1. Dichiarata l’ammissibilità del ricorso con decisione delle Sezioni Unite della Corte (Cass., Sez. U, Sentenza n. 2077 del 19/01/2024, Rv. 669830 – 01), nella presente sede ne va esaminato esclusivamente il merito.
2. Si premette che, all’esito del giudizio di primo grado, il Giudice di Pace di Roma ha dichiarato cessata la materia del contendere in relazione ad alcuni dei crediti iscritti a ruolo oggetto delle contestazioni dell’opponente ed ha accolto l’opposizione per gli altri. Ha, inoltre, affermato di intendere procedere a parziale compensazione delle spese di lite, per il 50%, con liquidazione delle stesse in applicazione dello scaglione di valore più elevato della tariffa forense per le cause davanti al giudice di pace (da € 5.000,00 ad € 26.000,00). In concreto, ha, peraltro, liquidato la somma di € 1.990,00 in favore dell’opponente (con distrazione in favore del suo procuratore), che non corrisponde affatto alla metà dei compensi previsti dal suddetto scaglione tariffario (neanche considerando il massimo aumento consentito degli stessi), ma all’importo integrale dei compensi medi (senza, cioè, la decurtazione del 50% per la parziale compensazione) del medesimo. L’opponente ha proposto appello, sia contestando i presupposti della dichiarata parziale compensazione delle spese di lite (sostenendo di essere integralmente vittorioso e di avere, pertanto, diritto all’integrale rimborso delle spese processuali), sia deducendo la violazione dei minimi tariffari: quest’ultimo motivo di gravame è stato argomentato sulla base dell’assunto per cui, dal momento che la tariffa forense non prevede uno scaglione di valore superiore ad € 26.000,00 per i giudizi davanti al giudice di pace, ma, nella specie, gli importi delle sanzioni in contestazione erano pari complessivamente a circa € 85.000,00, si sarebbero dovuti applicare i compensi previsti per lo scaglione tariffario relativo alle cause davanti al tribunale corrispondente a tale ultima cifra (i cui valori minimi sarebbero stati, in concreto, violati).
3. Il tribunale ha rigettato l’appello, confermando la decisione di primo grado, nel suo dispositivo finale, anche se con una sostanziale correzione della motivazione. Secondo il tribunale, in primo luogo, il giudice di pace non avrebbe affatto inteso realmente compensare le spese per la metà. Il giudice di secondo grado ha osservato, in proposito, che la decisione sulle spese impugnata conteneva una sorta di apparente contraddittorietà, che rendeva necessario ricostruirne il senso effettivo. Come già visto, il giudice di primo grado aveva, in effetti, affermato di intendere operare la parziale compensazione delle spese, per il 50% e, al tempo stesso, aveva dichiarato di effettuare la liquidazione in base ai valori tariffari dello scaglione di valore più elevato previsto per i giudizi davanti al giudice di pace.
Però, l’importo di € 1.990,00 liquidato in concreto non corrispondeva affatto alla metà dei compensi previsti dallo scaglione applicato, ma era addirittura superiore a tale quota, anche a considerare la massima maggiorazione consentita (pari ad un importo complessivo di € 3.690,00, il 50% del quale ammonta ad € 1.845,00), mentre il predetto importo era esattamente pari a quello dei compensi medi del medesimo scaglione. Di conseguenza, secondo il tribunale, doveva concludersi che il giudice di pace si era semplicemente espresso impropriamente nell’indicare l’intenzione di operare la compensazione parziale delle spese di lite per la metà, quando intendeva in realtà liquidarle in misura integrale in favore dell’opponente, ma ai valori mediani della tariffa. Il giudice di appello ha ritenuto, in particolare, di dover privilegiare l’interpretazione della sentenza di primo grado appena esposta perché doveva escludersi quella che avrebbe implicato una immotivata violazione dei valori dello scaglione tariffario espressamente applicato. A suo avviso sarebbe, invece, ragionevole ritenere che vi era stato un mero errore o una sostanziale improprietà nell’espressione linguistica da parte del giudice di primo grado, laddove questi aveva indicato l’intenzione di procedere a parziale compensazione delle spese per la “metà”, mentre in realtà egli intendeva riconoscerle integralmente in favore della parte opponente, ma ai valori “mediani” dello scaglione più elevato della tariffa forense relativa ai giudizi davanti al giudice di pace. In ogni caso, nel dispositivo della sentenza di secondo grado, il tribunale ha espressamente statuito il rigetto dell’appello, con integrazione (rectius: correzione) della motivazione, nel senso appena indicato: egli ha cioè, in definitiva, semplicemente confermato la somma di € 1.990,00, già riconosciuta in concreto dal giudice di pace all’opponente vittorioso, quale liquidazione in favore di quest’ultimo dell’importo corrispondente all’integrale rimborso delle spese del grado, non alla metà di esse. Tanto premesso, possono essere esaminati i motivi del presente ricorso.
4. Con il primo motivo si denunzia «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. con riferimento alla pronuncia di riforma della sentenza di primo grado in assenza dello svolgimento di una domanda in tal senso in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.». Secondo il ricorrente, sarebbe stata riformata la decisione di primo grado, in difetto di impugnazione, nella parte in cui – almeno a suo dire – il giudice di pace aveva liquidato le spese, per l’intero, in € 3.980,00. Secondo il ricorrente, la decisione del giudice di pace andrebbe interpretata in un senso completamente diverso da quello fatto proprio dal tribunale e, precisamente, nel senso per cui le spese di lite erano state effettivamente compensate per la metà e liquidate in tale quota, anche se in violazione dei valori massimi della tariffa dichiaratamente applicata; tale violazione, però, non essendo stato oggetto di impugnazione, non avrebbe potuto essere corretta dal giudice di secondo grado. La censura è infondata.
4.1 Non vi sono elementi univoci che possano condurre ad affermare con certezza che l’interpretazione della decisione del giudice di pace sulle spese processuali sostenuta dalla parte ricorrente sia l’unica corretta, a fronte di quella, diversa ma non certo meno plausibile, dinanzi al tenore testuale non particolarmente rigoroso della sentenza di prime cure, operata dal tribunale. Quest’ultimo, come già chiarito, ha rigettato l’appello sulla base di una interpretazione di tale statuizione secondo la quale le spese processuali del giudizio di primo grado sarebbero state riconosciute all’opponente integralmente (e non solo nella parziale quota del 50%) e liquidate in misura pari ai valori medi di tariffa. Si tratta di una interpretazione del disposto della sentenza di primo grado che alla Corte non appare irragionevole ed è, comunque, sostenuta da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, che, come tale, non potrebbe neanche ritenersi sindacabile nella presente sede.
4.2 In ogni caso, è assorbente di ogni altra considerazione il rilievo per cui, anche a voler mettere – per un momento – in discussione l’interpretazione della decisione del giudice di pace fatta propria dal tribunale, la statuizione finale di rigetto dell’appello è stata espressamente disposta dal tribunale sulla base della integrazione/correzione della motivazione della sentenza di primo grado. Non vi è dubbio, infatti, che il tribunale abbia pienamente riconosciuto la fondatezza delle ragioni dell’appellante, relativamente al suo diritto di ottenere il rimborso integrale delle spese del giudizio di primo grado, senza alcuna parziale compensazione; ciò nonostante, il giudice di secondo grado ha ritenuto, comunque, conforme a diritto la statuizione finale della decisione del giudice di pace, nella parte in cui attribuiva alla parte vittoriosa, per le suddette spese, l’importo concreto di € 1.990,00, ritenendo equa, nella fattispecie concreta, una liquidazione dei compensi medi dello scaglione massimo previsto per i giudizi davanti al giudice di pace. Orbene, bisogna tenere presente, in proposito, che, se anche la decisione del giudice di pace sulle spese di lite non potesse essere interpretata nel senso, pur logico e plausibile, indicato dal tribunale, essa avrebbe potuto, al più, considerarsi insanabilmente e irrimediabilmente ambigua, cioè contraddittoria sul piano logico e, come tale, non in grado di esprimere alcuna effettiva, comprensibile e certa statuizione. Di conseguenza, a tutto voler concedere, la suddetta statuizione avrebbe dovuto ritenersi radicalmente nulla, in considerazione di tale insanabile vizio di contraddittorietà logica, che non consentirebbe di ricostruirne il senso logico effettivo (cfr. Cass., Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 37079 del 19/12/2022, Rv. 666556 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 5939 del 12/03/2018, Rv. 647850 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 29490 del 17/12/2008, Rv. 605913 - 01). In tal caso, peraltro, la nullità del relativo capo della sentenza sarebbe da ritenersi necessariamente integrale e non potrebbe ritenersi limitata alla parte relativa alla disposta parziale compensazione, come vorrebbe la parte ricorrente. Non può, pertanto, in nessun caso condividersi l’impostazione di quest’ultima, che vorrebbe caducato il capo della decisione di primo grado impugnata nella sola parte in cui avrebbe disposto la compensazione parziale delle spese di lite, conservando, invece, la parte in cui, a suo dire, sarebbe stato liquidato, in astratto, l’importo complessivo di tali spese, di conseguenza raddoppiando la somma in concreto oggetto della condanna in suo favore. Al contrario, se anche non fosse possibile confermare l’interpretazione “correttiva” della decisione impugnata fatta propria dal tribunale, potrebbe soltanto, in alternativa, ritenersi radicalmente nullo l’intero capo relativo alla regolamentazione delle spese del primo grado, per insanabile contraddittorietà logica della relativa statuizione. Ma, in tal caso, avrebbe dovuto essere effettuata nuovamente la liquidazione di dette spese, per l’intero, e ben avrebbe potuto il giudice di appello ritenere congrua l’applicazione dei compensi medi della tariffa, come di fatto avvenuto. Esattamente a tale esito, infatti, il tribunale è giunto, in modo da ritenersi comunque conforme a diritto, proprio attraverso la correzione/integrazione della motivazione della sentenza di primo grado. E tale ultimo esito è da ritenere conforme al principio generale per cui «il giudice di appello, nel confermare la sentenza di primo grado, può, senza violare il principio del contraddittorio, anche d’ufficio sostituirne la motivazione che ritenga scorretta, purché la diversa motivazione sia radicata nelle risultanze acquisite al processo e sia contenuta entro i limiti del “devolutum”, quali risultanti dall’atto di appello» (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4889 del 14/03/2016, Rv. 639288 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 14127 del 27/06/2011, Rv. 618386 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 696 del 22/01/2002, Rv. 551722 – 01) e, più in particolare, a quello per cui «la contraddizione tra motivazione e dispositivo è sanabile in sede di appello, nel senso che il giudice del gravame può confermare la statuizione di cui al dispositivo corredandola di una motivazione idonea a sorreggerla dato che le nullità dell’atto-sentenza diverse da quella prevista dall’art. 161, comma 2, c.p.c. possono o debbono essere sanate dal giudice d’appello, attesa anche la tassatività delle ipotesi di rimessione della causa al primo giudice elencate dagli artt. 353 e 354» (Cass., Sez. L, Sentenza n. 4872 del 05/05/1995 Rv. 492095 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 579 del 18/06/1998, Rv. 516564 – 01). Nella specie, il tribunale ha rilevato che il dispositivo finale della decisione impugnata, nel suo contenuto sostanziale e concreto (avente ad oggetto l’importo della condanna pronunciata a carico del soccombente) era senz’altro da confermare, in quanto i compensi medi di tariffa, a suo giudizio spettanti alla parte vittoriosa, corrispondevano esattamente a quelli di fatto liquidati dal giudice di pace in favore della stessa, a prescindere dall’indicazione relativa alla parziale compensazione, ritenuta un mero errore di espressione, errore peraltro privo di rilievo anche nell’ottica appena esposta della correzione della motivazione. In ogni caso, dunque, la decisione impugnata nella presente sede, che ha ritenuto congruo l’importo liquidato in concreto dal giudice di pace in favore dell’opponente, pari a quello integrale delle spese di lite del grado, sulla base dell’applicazione dei valori medi della tariffa, è da ritenersi conforme a diritto.
5. Con il secondo motivo si denunzia «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, comma 2 n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.». Il motivo è infondato, per le medesime ragioni esposte in relazione al primo motivo. Il ricorrente sostiene che non vi sarebbe una effettiva comprensibile motivazione a sostegno della decisione del tribunale di conferma del capo della sentenza di primo grado sulle spese processuali, in quanto tale decisione sarebbe in contraddizione logica con la ritenuta esclusione dei presupposti della parziale compensazione di tali spese. In realtà, per le ragioni più dettagliatamente esposte in relazione al primo motivo del ricorso, tale contraddizione logica va esclusa, nell’ottica della disposta correzione della motivazione della sentenza di primo grado: è evidente che il tribunale ha inteso confermare esclusivamente l’importo oggetto di condanna in favore dell’opponente indicato nel dispositivo della sentenza del giudice di pace, anche se sulla base di una diversa motivazione, il che esclude il rilievo delle questioni relative alla parziale compensazione. D’altra parte, la motivazione a sostegno di tale ratio decidendi risulta espressa, come già visto, in modo assolutamente chiaro, logico e agevolmente comprensibile.
6. Con il terzo motivo si denunzia «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. con riferimento alla omessa pronuncia sulla domanda di riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva violato i cd. minimi tariffari in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.». Secondo il ricorrente, il tribunale avrebbe omesso di pronunciare sul suo motivo di appello relativo alla violazione dei minimi tariffari. Il motivo è infondato.
6.1 In realtà, la ratio decidendi della decisione impugnata, sul punto in contestazione, si ricava agevolmente dalla complessiva motivazione del provvedimento: il tribunale ha, infatti, ripetutamente fatto riferimento allo scaglione massimo di valore relativo ai giudizi davanti al giudice di pace. In sostanza, ha, quindi, ritenuto che, anche per le cause di valore più elevato eventualmente trattate davanti al giudice di pace per ragioni di materia, poiché la tariffa non prevede ulteriori scaglioni di valore o, comunque, specifiche previsioni per tale ipotesi, ai fini della liquidazione delle spese di lite deve essere comunque applicato lo scaglione di valore massimo della corrispondente tariffa. E, sotto tale profilo, la decisione impugnata, deve ritenersi conforme a diritto.
6.2 La Corte ritiene, in primo luogo, che sia manifestamente infondata la tesi del ricorrente, secondo cui, nell’ipotesi verificatasi nel caso in esame, di una controversia di valore economico complessivo superiore al valore massimo previsto dalla tariffa per i giudizi davanti al giudice di pace e da questo trattata in ragione della sussistenza di una competenza per materia (più precisamente, di competenza per materia ovvero per materia con limite di valore: cfr., in tal senso, sia per le opposizioni a sanzioni amministrative cd. recuperatorie, sia per quelle di accertamento negativo del relativo credito, anche in ipotesi di impugnazione del fermo amministrativo o dell’iscrizione ipotecaria esattoriale, sia in caso di opposizione all’esecuzione: Cass., Sez. U, Sentenza n. 10261 del 27/04/2018, Rv. 648267 – 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 24711 del 08/10/2018, Rv. 650888 – 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 32243 del 13/12/2018, Rv. 651829 – 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 7460 del 15/03/2019, Rv. 653443 – 01; Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 14304 del 05/05/2022, Rv. 664915 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 14328 del 24/05/2023, Rv. 667860 - 02), si dovrebbero applicare i compensi dello scaglione di valore corrispondente ai crediti oggetto della controversia previsti per i giudizi davanti al Tribunale. A tacer d’altro, porta ad escludere la possibilità di accedere ad una tale soluzione il semplice e immediato rilievo che gli importi dei compensi previsti per i giudizi davanti al giudice di pace e per quelli davanti al Tribunale, per scaglioni di valore corrispondenti, non sono affatto equivalenti (quelli per i giudizi davanti al giudice di pace sono sensibilmente inferiori e la differenza è progressivamente sempre più elevata, man mano che cresce il valore; si consideri, ad esempio, che, per lo scaglione da € 5.000,00 ad € 26.000,00, i compensi per i giudizi davanti al giudice di pace sono pari a circa il 40% di quelli previsti per i giudizi davanti al tribunale). La diversa misura dei compensi previsti per l’attività difensiva svolta davanti al giudice di pace e davanti al tribunale, anche in relazione a cause di identico valore, comporta che non può ritenersi trattarsi, nella stessa ottica del legislatore, di fattispecie analoghe, ai fini dell’applicazione dei corrispondenti scaglioni tariffari, il che esclude la possibilità di invocare, in tale ipotesi, l’art. 3 del D.M. n. 55 del 2014. In ogni caso, anche al di là di tale rilievo, ritiene la Corte che l’omessa previsione di scaglioni di valore più elevati rispetto a quello da € 5.000,00 ad € 26.000,00, per i giudizi davanti al giudice di pace (mentre per i giudizi davanti al tribunale sono previsti criteri per la liquidazione delle spese anche per i valori più elevati di quelli specificamente indicati nella tabella, senza Corte di Cassazione - copia non ufficiale Ric. n. 19584/2021 – Sez. 3 - Ud. 15 maggio 2024 – Sentenza – Pagina 13 di 17 limiti), costituisca inequivocabile segno che il legislatore abbia inteso escludere, per i giudizi davanti al giudice di pace, la possibilità di applicazione di ulteriori e diversi scaglioni di valore e, quindi, che, se anche il valore complessivo della causa che viene trattata davanti al giudice di pace (o, più precisamente, delle varie cause che si svolgono simultaneamente davanti a tale giudice, dovendosi ritenere che la contestazione di più sanzioni amministrative comporti distinte e autonome domande, ciascuna di valore corrispondente alla singola sanzione contestata) sia eventualmente superiore ad € 26.000,00, sarà comunque applicabile lo scaglione di valore massimo previsto. Naturalmente, nell’ambito di tale scaglione, il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale di modulare il compenso tra il minimo ed il massimo previsto, potrà eventualmente, laddove lo ritenga opportuno, anche tener conto del valore effettivo della controversia, unitamente a tutti gli altri elementi da considerare a tal fine in base alle disposizioni della tariffa, trattandosi di un potere discrezionale, peraltro non soggetto al controllo di legittimità (cfr. Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 14198 del 05/05/2022, Rv. 664685 – 01: «in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso»; conf.: Sez. 3, Ordinanza n. 89 del 07/01/2021, Rv. 660050 – 02; Sez. 3, Ordinanza n. 19989 del 13/07/2021, Rv. 661839 - 03). È opportuno sottolineare ulteriormente, in proposito, che, in linea generale, a seguito delle modificazioni introdotte nella Corte di Cassazione - copia non ufficiale Ric. n. 19584/2021 – Sez. 3 - Ud. 15 maggio 2024 – Sentenza – Pagina 14 di 17 formulazione dell’art. 4 del D.M. 10 marzo 2014 n. 55 con il D.M. 8 marzo 2018 n. 37, mentre non è più consentito, nella liquidazione delle spese di lite, scendere al di sotto dei valori minimi della tariffa, per lo scaglione applicabile, in quanto tali valori minimi devono ritemersi avere carattere inderogabile (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 9815 del 13/04/2023, Rv. 667534 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 29184 del 20/10/2023, Rv. 669200 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 10438 del 19/04/2023, Rv. 667640 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 11102 del 24/04/2024, Rv. 670891 - 01), non appare del tutto esclusa, in astratto, la possibilità del superamento dei valori massimi, sebbene ciò possa avvenire, evidentemente, solo in casi del tutto eccezionali e sulla base di specifica, effettiva e adeguata motivazione. Tale conclusione si fonda sul rilievo che l’attuale formulazione dell’art. 4, comma 1, del D.M. n. 55 del 2014, come infine modificato dal D.M. 13 agosto 2022 n. 147, mentre prevede genericamente la possibilità di un aumento fino al 50% dei valori medi dello scaglione, consente corrispettivamente, una diminuzione di essi “in ogni caso” non oltre il 50%: ciò induce a ritenere che solo per la diminuzione il limite del 50% dei valori medi sia assolutamente inderogabile (“in ogni caso”), mentre per l’aumento possano continuare ad applicarsi i principi di diritto più sopra enunciati, che consentono una deroga anche del limite massimo previsto dalla tariffa, peraltro solo in casi eccezionali e sulla base di specifica, adeguata e puntuale motivazione.
Va, in definitiva, enunciato il seguente principio di diritto: «se il valore complessivo di una controversia trattata (eventualmente per la sussistenza di una competenza per materia ovvero per materia con limite di valore) davanti al giudice di pace sia superiore ad € 26.000,00, andrà comunque applicato, ai fini della liquidazione delle spese di lite, lo scaglione di valore massimo previsto dalla tariffa forense per i giudizi davanti a tale giudice, con opportuna modulazione dei compensi tra i limiti minimi e massimi previsti dalla stessa tariffa, anche eventualmente in considerazione, laddove ritenuto opportuno dal giudice e unitamente agli altri criteri da valutare in proposito, del valore effettivo della controversia stessa, mentre la possibilità di un eventuale superamento dei valori massimi di tariffa sarà possibile, come di ordinario in base ai principi generali, solo in casi eccezionali e previa specifica, adeguata e puntuale motivazione in proposito».
6.3 Nel caso di specie, il tribunale ha ritenuto congrua una liquidazione (integrale, senza alcuna compensazione, neanche parziale, come già ampiamente chiarito) delle spese del giudizio di primo grado in favore della parte vittoriosa, sulla base dei valori medi della tariffa, anche a seguito della correzione della motivazione della decisione adottata in proposito dal giudice di pace, ritenuta peraltro conforme a diritto nel suo concreto dispositivo finale, relativo all’importo oggetto di condanna, non avendo evidentemente ravvisato ragioni sufficienti a discostarsi da tali valori medi, nonostante l’importo complessivo dei crediti contestati, in considerazione di tutti i criteri da valutare in proposito. Tale decisione, sulla base dei principi di diritto sin qui esposti, risulta, da una parte, conforme a diritto nell’individuazione dei parametri tabellari da applicare e, dall’altra parte, non sindacabile nella presente sede, in quanto esercizio di un potere discrezionale del giudice che, essendo contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità. Ne consegue che la sentenza impugnata, anche con le presenti integrazioni e/o correzioni della relativa motivazione (per quanto occorra), va confermata, in quanto il suo dispositivo risulta senz’altro conforme a diritto. E ciò anche tenendo conto che, finanche in caso di omessa pronuncia o di omessa motivazione su una domanda o un motivo di gravame, è possibile confermare la decisione corretta nel dispositivo, integrandone la motivazione, laddove si tratti di questione di diritto che, come nella specie, non richieda accertamenti di fatto (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 15764 del 13/08/2004, Rv. 575563 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 20198 del 13/10/2004, Rv. 577677 – 01; sostanzialmente nel medesimo senso: Cass., Sez. U, Sentenza n. 2731 del 02/02/2017, Rv. 642269 – 01; Sez. L, Ordinanza n. 6145 del 01/03/2019, Rv. 653076 - 01). 7. Il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate tra le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, anche in considerazione della disposta correzione della motivazione del provvedimento impugnato e della novità della questione di diritto oggetto dell’ultimo motivo di ricorso. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, co. 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228. per questi motivi
La Corte: - rigetta il ricorso; - dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-