Giu In tema di contenzioso tributario è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 06 giugno 2024 N. 15919
Massima
In tema di contenzioso tributario è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati, senza che possa essere censurato l’omesso rilievo d’ufficio della nullità, atteso che, nel giudizio tributario, in conseguenza della sua struttura impugnatoria, opera il principio generale di conversione Corte di Cassazione - copia non ufficiale 5 dei motivi di nullità dell’atto tributario in motivi di gravame, sicché l’invalidità non può essere rilevata d’ufficio, né può essere fatta valere per la prima volta in sede di legittimità (Cass. Sez. 5, ordinanza n. 19929 del 23/09/2020, rv. 659043-01; più di recente, Cass., Sez. 5, sentenza n. 10587 del 18/04/2024)

Casus Decisus
1. Maurizio C. e Nadia A., soci della C. s.a.s., ricevevano la notifica di due avvisi di accertamento - rispettivamente T9R01E200403/2013 e T9R01E201125/2013 - emessi dall'Agenzia delle entrate-Direzione Provinciale di Lodi, ai sensi dell'art. 67 comma 1, lett. l), del testo unico imposte dirette. Con tali avvisi veniva liquidata maggiore Irpef in relazione a un maggior reddito, conseguito ma non dichiarato, derivante da compensi per lavoro autonomo non abituale prestato in favore della società. L’importo di tali compensi veniva fatto coincidere con i prelevamenti effettuati nell’anno 2008 dai suddetti due soci dal conto corrente intestato alla società, in maniera ripetuta e ingiustificata, senza che risultasse la destinazione di tali somme di denaro all’attività d’impresa, nonché in assenza di indicazione, nella dichiarazione dei redditi della società, di un eventuale reddito di capitale derivante dagli interessi maturati dalle somme prelevate, che dunque non potevano essere considerate come oggetto di finanziamento ai soci, in mancanza, peraltro, di qualsiasi riscontro in ordine alla restituzione delle medesime somme. 2. Contro questi due avvisi di accertamento, i suddetti soci proponevano ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Lodi, adducendo la natura finanziaria del conto dal quale avevano effettuato i prelevamenti. Contestavano, poi, un errore nel calcolo della somma prelevata e l’omessa rilevazione di maggiori redditi della società. Nel costituirsi in giudizio, l’Agenzia delle entrate escludeva la natura di prestiti finanziari delle somme reiteratamente prelevate, poiché tali importi non risultavano rientrati nel patrimonio sociale, non vi era traccia di interessi maturati sulle stesse somme e affluiti sul conto corrente e, infine, non risultava che i soci avessero disponibilità economiche sufficienti per la restituzione di quanto prelevato. L’Agenzia delle entrate ammetteva, invece, l’errore di calcolo, indicando una somma inferiore da sottoporre a ripresa fiscale per entrambi i soci. 3. La CTP accoglieva parzialmente il ricorso solo sul punto dell’errore di calcolo, rideterminando in diminuzione il reddito accertato e non dichiarato, rilevando, per il resto, l’assoluta assenza di prova in ordine alla natura di prestiti delle somme prelevate, a tanto non bastando la generica denominazione “prelevamento soci” attribuita al conto corrente. 4. Contro la decisione dei giudici di primo grado i suddetti soci, per la parte in cui erano rimasti soccombenti, proponevano appello, che veniva rigettato dalla CTR della Lombardia, la quale, a fronte di molteplici (e incontestate) operazioni di prelevamento dal conto societario senza alcuna spiegazione, rilevavano l’assoluta mancanza di prove – il cui onere ritenevano incombere sui contribuenti – in relazione sia alla destinazione di tali somme in favore della società, sia alle modalità di rientro o all’accredito di interessi o all’esistenza di disponibilità economiche ai fini della restituzione. 5. Contro questa sentenza i soci propongono ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. 6. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 06 giugno 2024 N. 15919 CRUCITTI ROBERTA

1. I quattro motivi di ricorso sono proposti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. 2. Con il primo mezzo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo unico sulle imposte dirette), il quale, in relazione ai redditi prodotti in forma associata, ne attribuisce l’imputazione ai soci, indipendentemente dalla percezione e proporzionalmente alle quote di partecipazione, poiché, nel caso di specie, l’accertamento non riguarderebbe un reddito prodotto in forma associata né altro tipo di reddito.

2.1. Il motivo è inammissibile. Attraverso una censura di violazione di legge, i ricorrenti confutano la ricostruzione in fatto operata dai giudici di merito, contestando la sussistenza delle circostanze riscontrate, invece, dalla sentenza impugnata, con riferimento ai ripetuti prelievi di somme di denaro, alla mancata destinazione delle stesse all’attività di impresa, all’assenza nella dichiarazioni dei redditi della società di un reddito di capitale derivante dagli interessi maturati sulle somme prelevate e al mancato riscontro della restituzione delle stesse somme. Si tratta di doglianza che, all’evidenza, esula dal perimetro dello scrutinio che, con il mezzo di censura prescelto, è stato demandato alla Corte, senza contare che la norma di cui si assume la violazione non è pertinente al caso concreto esaminato, attenendo al diverso fenomeno della distribuzione degli utili prodotti in forma associata e non a quello, qui rilevante, dei compensi percepiti dai soci o dagli amministratori proprio al di fuori degli utili prodotti dalla società.

3. Con il secondo strumento d’impugnazione, si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 24 della Costituzione e dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 nonché dell’art. 37-bis, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, riguardante il principio inviolabile del diritto difesa che, nel caso in questione, avrebbe dovuto essere garantito dal preventivo contraddittorio nella fase endoprocedimentale precontenziosa.

3.1. Il motivo è inammissibile.

La doglianza relativa alla prospettata violazione del contraddittorio endoprocedimentale, risolvendosi in una eccezione di nullità dell’avviso di accertamento, risulta avanzata per la prima volta in sede di legittimità, non essendovi traccia di essa nel provvedimento impugnato e non avendo i ricorrenti assolto all’onere di indicare il modo e il luogo di proposizione di tale eccezione sin dal ricorso in primo grado. In tema di contenzioso tributario, infatti, è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati, senza che possa essere censurato l’omesso rilievo d’ufficio della nullità, atteso che, nel giudizio tributario, in conseguenza della sua struttura impugnatoria, opera il principio generale di conversione dei motivi di nullità dell’atto tributario in motivi di gravame, sicché l’invalidità non può essere rilevata d’ufficio, né può essere fatta valere per la prima volta in sede di legittimità (Cass. Sez. 5, ordinanza n. 19929 del 23/09/2020, rv. 659043-01; più di recente, Cass., Sez. 5, sentenza n. 10587 del 18/04/2024)

4. Con il terzo motivo di ricorso, si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 67 comma 1, lett. l), del TUIR, 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 2697 c.c., in relazione all’onere della prova, ritenuto spettante all’ente impositore, circa l’inquadramento dei redditi accertati fra quelli derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente, nonché in relazione alla mancanza di motivazioni, di presupposti di fatto e di ragioni giuridiche poste a base dell’accertamento. Secondo i ricorrenti, la sentenza impugnata avrebbe male applicato le regole che governano la distribuzione dell’onere della prova, che sarebbe gravato in prima battuta sull’ente impositore, e non in capo ai contribuenti, sui quali non sarebbe spettato di provare l’insussistenza del maggior reddito da lavoro autonomo accertato, come invece presupposto dalla decisione dei giudici di appello.

5. Con il quarto motivo di ricorso, si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, che disciplina i casi in cui è possibile procedere ad accertamento sintetico e le relative modalità, che sarebbero state violate in mancanza di esame delle spese e degli indici di capacità contributiva e in assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti che giustificassero l’accertamento. Avrebbe errato, dunque, l’ufficio impositore a desumere, dalle risultanze del conto bancario intestato alla società, la percezione di somme in favore dei soci qualificandole come reddito da lavoro autonomo occasionale, senza fornire alcuna prova al riguardo in relazione agli elementi considerati dall’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973.

6 6. Il terzo e il quarto motivo, che possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati. I giudici di merito hanno ritenuto corretto l’operato dell’amministrazione finanziaria, la quale ha posto a base dell’accertamento un meccanismo presuntivo che da fatti noti (prelevamenti dal conto societario da parte dei soci odierni ricorrenti, mancato rientro delle somme, assenza di accredito di interessi, inesistenza di disponibilità economiche ai fini della restituzione) ha tratto l’imputazione delle somme prelevate dal conto corrente intestato alla società a compensi attribuiti per attività di lavoro autonomo occasionale, costituente quindi reddito personale non dichiarato e, come tale, recuperato a tassazione.

È noto che, in tema d'imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito desumibile dalle risultanze dei conti bancari, giusta l’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, si estende alla generalità dei contribuenti, ma anche che, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, a differenza di quelle di versamento che tale valore rivestono nei confronti di tutti i contribuenti (tra le ultime, Cass., Sez. 5, sentenza n. 35618 del 20/12/2023, Rv. 669935-01). Ora, in disparte il fatto che il principio riguarda le operazioni bancarie effettuate sui conti correnti riferibili allo stesso contribuente, mentre, nel caso di specie, l’Ufficio impositore ha accertato che i prelevamenti sono stati effettuati dai ricorrenti da un conto corrente intestato alla società, soggetto ovviamente diverso dai contribuenti, l’Ufficio impositore non si è limitato ad accertare i prelievi dal conto corrente operati dai soci al di fuori degli utili distribuiti. Sono state infatti accertate altre circostanze, quali, in particolare, il mancato rientro delle somme, l’assenza dell’accredito di interessi (che avrebbe potuto fondare la causale di finanziamento oneroso in favore dei soci stessi) e l’inesistenza di disponibilità economiche in capo ai soci adeguate ai fini della restituzione delle somme incontestabilmente prelevate. Una serie di indizi gravi, precisi e concordanti, dunque, che hanno legittimamente consentito, dapprima all’Agenzia delle entrate, e poi ai giudici di entrambi i gradi di merito, di ritenere che si sia formata una prova “completa”, valorizzabile anche in via esclusiva, della percezione di somme a titolo di compenso per lavoro autonomo occasionale, che doveva essere sottoposto a tassazione, fatto sempre salvo il limite della motivazione del proprio convincimento, nonché quello dell’esame degli eventuali elementi indiziari contrari allegati dalla parte (qui, essenzialmente, limitati alla natura “finanziaria” del conto corrente, senza alcun supporto probatorio). Il ricorso va quindi respinto, con condanna al pagamento delle spese in favore della controricorrente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna C. MAURIZIO E NADIA A. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle entrate, che si liquidano in euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso, in Roma, il 22 maggio 2024.

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