1. L’unico motivo di ricorso: -) è intitolato “violazione dell’art. 360 n. 4 [sic] - motivazione apparente”; -) esordisce col riprodurre un brano della sentenza impugnata (p. 5 del ricorso); -) prosegue con la trascrizione di una serie di massime di queste Corte, inframezzate dall’affermazione per cui il Tribunale di Padova “non ha argomentato il motivo per il quale” si sarebbe discostato dalla giurisprudenza di legittimità;
-) prosegue ribadendo che il fermo amministrativo si sarebbe dovuto ritenere illegittimo, per avere colpito un autoveicolo del valore di euro 22.500, a fronte di un credito di euro 840,89.
1.1. Il motivo è inammissibile per molte e indipendenti ragioni.
In primo luogo, è inammissibile ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c.. La sentenza impugnata, infatti, ha rigettato il gravame per un ragione di diritto (inesistenza di norme di legge che inibiscano l’iscrizione del fermo amministrativo a garanzia di crediti erariali inferiori ad un certo ammontare). A fronte di una decisione in iure è dunque vano discorrere - come fa il ricorrente - di “vizi di motivazione” o di argomentazione. D’una affermazione in punto di diritto può dirsi solo se sia conforme o difforme dalla legge, non se sia motivata od immotivata. Sono gli accertamenti in fatto che vanno motivati, non le valutazioni in diritto.
1.2. In secondo luogo, il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c., in quanto imperscrutabile nella motivazione che la sorregge. Il ricorrente, infatti, lamenta l’eccessività della misura adottata rispetto all’entità del suo debito, ma né spiega su quale norma di legge intenda fondare la sua censura, né compie richiami giurisprudenziali pertinenti. La decisione di Sez. U, Sentenza n. 19667 del 18/09/2014, in particolare, richiamata a p. 6 del ricorso, intervenne su fattispecie totalmente diversa da quella oggi in esame. Questa Corte ha ripetutamente affermato (a partire da Sez. 3, Sentenza n. 4741 del 04/03/2005, Rv. 581594 - 01, sino a Sez. un., Sentenza n. 7074 del 20/03/2017) che il ricorso per cassazione è un atto nel quale si richiede al ricorrente di articolare un ragionamento sillogistico così scandito:
(a) quale sia stata la decisione di merito;
(b) quale sarebbe dovuta essere la decisione di merito;
(c) quale regola o principio sia stato violato, per effetto dello scarto tra decisione pronunciata e decisione attesa.
Questa Corte, infatti, può conoscere solo degli errori correttamente censurati, ma non può rilevarne d’ufficio, né può pretendersi che essa intuisca quale tipo di censura abbia inteso proporre il ricorrente, quando questi esponga le sue doglianze con tecnica scrittoria oscura, come si è già ripetutamente affermato (da ultimo, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 21861 del 30.8.2019; Sez. 3, Ordinanza n. 11255 del 10.5.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 10586 del 4.5.2018; Sez. 3, Sentenza 28.2.2017 n. 5036).
2. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
P.q.m.
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) condanna Giorgio F. alla rifusione in favore di A. s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 630, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile