
deve tenersi conto che la proroga di sei mesi decorre dall’evento e,
se pendenti ulteriori termini che, a prescindere dall’evento
interruttivo, già consentivano di promuovere la controversia oltre
l’ordinario termine di legge, questi riprenderanno a decorrere dal
consumarsi del termine semestrale».
La ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione
dell’art. 40,
comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992. La decisione assunta dalla
Commissione regionale sarebbe fondata su una interpretazione errata
del
comma 4 dell’art. 40 del d.lgs. 546 del 1992, peraltro in contrasto
con l’art. 3 della Costituzione, per una disparità di trattamento
ai fini della tutela del
contribuente avverso atti impositivi impugnabili.
Il motivo è fondato.
Deve intanto riportarsi il testo dell’art. 40 del d.lgs. n. 546 del
1992. In
esso si prevede che «1. Il processo è interrotto se, dopo la
proposizione del
ricorso, si verifica: a) il venir meno, per morte o altre cause, o
la perdita
della capacità di stare in giudizio di una delle parti, diversa
dall'ufficio
tributario, o del suo legale rappresentante o la cessazione di
tale
rappresentanza; b) la morte, la radiazione o sospensione dall'albo
o
dall'elenco di uno dei difensori incaricati a sensi dell'art.
12.
2. L'interruzione
si ha al momento dell'evento se la parte sta in giudizio
personalmente e nei
casi di cui al comma 1, lettera b). In ogni altro caso
l'interruzione si ha al
momento in cui l'evento è dichiarato o in pubblica udienza o per
iscritto con
apposita comunicazione del difensore della parte a cui l'evento si
riferisce.
3. Se uno degli eventi di cui al comma 1 si avvera dopo l'ultimo
giorno per
il deposito di memorie in caso di trattazione della controversia in
camera di
consiglio o dopo la chiusura della discussione in pubblica udienza,
esso non
produce effetto a meno che non sia pronunciata sentenza e il
processo
prosegua davanti al giudice adito.
4. Se uno degli eventi di cui al comma 1,
lettera a), si verifica durante il termine per la proposizione del
ricorso il
termine è prorogato di sei mesi a decorrere dalla data dell'evento.
Si applica
anche a questi termini la sospensione prevista dalla legge 7
ottobre 1969,
numero 742».
Riassumendo ora le scansioni temporali che qui interessano, risulta
che
l’avviso d’accertamento fu notificato alla contribuente, ancora in
bonis, in
data 30 maggio 2011. Il 27 luglio la società presentò istanza di
accertamento
con adesione, ossia al cinquantottesimo giorno dalla notifica. A
partire
dall’istanza ebbe pertanto inizio il decorso del termine di novanta
giorni, così
come prescritto dall’art. 6 del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218. In
data 21
settembre 2011 il Tribunale di Bologna dichiarò il fallimento della
società. Il
ricorso avverso l’avviso d’accertamento fu proposto dal curatore
del
fallimento il 2 maggio 2012.
Secondo l’interpretazione della disciplina, come enunciata
dalla
Commissione regionale, il ricorso era da ritenere inammissibile
perché il termine ultimo per la sua proposizione doveva
individuarsi nel 20 marzo
2012.
L’argomentazione addotta dal giudice d’appello si riassume
nell’opinione
secondo cui il termine semestrale, di cui al citato comma 4
dell’art. 40,
decorre improrogabilmente dall’accadimento di uno degli eventi
elencati nel
comma 1 della medesima norma, dovendosi escludere che il
suddetto
termine sia da aggiungere a quelli ulteriori, di cui al momento
della
dichiarazione di fallimento la contribuente già fruisca o di cui
possa ancora
fruire. Il fondamento di tale argomentazione riposa in una pretesa
esegesi letterale del testo normativo, che non consente di
affermare una equivalenza
della accordata “proroga“ con gli effetti della sospensione o della
interruzione
dei termini che afferiscono ad ipotesi relative ad eventi
verificatisi nel corso
del processo, laddove la fattispecie per cui è causa riguarda la
diversa ipotesi
di evento accaduto nella fase anteriore all’inizio dei processo.
Inoltre, poggia
sulla considerazione che il termine semestrale avrebbe l’effetto
di
“sostituire” qualunque altro termine già pendente. La
giustificazione di tali
conclusioni sono poi individuate nella opinione secondo cui il
termine di
proroga semestrale indica “il punto di massima coniugazione operato
dal
legislatore tra diritto di difesa del contribuente, ampliato a sei
mesi
quand’anche si verifichi contestualmente alla sua decadenza, e
certezza
delle posizioni di diritto tributario oggetto di accertamento da
parte della
amministrazione.
Le ragioni non trovano condivisione.
Intanto è proprio la giustificazione, che il giudice d’appello
intende porre
a fondamento della proposta interpretativa, ad implicare un
contrasto logico
nella ricerca di un equilibrio tra diritto di difesa ed esigenza di
stabilità della
posizione fiscale accertata. Atteso infatti che il termine
semestrale è
riconosciuto dal legislatore a fronte di un evento, il venir meno,
per decesso
o per altre cause, o per la perdita di capacità di stare in
giudizio di una parte
-che non sia l’ufficio- o di chi lo rappresenti, in un momento
corrente tra la
notifica dell’atto impositivo e il promovimento di un giudizio, a
tutela avverso quell’atto impositivo, per ciò solo fa comprendere
come, proprio da una
piana lettura della norma si evince che essa appresti un presidio a
tutela di
chi subentri nella posizione fiscale e nel conseguente diritto di
difesa. Il
termine semestrale è dunque individuato come quello indispensabile
perché
al successore della parte venuta meno sia dato uno spazio temporale
per
prendere consapevolezza e conoscenza dell’atto impositivo,
vagliando
l’opportunità e/o l’utilità di difendersi in sede processuale da
quell’atto. E
poiché l’interpretazione di una norma, posta a presidio del diritto
di difesa,
possa considerarsi corretta, coerente e capace di trattare e
tutelare in egual
misura tutte le ipotesi astrattamente cadenti nella medesima
fattispecie, è
necessario che nessuna di tale ipotesi possa finire per evidenziare
un
trattamento addirittura peggiorativo di chi subentri nella
posizione del
soggetto colpito da uno degli eventi previsto dal comma 1, rispetto
a quello
di cui avrebbe fruito il soggetto originariamente attinto dalla
notifica dell’atto impositivo.
Ebbene, l’interpretazione resa dal collegio regionale si espone
alla facile
constatazione che, nell’ipotesi di evento che colpisca il
destinatario dell’atto
impositivo il giorno seguente o nei giorni immediatamente seguenti
la sua
notifica, al suo successore sarebbe concesso un termine per
impugnare l’atto
appena superiore a quello nella disponibilità del destinatario
originario
dell’atto impositivo.
A tal fine si pensi all’ipotesi del venir meno del legale
rappresentante di
una persona giuridica, ed ai conseguenti tempi tecnici per la nuova
nomina,
ma anche alla più comune ipotesi della identificazione ed
organizzazione dei
successori della persona fisica o, ancora, come nel caso di specie,
i tempi
necessari perché il curatore fallimentare abbia modo di acquisire
necessaria
contezza dei rapporti pendenti del fallito. Non si riuscirebbe ad
intendere
neppure il perché al successore non debba essere riconosciuta la
possibilità
di vagliare l’opportunità di una definizione della posizione
fiscale mediante
accertamento con adesione del rapporto giuridico d’imposta, se non
altro
anche ai soli fini deflattivi del contenzioso tributario.
Ne discende che già di primo acchito l’interpretazione offerta dal
collegio
regionale assume i connotati della irragionevolezza e della
ingiustificata
disparità di trattamento tra i vari destinatari di un provvedimento
impositivo.
Vagliando poi la terminologia utilizzata dal legislatore, il
ricorso al
termine “proroga”, lungi dall’essere altra cosa rispetto al
significante
“sospensione” o “interruzione”, rivela un linguaggio atecnico, ma
che in
alcun modo esclude, con riferimento non all’accadimento intervenuto
nel
corso del processo, ma nello spazio temporale corrente tra il
termine iniziale dal quale il destinatario di un atto impositivo
può adire la via giudiziaria e il
termine ultimo, entro cui sia dato promuovere il contenzioso, gli
effetti
sospensivi dei termini medesimi.
La valenza processuale di quel significante trova anzi il suo
riscontro
proprio nell’espressa previsione che ad esso devono aggiungersi i
termini di
sospensione previsti per il periodo feriale, di cui alla l. 7
ottobre 1969, n.
742.
Ebbene, se il legislatore ha inteso aggiungere la specifica
previsione del
necessario conteggio dei termini di sospensione feriale, non vi è
alcuna
ragione per escludere la sommatoria dei termini ordinari per
l’impugnazione
dell’atto, né quelli, eventuali, di accesso all’istanza di
definizione
dell’accertamento con adesione.
Anzi, per quanto chiarito, il significante “proroga” è proprio lì
a
rappresentare, atecnicamente ma plasticamente, che nelle ipotesi
del venir
meno del soggetto destinatario dell’atto impositivo o del suo
legale
rappresentante, tutti i termini previsti prima del concreto
esercizio del diritto
di promovimento del ricorso avverso l’atto impositivo sono
prorogati di sei
mesi. Conseguentemente, al momento del verificarsi di una delle
ipotesi
previste nel comma 1 dell’art. 40 del d.lgs. n. 546 del 1992, il
successivo
comma 4 impone che qualunque termine, tra quelli ordinariamente o
ancora
eventualmente computabili in rapporto al momento concreto in cui
l’evento
si manifesta, sono prorogati di sei mesi. Sono proprio quei termini
cioè, per
chi subentra nella posizione giuridica soggettiva, ad essere
congelati in
funzione delle scelte ancora operabili prima del promovimento del
giudizio.
Deve dunque affermarsi il principio di diritto secondo cui «Ai fini
della
tempestività del ricorso avverso un atto impositivo, nell’ipotesi
del
verificarsi di uno degli eventi interruttivi previsti dall’art. 40,
comma
1, lett. a), del d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546, la cui disciplina
è
estesa dal comma 4 del medesimo articolo anche al computo del
termine di proposizione del ricorso introduttivo della
controversia,
deve tenersi conto che la proroga di sei mesi decorre dall’evento
e,
se pendenti ulteriori termini che, a prescindere dall’evento
interruttivo, già consentivano di promuovere la controversia
oltre
l’ordinario termine di legge, questi riprenderanno a decorrere
dal
consumarsi del termine semestrale».
Nel caso di specie, al momento della dichiarazione di fallimento,
era
ancora decorrente il termine di novanta giorni per la definizione
con adesione
dell’accertamento, termine a cui risultava applicabile la
sospensione feriale,
ancorché non ancora intervenuta l’espressa previsione normativa
(introdotta
dall'art. 7 quater, comma 18, del d.l n. 193 del 2016, convertito
con
modificazioni dalla legge n. 225 del 2016, secondo cui "I termini
di
sospensione relativi alla procedura di accertamento con adesione
si
intendono cumulabili con il periodo di sospensione feriale
dell'attività
giurisdizionale", e considerata norma interpretativa, valevole
dunque anche
per il passato, come affermato da Cass., 27 dicembre 2019, n.
34490; 21
febbraio 2019, n. 5039). Decorsa dunque la proroga semestrale, il
20 marzo
2012, ha ripreso a decorrere il termine per optare per la
definizione in via
amministrativa con adesione. Tale termine, come calcolato
esattamente
anche dalla Procura Generale, avrebbe maturato il suo decorso il 13
giugno
2012. Ne consegue che il ricorso proposto dal curatore fallimentare
della
società E. il 2 maggio 2012 era da considerarsi tempestivo.
La sentenza, dichiarando invece l’inammissibilità del ricorso per
inutile
decorso del termine per l’impugnazione dell’avviso d’accertamento,
non si è
attenuta al principio di diritto enunciato.
Il ricorso va dunque accolto e la sentenza va cassata.
Alla cassazione della sentenza segue il rinvio della causa alla
Corte di
giustizia di II grado dell’Emilia-Romagna, che in diversa
composizione, oltre
che liquidare le spese processuali del giudizio di legittimità,
procederà ad
esaminare le ragioni dell’appello.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia la causa alla Corte
di giustizia
tributaria di II grado della Emilia-Romagna, cui demanda, in
diversa
composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di
legittimità
Così deciso in Roma, il giorno 17 gennaio 2024.