Giu L'immissione in ruolo del lavoratore costituisce misura sanzionatoria idonea a reintegrare le conseguenze pregiudizievoli dell'illecito costituito dall'abusiva reiterazione dei contratti a termine, purché avvenga nei ruoli dell'Ente dell’abuso
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - SENTENZA 17 giugno 2024 N. 16778
Massima
L'immissione in ruolo del lavoratore costituisce misura sanzionatoria idonea a reintegrare le conseguenze pregiudizievoli dell'illecito costituito dall'abusiva reiterazione dei contratti a termine, a condizione che essa avvenga nei ruoli dell'Ente che ha commesso l'abuso e che si ponga con esso in rapporto di diretta derivazione causale.

Casus Decisus
1. I ricorrenti in epigrafe hanno agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma nei confronti del Ministero della Difesa. Hanno esposto di avere svolto, sulla base di numerose convenzioni rinnovate senza soluzione di continuità, attività di insegnamento delle materie non militari: riguardanti l'elettronica e le comunicazioni e i sistemi TLC/AV/MET, presso i reparti addestrativi dell'Aeronautica militare siti a pratica di Mare Pratica di Mare, in forza delle suddette convenzioni. Hanno chiesto che fosse dichiarata l'illegittimità dei termini apposti ai rispettivi contratti di lavoro che erano intercorsi con il Ministero della Difesa, nonché il ristoro del danno. 2. Il Tribunale di Roma ha accolto in parte la domanda: ha affermato che tra le parti erano intercorsi nella sostanza rapporti di lavoro subordinato ed ha ritenuto l'illegittimità dei termini apposti ai contratti di lavoro stipulati successivamente all'entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES), per la mancanza della specificazione in essi delle ragioni tecnico organizzative, sostitutive o produttive che avrebbero dovuto legittimare l'apposizione dei termini, secondo quanto stabilito dal medesimo decreto legislativo. Il Tribunale ha escluso la conversione e ha condannato il Ministero della Difesa al risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 36, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), pubblicato sulla G.U. n. 106 del 2001, che quantificava in 10 mensilità di retribuzione. 3. La sentenza del Tribunale è stata impugnata dinanzi alla Corte d'Appello di Roma dal Ministero della Difesa, che ha sostenuto che tra le parti era intercorso un rapporto di lavoro autonomo in ragione delle convenzioni stipulate tra il lavoratore ed esso Ministero, e non un rapporto di lavoro subordinato. ???????Alla fattispecie non era applicabile - proseguiva il Ministero appellante - il decreto legislativo n. 368 del 2001, che aveva dato attuazione alla direttiva 1999/70/CE, in quanto l'insegnamento nelle materie non militari presso le Scuole militari era disciplinato dalla legge 15 dicembre 1969, n. 1023 (Conferimento di incarichi a docenti civili per l'insegnamento di materie non militari presso scuole, istituti ed enti della Marina e dell'Aeronautica), pubblicata sulla G.U. n. 6 del 1970, e dal Decreto del Ministro della Difesa, di concerto con il Ministro per il tesoro e il Ministro per la pubblica istruzione, adottato in data 20 dicembre 1971 (Conferimento di incarichi a docenti civili per l'insegnamento di materie non militari presso scuole, istituti ed enti della Marina e dell'Aeronautica), pubblicato sulla G.U. n. 322 del 1973, che consentivano di affidare l'insegnamento a docenti esterni con incarichi annuali. Il Ministero contestava il risarcimento del danno. La Corte d'Appello ha accolto in parte l'appello proposto dal Ministero della Difesa. Il giudice di secondo grado, da un lato, ha confermato la sentenza del Tribunale in ordine alla sussistenza di rapporti di lavoro subordinato tra i docenti e il Ministero della Difesa, atteso che, in mancanza di una espressa indicazione della qualificazione del rapporto, nelle convenzioni che erano state allegate, le pattuizioni intercorse tra le parti - che prevedevano l'attribuzione al docente della tredicesima mensilità, delle ferie retribuite, del TFR e degli assegni del nucleo familiare e del versamento dei contributi previdenziali - deponevano per l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Ma la Corte d'Appello, accogliendo il relativo motivo di appello proposto dall'Amministrazione, ha riformato la sentenza del Tribunale ritenendo inapplicabile nella specie il d.lgs. n. 368 del 2001 per essere la fattispecie disciplinata dalla normativa speciale dettata dalla legge n. 1023 del 1969, su cui non aveva inciso detto decreto legislativo. La Corte d'Appello ha affermato, in proposito, che la disciplina speciale della legge n. 1023 del 1969 trovava fondamento nella particolare natura delle Scuole della Marina e dell'Aeronautica militare e nelle specifiche competenze dei docenti esterni concretamente impiegati, atteso che occorrevano conoscenze spesso mutevoli e diversificate e sottoposte a continui aggiornamenti per i mutamenti di tecnologie e dotazioni militari adottate nello specifico campo. A ciò conseguiva l'infondatezza della pretesa risarcitoria del lavoratore. 4. I lavoratori hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza emessa tra le parti dalla Corte d'Appello di Roma, prospettando cinque motivi di ricorso. 5. Il Ministero ha resistito con controricorso. 6. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta, che ha confermato in sede di discussione, con cui ha chiesto accogliere il ricorso, in ragione della ordinanza della CGUE 8 gennaio 2024, causa C-278/23. 7. I ricorrenti hanno depositato memoria in prossimità dell'udienza pubblica.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - SENTENZA 17 giugno 2024 N. 16778 Tria Lucia

1. I ricorrenti ha proposto i seguenti motivi di ricorso.

Primo motivo: Violazione e falsa applicazione dell'art. 2 della legge n. 1023/1969 (ai sensi dell'art. 360, n. 3, cod. proc. civ.).

I ricorrenti deducono che è intercorso con l'Amministrazione un rapporto di lavoro subordinato, per l'insegnamento di materie non militari, con conseguente inapplicabilità della legge n. 1023 del 1969.

Erroneamente, pertanto la Corte d'Appello ha applicato l'art. 2 della legge n. 1023 del 1969, che prevede la possibilità per l'Amministrazione di attuare convenzioni di lavoro autonomo.

Ricordano come i rapporti di lavoro in questione si sono protratti per venti anni, secondo le direttive, i programmi istituzionali, il calendario e gli orari predisposti dal reparto con la corresponsione della tredicesima mensilità, l'erogazione degli assegni familiari, il pagamento degli aumenti stipendiali: tutte circostanze che escludono la sussistenza di un rapporto di lavoro autonomo. Le convenzioni sottoscritte dalle parti non richiamavano la legge speciale n. 1023 del 1969 che contempla l'ipotesi di collaborazioni autonome della durata massima di un anno.

Secondo motivo: Violazione e falsa applicazione dell'art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 (art. 360, n.3, cod. proc. civ.).

È censurata la statuizione con la quale non è stato riconosciuto il diritto al risarcimento del cd. danno comunitario benché nella specie fossero intercorsi tra le parti rapporti di lavoro subordinato, come accertato dalla stessa corte d'Appello. Ma anche a voler 

considerare le intervenute convenzioni tra le parti avrebbe dovuto trovare applicazione comunque l'art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 in ragione del contenuto precettivo dello stesso.

Terzo motivo: Violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 e 1366, cod. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.)

Terzo motivo: Violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 e

1366, cod. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.)

La Corte d'Appello nell'esaminare le convenzioni avrebbe erroneamente ritenuto che le parti non avessero posto in essere rapporti di lavoro subordinato.

Quarto motivo: Violazione e falsa applicazione dell'art. 2909, cod. civ. (art. 360, n.3, cod. proc. civ.) violazione del giudicato TAR Lazio, sentenza n. 1161 del 1994, che aveva accertato che tra le parti erano intercorsi rapporti di lavoro subordinato non di ruolo sulla base di convenzioni annuali.

Quinto motivo: Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n.

5, cod. proc. civ.).

Assumono i ricorrenti, dopo aver ricordato la giurisprudenza di legittimità sull'ambito dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., che la Corte d'Appello avrebbe omesso di verificare che le singole convenzioni stipulate non richiamavano la legge n. 1023/1969. La volontà delle parti è stata quella di costituire rapporti di lavoro subordinato.

2. Il ricorso, i cui motivi vanno esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione, è fondato, nei limiti di cui alla presente motivazione, e va accolto in ragione dei principi enunciati dalla CGUE con l'ordinanza 8 gennaio 2024, causa C-278/23, pronunciata a seguito di rinvio pregiudiziale di questa Corte (ordinanza interlocutoria Cass., n. 11037 del 2023).

2.1. Va premesso che nella specie la Corte d'Appello, con accertamento di fatto che si sottrae a censura in questa sede, essendo supportato da specifica motivazione che considera e dà conto delle risultanze istruttorie, ha affermato che in mancanza di 6

 

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una espressa indicazione del nomen iuris nelle convenzioni allegate, doveva concordarsi con apprezzamento del Tribunale relativamente all'inequivoco elemento pattizio integrato dall'attribuzione-incontestata tra le parti- ai lavoratori della tredicesima mensilità, delle ferie retribuite, del TFR e degli assegni per il nucleo familiare e del versamento dei contributi previdenziali, circostanze che deponevano per l'esistenza di rapporti di lavoro subordinato. Tale statuizione non ha costituito oggetto di ricorso per cassazione da parte del Ministero e sulla stessa si è formato giudicato interno.

2.2. La CGUE con l'ordinanza 8 gennaio 2024, causa C-278/23 ha esaminato congiuntamente, le due questioni oggetto del rinvio pregiudiziale con cui si chiedeva in sostanza, da un lato, se la clausola 5 dell'accordo quadro debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che esclude il personale civile incaricato dell'insegnamento di materie non militari nelle scuole militari dall'applicazione delle norme volte a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato e, dall'altro, se le esigenze di organizzazione di tali scuole possano 

essere qualificate come «ragioni obiettive» che giustificano il rinnovo di siffatti contratti, ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a),

dell'accordo quadro.

La CGUE ha affermato che dalla stessa formulazione della clausola 2, punto 1, dell'accordo quadro risulta che l'ambito d'applicazione di quest'ultimo deve essere inteso in senso ampio, poiché riguarda in generale i «lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro». Inoltre, si deve rammentare che la nozione di «lavorator[i] a tempo determinato» ai sensi della clausola 3, punto

1, dell'accordo quadro include tutti i lavoratori, senza operare distinzioni basate sulla natura pubblica o privata del loro datore di

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lavoro (sentenza del 13 gennaio 2022, MIUR e Ufficio Scolastico Regionale per la Campania, C-282/19, EU:C:2022:3, punto 69 e giurisprudenza ivi citata).

Atteso che l'accordo quadro non esclude alcun settore particolare dal suo ambito di applicazione, esso si applica quindi anche al personale assunto nel settore dell'insegnamento impartito presso istituti pubblici (sentenza del 13 gennaio 2022, MIUR e Ufficio Scolastico Regionale per la Campania, C-282/19, EU:C:2022:3,

punto 70 e giurisprudenza ivi citata).

In presenza di rapporti di lavoro subordinato il lavoratore insegnante per le materie non militare presso le scuole militari rientra nell'ambito di applicazione dell'accordo quadro.

La clausola 5 dell'accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che esclude il personale civile incaricato dell'insegnamento di materie non militari nelle scuole militari dall'applicazione delle norme volte a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato, se e in quanto tale normativa non contenga alcuna altra misura efficace per prevenire e, se del caso, sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato.

Esigenze di organizzazione di tali scuole non sono idonee a costituire «ragioni obiettive» che giustificano il rinnovo di siffatti contratti con il personale incaricato dell'insegnamento di tali materie, ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), di detto accordo quadro.

La CGUE ha poi affermato che la clausola 5 dell'accordo quadro non enuncia un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato.

Pertanto, affinché una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale vieta la conversione di una successione di contratti a tempo determinato in un contratto a 

tempo indeterminato, possa essere considerata conforme all'accordo quadro, l'ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere un'altra misura effettiva per prevenire e, se del caso, sanzionare l'utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.

Per quanto riguarda il risarcimento del danno subito come misura che sanziona in modo effettivo l'abuso del ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato, il principio su cui si fonda tale risarcimento e il principio di proporzionalità impongono agli Stati membri di prevedere un'adeguata riparazione, che deve andare oltre il risarcimento puramente simbolico, senza tuttavia eccedere la compensazione integrale.

2.3. Le Sezioni Unite civili di questa Corte, con la sentenza n. 5072 del 2016, hanno statuito proprio rispetto alla portata applicativa e alla parametrazione del danno risarcibile ai sensi dell'art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, in presenza di abusiva reiterazione dei contratti a termine.

Le Sezioni Unite, con la citata sentenza, hanno avuto modo di chiarire che il pregiudizio economico oggetto e il risarcimento non può essere collegato alla mancata conversione del rapporto: quest'ultima, infatti, è esclusa per legge e trattasi di esclusione affatto legittima sia secondo i parametri costituzionali che secondo quelli comunitari. Piuttosto, considerato che l'efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell'Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70 CE postula una disciplina agevolatrice e di favore che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione eli contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l'ammontare del danno, che sarà normalmente correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile. le Sezioni Unite, con la citata sentenza, hanno rinvenuto nell'art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, una disposizione idonea allo scopo. nella misura in cui, 9

 

prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, consente pro tanto al lavoratore di essere esonerato dall'onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori.

I principi enunciati dalle Sezioni Unite hanno trovato conferma nella sentenza della Corte di Giustizia 7 marzo 2018, C-494/16, Santoro. e nella sentenza della Corte costituzionale n. 248 del 2018.

Va inoltre considerato che (Cass., Sezione Lavoro, ordinanza n. 23373 del 26 luglio 2022) l'immissione in ruolo del lavoratore costituisce misura sanzionatoria idonea a reintegrare le conseguenze pregiudizievoli dell'illecito costituito dall'abusiva reiterazione dei contratti a termine, a condizione che essa avvenga nei ruoli dell'Ente che ha commesso l'abuso e che si ponga con esso in rapporto di diretta derivazione causale.

3. Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza di appello va cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, alla

Corte d'Appello di Roma in diversa composizione che nell'ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche al seguente: «il docente con rapporto di pubblico contrattualizzato subordinato a termine

l'Amministrazione della Difesa per l'insegnamento di materie non militari presso le scuole militari in conformità alle statuizioni dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 8 gennaio 2024, causa C-278/23)

rientra nell'ambito di applicazione della clausola 5 dell'Accordo

quadro e in conformità con il canone di effettività della tutela affermati dalla Corte di Giustizia UE (7 marzo 2018, C-494/16, Santoro) e con i principi enunciati dalle Sezioni Unite nella sentenza

n. 5072 del 2016, ai fini del risarcimento del danno spettante ai lavoratori nell'ipotesi di illegittima o abusiva reiterazione di contratti a termine, deve farsi riferimento alla fattispecie di portata generale di cui all'art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, da 10

 

configurare come corrispondente ad un danno presunto, con valenza sanzionatoria qualificabile come "danno comunitario", determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, che non può comunque farsi derivare dalla perdita del posto.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi indicati in motivazione.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio di cassazione alla Corte d'Appello di Roma, in diversa