Giu Non è necessario, per il riconoscimento della qualità di amministratori di fatto, l'esercizio di «tutti»> i poteri attribuiti dalla legge agli amministratori
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 20 giugno 2024 N. 17120
Massima
Non è necessario, per il riconoscimento della qualità di amministratori di fatto, l'esercizio di «tutti»> i poteri attribuiti dalla legge agli amministratori, essendo sufficiente che il soggetto si sia inserito nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative e che tale ingerenza, lungi dall'esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza (  Cass. n. 9407/2024 Cass . n. 4045/2016; Cass. n. 1546/2022)

Casus Decisus
1. L'Agenzia delle entrate ha recuperato a tassazione ai fini IRPEF gli utili di partecipazione dalla C. s.r.l. che Marco P., quale amministratore e socio di fatto di detta società, unitamente ad altro socio di fatto, Paolo G., aveva conseguito nell'anno d'imposta 2009. L'accertamento nei confronti della società nasceva da un pvc della Guardia di finanza che aveva accertato la presenza di un'organizzazione che prestava manodopera a imprese edili creando crediti Iva artificiosi e che individuava Marco P. e Paolo G. come amministratori e soci effettivi della società in luogo dell'unico socio e amministratore formalmente esistente. 2. Marco P. impugnò l'avviso notificatogli, affermando di non essere mai stato né amministratore né socio di fatto della società, in quanto socio e amministratore della società era solo ed unicamente Adrian Plugaru, limitandosi egli a svolgere prestazioni professionali quale geometra. La Commissione tributaria provinciale di Bergamo rigettò il ricorso. 3. La Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, rigettò l'appello. In particolare evidenziò preliminarmente che la CTR della Campania aveva confermato il rigetto del ricorso avverso l'avviso di accertamento nei confronti della C. s.r.l., riconoscendo altresì il ruolo di socio e amministratore di fatto del P.; le lettere di incarico prodotte in appello dal ricorrente erano inammissibili e comunque irrilevanti perché prive di data certa e provenienti dalla stessa società di cui si assumeva che egli fosse l'amministratore; le lettere di incarico erano poi smentite dalle dichiarazioni acquisite legittimamente dall'ufficio e rese dai dipendenti e committenti della società, che avevano riferito che il P. provvedeva a tutti gli aspetti economici e finanziari ed anche a pagare gli stipendi mentre l'amministratore formale era a tutti sconosciuto; le dichiarazioni dei terzi, dipendenti della società, erano elementi indiziari sufficienti anche da soli a fondare l'accertamento; irrilevanti erano altresi le fatture emesse dallo stesso contribuente. I giudici di appello rigettavano anche il secondo motivo, in quanto, trattandosi di società di capitali a ristretta base partecipativa, vigeva la presunzione di distribuzione degli utili ai soci G. e P.. ???La Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, rigettò l'appello. ???Contro tale decisione propone ricorso per cassazione il contribuente, in base a tre motivi. L'Agenzia delle entrate resiste con controricorso. 6. Il ricorso è stato fissato per l'adunanza del 24/05/2024.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 20 giugno 2024 N. 17120 Cataldi Michele

1. Con il primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2639 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., in quanto la CTR avrebbe fatto meccanicamente discendere la qualità di amministratore di fatto di C. s.r.l. in capo al geom. Marco P., dalla sentenza della CTR della Campania n.. 9105/2016, che non era definitiva in quanto impugnata con ricorso per cassazione; dalle dichiarazioni rese da terzi alla Guardia di Finanza, le quali invece non provavano che il ricorrente fosse l'amministratore di fatto sia perché le dichiarazioni dei terzi sono meri indizi, dovendo essere supportati da altri elementi, sia perché mancava la prova di una ingerenza tipica dell'amministratore di fatto, essendo il ricorrente solo

il referente tecnico dei clienti ed in tal senso deponevano le stesse dichiarazioni acquisite agli atti.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 58, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., per aver la CTR errato nel ritenere nuovi i documenti prodotti dal contribuente in appello, laddove tale produzione è ammessa nel processo tributario.

Con il terzo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 e 47 del d.P.R. n. 917/1986 e dell'art. 2247 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., avendo la CTR erroneamente affermato la qualità di soci occulti degli amministratori di fatto, mentre nel nostro ordinamento giuridico non è concettualmente configurabile una persona fisica socia di fatto di una società di capitali, perché la figura del socio di fatto può essere individuata solo nell'ambito delle società di persone irregolari, cioè non iscritte nel Registro delle Imprese, ma non nell'ambito delle società di capitali, e comunque richiede la sussistenza di una serie di presupposti (accordo con gli altri soci, conferimento in un fondo comune, affectio societatis, esteriorizzazione del vincolo) di cui nel caso in esame non si era data prova.

2. Va disatteso, in quanto inammissibile e comunque infondato, il primo motivo, che, pur denunciando violazione di legge, e precisamente dell'art. 2639 cod. civ., mescola doglianze eterogenee, dal vizio di motivazione, all'errore di sussunzione, sino alla critica del ragionamento presuntivo, nel tentativo di rimettere in discussione l'accertamento in fatto della CTR, incensurabile nel giudizio di legittimità se correttamente motivato (Cass. S.U. n. 34476/2019).

Peraltro nel caso in esame ciò che rileva non è direttamente il ruolo di amministratore di fatto del ricorrente, sulla cui valutazione il motivo si concentra, bensì, nella ricostruzione posta a base dell'accertamento confermata dalla sentenza impugnata (come riportato dallo stesso ricorrente a pagina 2 del ricorso), il ruolo di socio della società.

2.1. Quanto infatti al riconoscimento del ruolo di amministratori di fatto assunto dai due ricorrenti dalla sentenza della CTR della Campania n. 9150/2016, la cui motivazione è stata espressamente condivisa dalla CTR nella sentenza impugnata, e che aveva accertato la natura di amministratori e soci di fatto della società, si deve evidenziare che essa è stata oggetto di ricorso per cassazione; sul punto è sufficiente evidenziare che la sentenza predetta è passata in cosa giudicata per effetto dell'ordinanza n. 8837 del 2024, resa nel giudizio n. RG 10362/2017 (indicato dallo stesso ricorrente nel corpo del ricorso), che ha rigettato il ricorso dei contribuenti.

Giova appena precisare che il giudicato formatosi in Cassazione è rilevabile di ufficio e la cognizione del giudice di legittimità può avvenire anche mediante quell'attività di ricerca (relazioni, massime ufficiali e consultazione del CED) che costituisce corredo del collegio giudicante nell'adempimento della funzione nomofilattica di cui all'art. 65 dell'ordinamento giudiziario e del dovere di prevenire contrasti tra giudicati, in coerenza con il divieto del <<ne bis in idem>> (cfr. Cass. n.

24740/2017; Cass. n. 24740/2015; Cass. S.U. n. 2648/2007).

2.2. Ancora, come evidenziato per vicenda connessa da Cass. n.

9407/2024, occorre osservare che non è necessario, per il riconoscimento della qualità di amministratori di fatto, l'esercizio di <‹tutti> i poteri attribuiti dalla legge agli amministratori, essendo sufficiente che il soggetto si sia inserito nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative e che tale ingerenza, lungi dall'esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza (Cass. n. 4045/2016; Cass. n. 1546/2022); quindi, né il coinvolgimento di altri soggetti nella gestione né la mancanza della

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formalizzazione in atti scritti del loro ruolo gestorio precludono l'accertamento della qualità di amministratore di fatto, desunto in questo caso dalle dichiarazioni dei committenti - che hanno affermato di aver trattato per la definizione degli impegni esclusivamente con il ricorrente, che non svolgeva quindi mansioni puramente tecniche nell'ambito dei cantieri - e confermato dal dato oggettivo della sostanziale assenza dell'amministratore di diritto che non era conosciuto da nessuno.

2.3. Quanto, infine, alla forza probatoria di quegli elementi, nel processo tributario, le dichiarazioni di terzi acquisite in fase di accertamento hanno normalmente valore indiziario, e pur tuttavia, per il loro contenuto intrinseco ovvero per l'attendibilità dei riscontri offerti, possono assumere valore di presunzione grave, precisa e concordante ex art. 2729 cod. civ. (Cass. n. 16711/2016; Cass. n. 12317/2024), concorrendo a formare il convincimento del giudice anche se non rese in contraddittorio con il contribuente, senza necessità di ulteriori indagini da parte dell'Ufficio (Cass. n. 9407/2024; Cass. n. 9316/2020;

Cass. n. 6946/2015).

3. Il secondo motivo è inammissibile.

E' certamente costante giurisprudenza di questa Corte che, alla luce del principio di specialità espresso dall'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 -in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest'ultima-, nel grado di appello del giudizio tributario non opera la preclusione di cui all'art. 345, terzo comma, cod. proc. civ., essendo la materia regolata dall'art. 58, comma 2, del citato d.lgs., che, nella formulazione vigente ratione temporis, consente alle parti di produrre liberamente nuovi documenti in sede di gravame, persino se preesistenti al giudizio di prime cure, senza richiedere che la mancata produzione nel grado pregresso sia stata determinata da causa ad esse non imputabile (cfr.

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Cass. n. 10900/2024; Cass. n. 6722/2023; Cass. n. 20613/2022;

Cass. n. 29470/2021; Cass. n. 18103/2021; Cass. n. 5607/2021).

Nel caso di specie però non vi è alcuna pronuncia di inammissibilità dei documenti prodotti in appello dal contribuente, né esplicita né implicita. La CTR, infatti, ha esaminato nel merito tali documenti, con ampie valutazioni sulla loro irrilevanza nel complessivo quadro probatorio, segnalando altresì la loro scarsa credibilità in luogo di tre circostanze fattuali: a) la mancanza di data certa; b) la produzione solo in appello; c) la provenienza dalla stessa società amministrata dal contribuente. Il riferimento alla produzione solo in appello è quindi funzionale a tale considerazione di inattendibilità e non esprime affatto una valutazione di inammissibilità.

Il motivo è quindi inammissibile in quanto censura una ratio decidendi che non compare nella sentenza impugnata.

4. Il terzo motivo è inammissibile poiché non si confronta con la ratio decidendi della sentenza e comunque tende ad una rivalutazione degli elementi di merito.

La ratio della decisione è che la composizione formale della società fosse di fatto una finzione e che <<i soci sono stati individuati nei signori

P. e G.»> (pagina 3).

Il motivo è quindi inammissibile laddove, censurando la ricostruzione fattuale, intende semplicemente negare che il ricorrente fosse socio occulto della società; né rilevano gli elementi necessari richiamati dalla giurisprudenza per aversi società di fatto poiché nel caso di specie si discute dell'utilizzo di una società formalmente esistente e quindi del rapporto occulto del ricorrente con detta società; il motivo è altresì inammissibile laddove afferma che la distribuzione degli utili era possibile solo in favore del socio formalmente esistente,

mentre la CTR ha sostanzialmente affermato il carattere fittizio di tale partecipazione.

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5. Il ricorso va quindi respinto.

Ne segue condanna al pagamento delle spese.

P.Q.M.

rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell'Agenzia delle entrate, spese che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito;

ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2024.