Giu In tema di accertamento delle imposte sui redditi nel caso di società di capitali che presenti una ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci partecipanti alla società degli eventuali utili extracontabili
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 06 giugno 2024 N. 15895
Massima
In tema di accertamento delle imposte sui redditi nel caso di società di capitali che presenti una ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione (semplice) di attribuzione ai soci partecipanti alla società degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l'esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (Cass., Sez. 5 , sentenza n. 27778 del 22/11/2017, rv. 646282-01).

Casus Decisus
1. Carla C. impugnava gli avvisi di accertamento n. TFK010102034 e n. TFK010102033, con i quali venivano imputati alla ricorrente, nella sua veste di socia al 26% delle quote della società E. srl, e dunque recuperati a tassazione, i redditi complessivi di euro 65.520,00 e di euro 21.326,00, quali utili percepiti e non dichiarati, rispettivamente, per gli anni d'imposta 2006 e 2007. La contribuente sosteneva che l'Agenzia delle entrate aveva illegittimamente fondato gli avvisi sul principio di presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati, senza aver svolto alcuna indagine specifica nei suoi confronti al fine di escludere che tali utili fossero stati reinvestiti ovvero distribuiti tra gli altri soci all'insaputa della C.. 2. La Commissione tributaria provinciale di Avellino accoglieva il ricorso, affermando che, a differenza delle società di persone, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa ovvero a base familiare, l’accertato utile tassabile superiore a quello dichiarato non potrebbe ritenersi sic et simpliciter distribuito ai soci in perfetta proporzione alle rispettive quote di partecipazione al capitale sociale, occorrendo invece una preventiva indagine sull'effettiva percezione degli stessi. 3. L'Agenzia delle entrate proponeva appello innanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, la quale riformava la sentenza di primo grado. I giudici di secondo grado, pur ritenendo di natura relativa la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ai soci, operante anche nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa Corte di Cassazione - copia non ufficiale 3 oppure a base familiare, ritenevano sussistenti i presupposti di operatività di tale presunzione, con conseguente inversione dell'onere della prova a carico della contribuente. Essendosi quest’ultima limitata a mere allegazioni in ordine alla mancata percezione degli utili, senza fornire prova di un diverso utilizzo, l'appello veniva accolto, con il rigetto del ricorso della contribuente. 4. Contro questa statuizione, C. Carla propone ricorso per cassazione, sulla base di un unico articolato motivo. 5. Resiste con controricorso l'agenzia delle entrate. 6. In prossimità dell’adunanza camerale, la ricorrente ha depositato una memoria con la quale ha dato notizia di essersi avvalsa «delle norme agevolative previste prima dalla “rottamazione ter” […] e successivamente dalla “rottamazione quater” […], godendo dell’abbattimento di sanzioni ed interessi», aggiungendo che «i pagamenti della rottamazione quater sono a tutt’oggi regolari (prox. scadenza 31.05.2024)». Ha quindi chiesto l’adozione delle «consequenziali determinazioni»

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 06 giugno 2024 N. 15895 CATALDI MICHELE

1. In primo luogo, va dato atto della tardività della notifica del controricorso, avvenuta il 27 giugno 2017, a fronte della notifica del ricorso eseguita il 10 maggio 2017. Il comma 9 dell’art. 11 del D.L. n. 50 del 2017, convertito in L. n. 96 del 2017, per le controversie definibili ai sensi dei commi precedenti del medesimo articolo, a differenza di altre sospensioni dei termini dettate per altre fattispecie condonistiche, disponeva che fossero sospesi per sei mesi i termini di impugnazione, principale o incidentale, delle pronunce giurisdizionali nonché quelli per la riassunzione che scadessero dalla data di entrata in vigore dello stesso articolo (24 aprile 2017) fino al 30 settembre 2017, non anche del termine per proporre il controricorso, sicché l'Agenzia delle entrate, che non ha rispettato il termine ordinario di quaranta giorni previsto dall’art. 370 c.p.c., deve essere considerata meramente costituita in giudizio.

2. Ancora in via preliminare, va dichiarato inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero, il quale non è stato parte del giudizio di appello, instaurato dopo il 1° gennaio 2001 (Cass., S.U., sentenza n. 3116 del 14/02/2006, rv. 587608-01).

3. Sempre preliminarmente, va evidenziato che, in allegato alla memoria depositata in prossimità dell’adunanza camerale, la ricorrente ha depositato una risposta dell’Agenzia delle entrate che accoglie – disponendo la rateizzazione del versamento fino al 30/11/2027 – una domanda di definizione agevolata dei carichi affidati all’Agenzia delle entrate-Riscossione presentata in data 14/2/2023, senza però allegare anche quest’ultima o, comunque, altro documento che consenta di ritenere con certezza riferibile tale domanda agli avvisi di accertamento oggetto del presente giudizio. Tale omissione esime questa Corte dall’adottare provvedimenti di sorta, del resto neppure specificati nelle richieste della ricorrente.

4. Tanto premesso, va rilevato che il motivo di ricorso non è corredato dall'espressa indicazione di alcuna delle specifiche ragioni di impugnazione previste dall'art. 360 c.p.c.: nel corpo dell’articolato motivo, la difesa della ricorrente ha richiamato esclusivamente la violazione di alcune disposizioni normative, quali l’art. 39 del d.p.r. n. 600 del 1973, gli artt. 2727 e 2729 c.c., in particolare, e l’ art. 2697 c.c., quest’ultimo in considerazione del ripetuto richiamo alla violazione delle regole sulla ripartizione dell’onere della prova.

4.1. Ciò posto, deve trovare applicazione il principio secondo cui la mancata o l'erronea indicazione della norma processuale violata nella rubrica del motivo non ne determina ex se l'inammissibilità, se la Corte possa agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l'esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (in tal senso, Cass., Sez. 5, ordinanza n. 12690 del 23/05/2018, rv. 648743-01).

5. Con un unico, complesso, motivo, la contribuente ha denunciato la violazione dell’art. 39, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729, c.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Secondo la ricorrente, in particolare, la presunzione di distribuzione degli utili extra bilancio ai soci non sarebbe da sola sufficiente a fondare l’accertamento di un maggior reddito recuperabile a tassazione, se non con riferimento alle società di persone. In caso di società di capitali, invece, tale presunzione semplice dovrebbe essere suffragata da una preventiva indagine, che nella specie sarebbe stata omessa, sull'effettiva percezione degli utili in misura proporzionale alla quota di partecipazione, attraverso, in particolare, la verifica della movimentazione bancaria del contribuente e il riscontro dell'acquisto di beni di particolare valore, non giustificabili sulla base dei redditi dichiarati.

5.1. Non assurgono alla dignità di censure specifiche, invece, altre critiche, disseminate lungo il ricorso senza una precisa enucleazione. Così è per la fugace osservazione contenuta a pag. 6 del ricorso, secondo cui non risulterebbe dalla motivazione della sentenza impugnata che il giudice abbia specificamente indagato circa la sussistenza del presupposto della ristrettezza della base partecipativa o della natura familiare della società: in disparte il fatto che la CTR ha specificamente rilevato la mancanza di contestazione in ordine alla sussistenza di tale presupposto di operatività della presunzione, si tratterebbe comunque di accertamento di fatto compiuto in entrambi i gradi di merito e non più sindacabile in sede di legittimità. Allo stesso modo, non può individuarsi un autonomo motivo di ricorso là dove la ricorrente (a pag. 7 del ricorso) lamenta la nullità degli avvisi di accertamento a lei notificati, in quanto motivati per relationem rispetto all'avviso di accertamento emesso nei confronti della società E. srl: non risulta adempiuto, infatti, l’onere di cui all'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., anche interpretato alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU, sez. I, Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021, in quanto non sono specificamente indicati i documenti o gli atti processuali sui quali la censura si fonda (e manca anche qualsiasi riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui essi siano stati prodotti o formati) e neppure ne sono riassunti il contenuto o trascritti i passaggi essenziali (Cass. Sez. 1, sentenza n. 12481 del 19/04/2022, rv. 664738-01). In ogni caso, si tratterebbe di profilo inammissibilmente fatto valere per la prima volta in sede di legittimità, e peraltro privo di pregio, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l'avviso di accertamento nei confronti del socio per redditi da utili non dichiarati di società di capitali a ristretta base partecipativa è legittimamente emesso e adeguatamente motivato anche quando il socio non abbia partecipato all'accertamento nei confronti della società e l'atto contenga un mero rinvio per relationem ai redditi della società (Cass., Sez. 6-5, ordinanza n. 3980 del 18/02/2020, Rv. 657304- 01).

6. Così precisato il thema decidendum, il motivo non è fondato.

7. Va data continuità, infatti, al principio affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi nel caso di società di capitali che presenti una ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione (semplice) di attribuzione ai soci partecipanti alla società degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l'esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (Cass., Sez. 5 , sentenza n. 27778 del 22/11/2017, rv. 646282-01).

Ciò vale anche nelle ipotesi di assenza di rapporti di parentela, in quanto la ristrettezza della base sociale implica di per sé un elevato grado di compartecipazione dei soci, e dunque la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza dell'esistenza di utile extrabilancio, consentendo di riconoscere sussistenti, ai fini della prova presuntiva, i requisiti richiesti dall'art. 2729 c.c.

8. Tale meccanismo probatorio non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria (Cass., Sez. 6-5, ordinanza n. 1947 del 24/01/2019, rv. 652391-01).

9. Infine, è appena il caso di aggiungere che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, questa Corte ha già affermato che non occorre che l'accertamento emesso nei confronti dei soci risulti fondato anche su elementi di riscontro tesi a verificare, attraverso l'analisi delle loro movimentazioni bancarie, l'intervenuto acquisto di beni di particolare valore, non giustificabili sulla base dei redditi dichiarati (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 16913 del 11/08/2020, rv. 658657 - 01).

10. Il ricorso va dunque rigettato e nulla va disposto in ordine alle spese, non essendosi l'Agenzia delle entrate costituita con tempestivo controricorso e non avendo svolto alcuna attività gli altri soggetti intimati.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero e rigetta quello contro l'Agenzia delle entrate. Nulla per le spese. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.

Così deciso, in Roma, il 24 maggio 2024.