personali, come la qualità di socio o la decadenza dal potere di accertamento, o che riguardino la ripartizione del reddito tra i soci (Cass. S.U., n. 14815 del 04-06-2008)
1. Va preliminarmente affrontato il problema dell’integrità del contraddittorio, in quanto il ricorso in primo grado risulta proposto solo dalla socia accomandante, senza la partecipazione degli altri soci. È noto che l'imputazione per trasparenza ai soci di società di persone di maggiori redditi in derivazione da quello accertato in capo alla società determina, in sede di impugnazione, un'ipotesi di litisconsorzio necessario tra gli uni e l’altra (principio espresso da Cass. S.U., n. 14815 del 04-06-2008, Rv. 603330-01, e costantemente ribadito in seguito: tra le ultime, Cass, 16/04/2024, n. 10193; 15/04/2024, n. 10085; 11/01/2024, n. 1260; 10/01/2024, n. 939; 09/01/2024, n. 751).
Le Sezioni Unite, tuttavia, nel citato arresto, hanno fatto salvo il caso in cui i soci prospettino questioni personali. Nel chiarire la portata di detto ultimo inciso, il supremo collegio ha precisato (par. 2.6 della motivazione) che «non sussiste litisconsorzio necessario tra società e soci quando il contribuente svolga una difesa sulla base di eccezioni personali, come la qualità di socio o la decadenza dal potere di accertamento, o che riguardino la ripartizione del reddito tra i soci».
??????Ciò è, appunto, quanto rileva nella fattispecie in esame, in cui l'odierna intimata, nell'impugnare l'avviso di accertamento notificatole quale socia accomandante detentrice della quota del 40% del capitale sociale, senza opporre alcunché riguardo all'accertamento del maggior reddito imponibile in capo alla società, ha avanzato doglianze attinenti a questioni personali (in tal senso, Cass. 11/6/2018, n. 15116), adducendo unicamente, a sostegno del proprio ricorso, la carenza di poteri gestori in capo al socio accomandante e la sua limitata e sussidiaria responsabilità per le obbligazioni sociali, considerate come indici tali da escludere la possibilità di presumere l’imputazione di tali somme. Il contraddittorio, dunque, risulta integro, in quanto l'unitarietà dell'accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e di quelle dei singoli soci comporta la configurabilità di un litisconsorzio necessario esclusivamente nel caso in cui oggetto del giudizio sia il reddito sociale, il cui accertamento, sia sull'an che sul quantum, si riverbera anche sul reddito dei soci, e non anche quando il socio, nell'impugnare l'avviso di accertamento a lui notificato, ponga questioni che investono unicamente la sua posizione, senza alcun coinvolgimento né di quella della società né di quella degli altri soci, giuridicamente del tutto autonome rispetto all'oggetto della lite (in tal senso, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 19456 del 10/09/2009, Rv. 609840-01, con riferimento a un caso in cui il socio si era limitato a contestare la legittimità delle sanzioni a lui irrogate per infedele dichiarazione).
3. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 TUIR, per avere la CTR affermato che, nei confronti del socio accomandante, che è privo di poteri gestori e risponde delle obbligazioni sociali solo nel limite della quota conferita, i maggiori redditi accertati nei confronti della società non gli possono essere attribuiti, in proporzione della propria quota sociale, se non si dimostra che il detto socio conosceva i suddetti redditi occulti e ne aveva beneficiato. Per l’Agenzia delle entrate ricorrente, la sentenza impugnata si porrebbe in contrasto con la lettera dell’art. 5 TUIR – che imputa a ciascun socio, anche di sas, i redditi prodotti dalla società, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili e indipendentemente dalla percezione – e con il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la presunzione legale posta dall’indicata disposizione opera anche nei confronti del socio Corte di Cassazione - copia non ufficiale 6 accomandante e anche in caso di accertamento a carico della società di utili non iscritti a bilancio.
4. Il motivo è fondato.
In primo luogo, va evidenziato che la previsione del comma 1 del dell’art. 5 TUIR, nello stabilire che l’imputazione dei redditi prodotti dalla società di persone avviene «indipendentemente dalla percezione», individua un meccanismo di attribuzione di ciò che è stato assunto dal legislatore come reddito prodotto, senza, invece, "presumere” la distribuzione dello stesso. Come chiarito anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 201 del 2020), la norma censurata esclude la soggettività passiva tributaria della società di persone e, in tal modo, elimina lo schermo societario imputando direttamente ai soci il reddito prodotto dalla società. Ciò premesso, deve essere ribadito il principio secondo cui, in tema di IRPEF, la previsione dell’art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in virtù della quale i redditi delle società di persone sono imputati pro quota a ciascun socio indipendentemente dall’effettiva percezione, opera anche in riferimento al socio accomandante, in caso di accertamento a carico della società di utili non iscritti in bilancio (Cass., sez. 5, sentenza n. 23359 del 30/10/2006, rv. 593671-01; più di recente, Cass., sez. 5, sentenza n. 3946 del 18/2/2011, non massimata). Anche il suddetto socio, infatti, è in grado di conoscere i rilievi e gli accertamenti fiscali condotti nei confronti della società, avendo diritto alla comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite ed alla consultazione dei libri e degli altri documenti della società (art. 2320, comma 3, c.c.), sicché il reddito di partecipazione costituisce un suo reddito personale, indipendentemente dalla mancata contabilizzazione dei ricavi e dai metodi adoperati dalla società per realizzarli, fermo restando il diritto di agire nei confronti della società, in sede civile ordinaria, per recuperare la quota di utili a lui spettante, nonché l’esclusione della Corte di Cassazione - copia non ufficiale 7 sua responsabilità per sanzioni, qualora sia dimostrata la sua buona fede.
5. Va aggiunto che l’interpretazione “costituzionalmente conforme” operata dalla CTR si traduce in una sostanziale disapplicazione del chiaro tenore testuale dell’art. 5 TUIR, che accomuna esplicitamente, nella medesima disciplina, le società semplici, le società in nome collettivo e, appunto, le società in accomandita semplice. Ma l’univoco tenore della disposizione segna il confine in presenza del quale il tentativo di interpretazione conforme del giudice comune deve cedere, eventualmente, il passo al sindacato di legittimità costituzionale (in tal senso è anche la costante giurisprudenza della Corte costituzionale: ex plurimis, tra le più recenti, sentenze n. 44 del 2024, n. 203 e n. 150 del 2022), risolvendosi altrimenti in una patente violazione di legge.
È appena il caso di notare, peraltro, che la Corte costituzionale, nel dichiarare non fondata una questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, TUIR, sollevata in riferimento all’art. 53 Cost., ha già affermato che i soci di tutte le società di persone prese in considerazione dalla citata disposizione di legge, sul piano tributario, sono chiamati a contribuire alle pubbliche spese in relazione a un incremento patrimoniale realizzato per effetto dell’attività sociale, rispetto alla quale hanno un onere e un potere di controllo (artt. 2261 e 2320 del codice civile) che, da un lato, li pone giuridicamente in grado di avere piena conoscenza dell’indicato incremento patrimoniale e, dall’altro, rende irrilevante, a questi fini, la distinzione tra soci amministratori e non amministratori, anche perché l’imputazione reddituale “per trasparenza” delle società di persone, proprio riguardo ai soci non amministratori (e, in particolare, anche nel caso dell’accomandante), si riconnette alla disciplina civilistica che attribuisce ad essi puntuali poteri di controllo (cfr. la già citata sentenza n. 201 del 2020, punto 3.3. del Considerato in diritto).
6. Il ricorso va quindi accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado territorialmente competente, in diversa composizione, per nuovo esame alla luce dei principi enunciati e per provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado delle Marche, in diversa composizione. Così deciso, in Roma, il 24 maggio 2024.