Giu Le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune, ma non a regolare questioni meramente patrimoniali tra le parti
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - ORDINANZA 06 giugno 2024 N. 15911
Massima
Le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. Tali accordi sono destinati a disciplinare e coordinare l’esercizio di potestà amministrative tra le pubbliche amministrazioni contraenti su oggetti di interesse comune, ma non a regolare questioni meramente patrimoniali tra le parti (Cass., Sez. Un., 29 luglio 2021, n. 21770).

Casus Decisus
1. – Con ricorso ex art. 447-bis cod. proc. civ., incardinato al n. 5255/2007 di registro generale, la s.r.l. Ligestra Due, società interamente controllata dalla s.p.a. F., quale soggetto liquidatore dell’Ente nazionale per la cellulosa e per la carta (ENCC), ha adito il Tribunale ordinario di Ancona, sezione distaccata di Fabriano, per sentire dichiarare la risoluzione del contratto di comodato intercorrente tra l’Ente nazionale per la cellulosa e per la carta, da una parte, e il Ministero dell’università e della ricerca, dall’altra, nonché per ottenere la condanna del Ministero al rilascio dell’immobile oggetto del contratto e al pagamento dell’indennità di occupazione e del risarcimento dei danni. La ricorrente ha rappresentato che l’Ente nazionale per la cellulosa e per la carta era stato posto in liquidazione con il decreto-legge n. 513 del 1994, e successivamente soppresso con il decreto-legge n. 240 del 1995, e che, sulla base di espressa previsione normativa, era stata prevista l’assegnazione in comodato, ad altre amministrazioni pubbliche, dei beni facenti parte del patrimonio dell’Ente. In particolare – ha proseguito la ricorrente – l’ENCC in liquidazione aveva stipulato il contratto di comodato con il Ministero dell’università e della ricerca, avente ad oggetto il fabbricato, sito in Fabriano, in relazione al quale aveva promosso l’azione di rilascio. A sostegno della domanda, la ricorrente ha dedotto che il contratto di comodato prevedeva quale termine finale la data del 30 giugno 1996, successivamente differita al 31 dicembre 1998 e poi ulteriormente prorogata al 31 dicembre 1999, e che, nonostante il venir meno dell’interesse dell’amministrazione comodataria alla prosecuzione del contratto di comodato, con rassicurazioni circa la pronta restituzione dell’immobile, il rilascio non era avvenuto. 2. – L’adito Tribunale ordinario, con sentenza n. 147 del 24 maggio 2010, ha declinato la giurisdizione in favore del giudice amministrativo. Il Tribunale ha rilevato che l’atto all’origine della controversia, anche se formalmente rivestente la forma del contratto di comodato, ha natura e funzione tipicamente pubblicistici, come si ricaverebbe sia dalla natura dei soggetti coinvolti nel rapporto in questione, sia dal richiamo, nel contratto, della normativa con cui erano stati disposte la liquidazione e la soppressione dell’Ente, sia, ancora, dalla finalità perseguita. Il Tribunale di Ancona ha evidenziato, inoltre, la “curvatura” vincolata del contratto nei suoi elementi essenziali, essendo il termine di durata stabilito dalla legge, e dovendo una delle parti contraenti essere autorizzata a contrarre dal Ministero dell’industria. Secondo il Tribunale ordinario, il contratto di comodato sarebbe stato, pertanto, utilizzato dall’amministrazione pubblica per raggiungere una finalità di natura non privatistica, rappresentando lo strumento volto al mantenimento della destinazione d’uso dell'immobile sino alla definizione delle procedure di assegnazione. 3. – Riassunta la causa dinanzi al giudice ad quem con ricorso del 14 luglio 2010, il Tribunale amministrativo regionale per le Marche, all’esito dell’udienza pubblica del 7 dicembre 2023, dopo aver dato avviso alle parti, ai sensi dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm., dell’esistenza di un possibile profilo di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, ha trattenuto la causa in decisione. Quindi, con ordinanza in data 29 gennaio 2024, il TAR per le Marche, dubitando a sua volta della propria competenza giurisdizionale, ha sollevato conflitto negativo di giurisdizione. Il giudice confliggente ha rilevato che la questione relativa alla determinazione della giurisdizione deve essere risolta, non sulla base dei soggetti coinvolti, bensì sulla base del solo criterio oggettivo. Ha osservato, inoltre, che, poiché ogni pubblica amministrazione, nel garantire il soddisfacimento di interessi pubblici, può agire sia iure imperii che iure privatorum, il perseguimento di obiettivi pubblicistici non può, di per sé, postulare la sussistenza della giurisdizione amministrativa, giacché, altrimenti, si dovrebbe escludere aprioristicamente la giurisdizione ordinaria ogni qual volta si controverta latamente di interessi pubblici. Ha dubitato, infine, che il contratto di comodato sottoscritto tra le parti possa essere ricompreso nell’alveo degli accordi tra pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 15 della legge n. 241 del 1990. Nel caso oggetto della controversia, comunque, ad avviso del Tribunale amministrativo regionale, non verrebbe in rilievo l’esercizio di un potere amministrativo sotteso al contratto stipulato tra le parti, quanto piuttosto il rispetto del regolamento contrattuale pattuito. 4. – Il conflitto è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-ter cod. proc. civ. 5. – In prossimità della camera di consiglio, il Pubblico Ministero ha depositato le proprie conclusioni scritte, chiedendo che sia dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario. Secondo l’Ufficio del Procuratore generale, la controversia in esame, avendo ad oggetto la risoluzione del contratto di comodato, il rilascio dell’immobile, il pagamento dell’indennità di occupazione sine titulo e il risarcimento dei danni, concerne diritti soggettivi. Non rileverebbe la natura giuridica pubblica dei soggetti coinvolti e neppure il fatto che le pubbliche amministrazioni avessero come obiettivo il raggiungimento, mediante la stipulazione del comodato, di finalità pubblicistiche. Il Pubblico Ministero esclude, infine, che venga in gioco un provvedimento di natura autoritativa.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - ORDINANZA 06 giugno 2024 N. 15911 D'Ascola Pasquale

1. – Il conflitto di giurisdizione è stato sollevato tempestivamente dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche. Esso è, pertanto, ammissibile. Infatti, dopo che il giudizio era stato riassunto dinanzi al TAR a seguito della declinatoria del Tribunale ordinario di Ancona, il conflitto è stato promosso in esito alla prima udienza di discussione, tenutasi il 7 dicembre 2023, nel corso della quale il Tribunale amministrativo ha dato avviso alle parti, ai sensi dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm., dell’esistenza di un possibile profilo di difetto di giurisdizione, prima di trattenere la causa in decisione. La precedente udienza del 24 luglio 2018 era stata fissata, come attestato dal relativo verbale di udienza, ai fini della dichiarazione di permanenza dell’interesse al ricorso e della successiva fissazione dell’udienza di discussione, di talché il TAR si era limitato a prendere atto della dichiarazione di interesse della parte ricorrente e a rinviare, per la discussione, all’udienza, appunto, del 7 dicembre 2023. È stata, pertanto, rispettata la scansione temporale delineata, al riguardo, dal codice del processo amministrativo. Infatti, ai sensi dell’art. 11, comma 3, di detto codice, quando il giudizio è tempestivamente riproposto davanti al giudice amministrativo, quest’ultimo, alla prima udienza, può sollevare anche d’ufficio il conflitto di giurisdizione. Viene altresì in rilievo, del medesimo codice, l’art. 71, comma 3, ai cui sensi il presidente, decorso il termine per la costituzione delle altre parti, fissa l’udienza per la discussione del ricorso. In proposito, la giurisprudenza della Corte regolatrice ha già chiarito che la prima udienza entro cui, ai sensi dell’art. 11, comma 3, cod. proc. amm., è consentito al giudice amministrativo, davanti al quale la causa sia stata riassunta, di sollevare anche d’ufficio il conflitto di giurisdizione, deve essere identificata con quella di discussione che, fissata ai sensi dell’art. 71 cod. proc. amm., dà luogo alla reale trattazione e decisione della causa (Cass., Sez. Un., 15 maggio 2017, n. 11988). Nel sistema della translatio iudicii, la sentenza del primo giudice di merito adito che declina la giurisdizione, produce effetti all’interno del processo, il quale prosegue innanzi al secondo giudice, vincolato a non poter declinare la sua giurisdizione, ma dovendo investire della questione la Corte di cassazione, entro lo spazio deliberativo ristretto previsto dalla legge (Cass., Sez. Un., 16 febbraio 2024, n. 4242). Nella medesima prospettiva, si è rilevato che il citato art. 11, comma 3, deve essere inteso nel senso che il limite temporale entro il quale il conflitto può essere sollevato è dato dall’udienza di discussione, fissata ai sensi dell’art. 71, ove hanno luogo la reale trattazione e decisione della causa, intendendo il legislatore evitare, con la previsione di tale barriera, che la questione di giurisdizione si trascini oltre la soglia di ingresso del giudizio (Cass., Sez. Un., 28 ottobre 2020, n. 23749). Anche a seguito dello scioglimento della riserva assunta all'esito della prima udienza, il giudice amministrativo può sollevare conflitto di giurisdizione, atteso che tale modalità temporale (come ha sottolineato Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2020, n. 23904) risulta conforme all'art. 11, comma 3, interpretato alla luce dei principi del giusto processo, essendo comunque garantita la finalità, da un lato, di evitare alle parti del giudizio riproposto ogni inutile dispendio di attività processuale e, dall’altro, di onerare il giudice amministrativo ad quem di evidenziare immediatamente le ragioni del proprio eventuale dissenso, provocando l’intervento risolutore delle Sezioni Unite della Corte di cassazione.

2. – Passando al fondo della questione di giurisdizione, si tratta di stabilire se competa al giudice ordinario o al giudice amministrativo conoscere della controversia concernente la risoluzione o, comunque, la cessazione per scadenza del termine del contratto di comodato di bene immobile stipulato tra amministrazioni pubbliche (l’Ente nazionale per la cellulosa e la carta, in veste di comodante, da una parte, e il Ministero dell’università e della ricerca, come comodatario, dall’altra), nell’ambito della procedura di liquidazione dell’ente concedente.

3. – La giurisdizione appartiene al giudice ordinario.

4. – Occorre premettere che, come è principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità, la giurisdizione del giudice si determina sulla base della domanda e, ai fini del suo riparto tra giudice ordinario e amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il cosiddetto petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca ed effettiva natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice stesso – tenuto conto dei fatti allegati e del rapporto giuridico di cui essi sono manifestazione – con riguardo alla sostanziale protezione a essa accordata, in astratto, dal diritto positivo (tra le tante, Cass., Sez. Un., 31 luglio 2018, n. 20350; Cass., Sez. Un., 24 gennaio 2024, n. 2368). Nella prospettiva del criterio di riparto fondato sul petitum sostanziale, occorre procedere all’individuazione della domanda proposta e alla conseguente qualificazione della situazione giuridica soggettiva azionata.

4.1. – Nella specie, si è di fronte a posizioni paritarie delle parti, di diritto e di obbligo, che derivano dal ricorso e dall’utilizzo, da parte delle pubbliche amministrazioni, di un contratto di diritto privato, il comodato, per regolare i loro rapporti patrimoniali e, in quest’ambito, per concedere l’uso temporaneo e gratuito del bene immobile facente parte del patrimonio dell’ente pubblico in liquidazione, durante il tempo della stessa, ad altra pubblica amministrazione. La controversia, di conseguenza, non riguarda la contestazione delle modalità di esercizio di alcun potere amministrativo, ma concerne il rispetto, da parte dell’amministrazione pubblica comodataria, delle pattuizioni contrattuali e degli obblighi che discendono dal contratto, con particolare riferimento al termine concordato per il rilascio. Disposta, infatti, con il decreto-legge n. 513 del 1994, la liquidazione e la cessazione dell’attività dell’Ente nazionale per la cellulosa e per la carta (che era stato costituito con la legge n. 1453 del 1935), il successivo decreto-legge n. 240 del 1995, nel dettare le misure urgenti per accelerare la liquidazione dell’Ente, ha previsto, all’art. 2, che, per consentire il migliore utilizzo degli immobili, il commissario liquidatore dell’Ente è chiamato a individuare i beni patrimoniali della procedura liquidatoria rientranti nella sfera di competenza delle amministrazioni dello Stato e ad assegnarli in comodato alle medesime entro quindici giorni dalla individuazione. Il ricorso al contratto è l’esito di una scelta espressa del legislatore: per effetto di essa, il diritto privato disciplina determinati profili dell’attività dell’ente pubblico in liquidazione. Il diritto privato penetra nell’ambito della procedura liquidatoria dell’ente pubblico, consentendo a questa – in attesa delle determinazioni del Ministero del tesoro, a liquidazione avvenuta, circa la devoluzione dei beni patrimoniali dell’ente, a titolo gratuito, alle amministrazioni dello Stato o agli enti locali interessati che ne abbiamo fatto richiesta – di ricorrere allo strumento del contratto di comodato per allacciare a esso facoltà ed obblighi giuridici. L’istituto civilistico del contratto porta con sé il suo regime paritario di diritto comune. Siamo al di fuori del modulo pubblicistico dell’azione amministrativa, che contrassegna e delimita l’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, la quale sussiste soltanto in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto e alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano.

Ne consegue che rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, e non in quella del giudice amministrativo, la controversia tra enti pubblici avente ad oggetto la domanda di rilascio di un bene immobile, rientrante nel patrimonio dell’ente proprietario soppresso e sottoposto a liquidazione, la cui utilizzazione da parte dell’ente assegnatario tragga titolo da un rapporto contrattuale di comodato, non inserito né collegato ad un provvedimento amministrativo di concessione del bene (cfr. Cass., Sez. Un., 30 novembre 2006, n. 25514; Cass., Sez. Un., 1° luglio 2009, n. 15378). L’individuazione del giudice munito di giurisdizione nella controversia non può, d’altra parte, essere effettuata sulla base della natura giuridica dei soggetti, tutti enti pubblici, che ne sono coinvolti, essendo escluso che la mera partecipazione della pubblica amministrazione alla stipulazione e al successivo giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo. Su questa stessa base, in una controversia tra l’Ente previdenziale e un Ministero, le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 23 novembre 2021, n. 36210) non hanno esitato a riconoscere la giurisdizione del giudice ordinario in una vicenda nella quale il petitum era rappresentato dalla pretesa dell’INPS al risarcimento del danno che si assumeva derivato dalla violazione, da parte dell’Amministrazione datrice di lavoro, dell’obbligo di rispettare i termini di legge nel trasmettere la documentazione di riscatto relativamente ad alcuni dipendenti. Né è sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo. Quando intende calarsi nella concretezza dei singoli rapporti con i privati o, come nella specie, con altre pubbliche amministrazioni, l’amministrazione trova a propria disposizione diversi strumenti per la tutela concreta degli interessi generali, in cui diritto pubblico e diritto privato si correlano tra loro in vario modo. Il vincolo costituzionale al rispetto da parte della pubblica amministrazione dei principi di legalità, imparzialità, buon andamento e pienezza di tutela giurisdizionale, non comporta l’immanenza, per l’amministrazione, di un principio di necessarietà della forma giuridica pubblica per i suoi atti. L’azione amministrativa, anche quando è svolta ricorrendo a moduli privatistici, non può essere in ogni caso equiparata all’azione giuridica dei soggetti privati, essendo sempre al servizio degli interessi della collettività e, quindi, in principio non libera né autonoma, ma finalizzata al raggiungimento di obiettivi e risultati prestabiliti e comunque controllabili.

4.2. – Neppure ricorre l’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi fra pubbliche amministrazioni, prevista dall’art. 133, comma 1, lettera a), numero 2), cod. proc. amm. Ciò per un duplice ordine di concorrenti ragioni. In primo luogo, dal punto di vista oggettivo, perché si è al di fuori della figura degli accordi tra pubbliche amministrazioni. Questi, infatti, denominati anche contratti a oggetto pubblico, differiscono dal contratto privatistico di cui all’art. 1321 cod. civ., del quale condividono solo l’elemento strutturale dell’accordo, senza che a esso si accompagni l’ulteriore elemento del carattere patrimoniale del rapporto regolato. Le amministrazioni stipulanti partecipano all’accordo in posizione di equiordinazione, non già, tuttavia, al fine di comporre un conflitto di interessi di carattere patrimoniale, bensì allo scopo di coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune.

L’art. 15 della legge n. 241 del 1990 prevede, infatti, che le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. Tali accordi sono destinati a disciplinare e coordinare l’esercizio di potestà amministrative tra le pubbliche amministrazioni contraenti su oggetti di interesse comune, ma non a regolare questioni meramente patrimoniali tra le parti (Cass., Sez. Un., 29 luglio 2021, n. 21770). La ratio dell’art. 15 della legge n. 241 del 1990 è quella di operare per la riduzione della complessità, e cioè di avviare processi di coordinamento funzionale fra gli attori del sistema multilivello ogniqualvolta la competenza ad assumere una decisione finale, suscettibile anche di toccare le situazioni giuridiche soggettive dei privati, sia distribuita fra più autorità. Lo scopo è quello di ricompattare, secondo logiche e obiettivi di efficacia ed efficienza, potestà e attribuzioni facenti capo a diverse pubbliche amministrazioni. In altri termini, con gli accordi fra pubbliche amministrazioni si individuano le intese tra amministrazioni volte a disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune, perciò preordinate al coordinamento dell’azione di diversi apparati amministrativi, ciascuno portatore di uno specifico interesse pubblico. Gli accordi tra pubbliche amministrazioni si fondano su un principio generale di collaborazione istituzionale che consente di disciplinare lo svolgimento di attività d'interesse comune, riconducibili all’esercizio delle pubbliche funzioni assegnate dall’ordinamento. L'accordo tra amministrazioni pubbliche è strumento che garantisce il coordinamento fra amministrazioni differenti per il soddisfacimento del pubblico interesse mediante la ricomposizione in un quadro unitario degli interessi pubblici di cui ciascuna amministrazione è portatrice. 

Nella presente vicenda, invece, si verte, semplicemente, in una prospettiva di migliore allocazione e utilizzo di un compendio immobiliare nell’ottica della liquidazione dell’ente pubblico. Non vi è, cioè, alcun esercizio di potere autoritativo della P.A., manifestatosi nella forma dell’accordo in luogo del tradizionale provvedimento, essendosi in presenza della realizzazione del godimento indiretto dell’immobile di proprietà dell’ente pubblico concedente attraverso la figura del contratto di comodato. In ogni caso e sotto un diverso profilo, anche se il comodato fosse per ipotesi riconducibile all’accordo tra pubbliche amministrazioni nel senso di cui all’art. 15 della legge n. 241 del 1990, la controversia non sarebbe comunque attribuibile al giudice amministrativo, perché in essa non viene in rilievo l’esercizio di un potere amministrativo, sotteso all’accordo, quanto piuttosto il rispetto, da parte dell’amministrazione pubblica comodataria, del regolamento contrattuale pattuito, con particolare riferimento alla scadenza della legittima detenzione del bene. La devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie di cui all'articolo 133, comma 1, lettera a), numero 2, cod. proc. amm., concernenti la formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi fra pubbliche amministrazioni, deve essere, infatti, scrutinata attraverso l'impiego del consueto criterio del petitum sostanziale, a seconda che la controversia abbia ad oggetto, in concreto, la contestazione delle modalità (e legittimità) dell’esercizio di un potere autoritativo, non sussistendo la giurisdizione del giudice amministrativo quando la controversia si radichi nel quadro di un rapporto ormai paritario collocato a valle dello strumento negoziale adottato in sostituzione del potere autoritativo. Anche in presenza di accordi tra pubbliche amministrazioni, la giurisdizione esclusiva, ex artt. 15 della legge n. 241 del 1990 e 133 cod. proc. amm., è predicabile solo quando la controversia abbia come oggetto immediato l’accordo stesso e non vicende meramente patrimoniali a esso in ipotesi correlate. Infatti, perché sia configurabile la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo occorre che l’amministrazione agisca, negli ambiti predefiniti dalla legge, come autorità e cioè attraverso la spendita, che si assume illegittima, di poteri amministrativi. Non è, perciò, sufficiente il mero e astratto collegamento tra tali ambiti (materie) e l’oggetto della controversia, restando pur sempre devolute al giudice ordinario le controversie meramente patrimoniali, quali sono quelle aventi ad oggetto l’accertamento degli adempimenti e inadempimenti delle parti (Cass., Sez. Un., 5 ottobre 2021, n. 26921).

5. – E’ dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.

6. – Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, trattandosi di un conflitto, sollevato d’ufficio, nel quale nessuna delle parti ha svolto attività difensiva dinanzi alla Corte regolatrice.

P.Q.M.

dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e cassa la pronuncia declinatoria del Tribunale ordinario di Ancona, dinanzi al quale rimette le parti.

Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 14 maggio 2024.