1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell’art. 19 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nella parte in cui la sentenza impugnata ha negato la detrazione IVA per avere ritenuto che l’Ufficio avrebbe assolto al proprio onere della prova in ordine al fatto che il cessionario contribuente fosse a conoscenza della frode IVA consumata a monte. Osserva parte ricorrente come l’Ufficio abbia incentrato la propria attività accertativa sulla assenza di organizzazione del fornitore, senza indagare quali elementi inducessero a ritenere che il cessionario fosse consapevole della frode IVA. Osserva, in particolare, parte contribuente, che in giudizio sarebbe stato accertato che i prezzi praticati dalla società contribuente al fornitore fossero in linea con i prezzi di mercato, che non risulta che il cedente abbia restituito parte dell’IVA versata dalla società contribuente. Deduce, inoltre, che il requisito della manodopera necessaria a eseguire il confezionamento e la falsità della fornitura delle macchine da cucire fossero addebitabili alla società contribuente, considerato che l’impresa fornitrice era pienamente operativa, anche in considerazione del fatto che il contribuente non dispone degli stessi poteri ispettivi dell’Ufficio o della GdF.
2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., erronea valutazione di elementi probatori ritenuti inammissibili in violazione degli artt. 2697, 2729 cod. civ. e dell’art. 7 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto di non valorizzare le dichiarazioni dei dipendenti della società contribuente in quanto rese in sede penale e non utilizzabili nel giudizio tributario, laddove tali dichiarazioni di terzi possano in ogni caso essere utilizzate come elementi indiziari.
3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 324 cod. proc. civ. e del principio del ne bis in idem in relazione all’art. 2909 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata non ha dato rilievo alla sentenza di passaggio in giudicato della sentenza penale di assoluzione pronunciata nelle more perché il fatto non sussiste. Deduce, inoltre, che la natura afflittiva della sanzione tributaria comporterebbe una ingiustificata violazione del principio del ne bis in idem.
4. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 6 d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, nonché degli artt. 7 e 12 d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, nella parte in cui la sentenza impugnata ha accolto l’appello incidentale dell’Ufficio in tema di sanzioni. Osserva il ricorrente che nel caso in cui la norma preveda una sanzione compresa tra un minimo e un massimo il giudice ha l’onere di indicare i criteri adottati nel procedere alla determinazione della sanzione.
5. Il primo motivo è fondato.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ove si verta in tema di corretto esercizio della detrazione in relazione a fatture di acquisto emesse da società prive di organizzazione o da soggetti interposti, l'Amministrazione finanziaria ha l'onere di provare la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inserisca in una evasione dell'imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l'ordinaria diligenza, in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente. Ove l'Amministrazione assolva al proprio onere della prova, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta ad evadere l'imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass., Sez. V, 28 dicembre 2022, n. 37889; Cass., Sez. V, 13 luglio 2022, n. 22190; Cass., Sez. V, 20 dicembre 2021, n. 40690; Cass., Sez. V, 17 agosto 2021, n. 22969; Cass., Sez. V, 3 agosto 2021, n. 22107; Cass., Sez. V, 20 luglio 2021, n. 20648; Cass., Sez. V, 8 luglio 2021, n. 19387; Cass., Sez. VI, 11 novembre 2020, n. 25426; Cass., Sez. V, 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., Sez. V, 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., Sez. V, 24 agosto 2018, n. 21104; Cass., Sez. V, 20 aprile 2018, n. 9851; Cass., Sez. V, 19 aprile 2018, n. 9721; Cass., Sez. U., 12 settembre 2017, n. 21105).
6. Tali principi riposano sulla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo cui la natura indebita della detrazione si configura nel caso in cui un soggetto passivo avrebbe dovuto sapere di avere preso parte, tramite l'operazione di cui trattasi e, in particolare, con il proprio acquisto, a un'operazione che si iscriveva in un'evasione dell'IVA commessa dal fornitore o da un altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena di cessione (Corte di Giustizia UE, 18 maggio 2017, Litdana, C624/15, punto 33; Corte di Giustizia UE, 18 dicembre 2014, N. 1272 .G. 6di 11 Est. F. Schoenimport «Italmoda» Mariano Previti, C-131/13, C-163/13 e C-164/13, punti 49 e 50; Corte di Giustizia UE, 6 dicembre 2012, Bonik, C-285/11, punti da 38 a 40; Corte di Giustizia UE, 6 settembre 2012, Mecsek-Gabona, C-273/11, punto 54; Corte di Giustizia UE, 21 giugno 2012, Mahagében e David, C80/11 e C/142/11, punto 46; Corte di Giustizia UE; 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling, C- 439/04 e C440/04, punti 45, 46, 56). Ragione per cui deve ritenersi che sia esigibile da un accorto operatore commerciale l’adozione di tutte le misure che gli si possa ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l'operazione effettuata non lo conduca a partecipare a una evasione di imposte (Corte di Giustizia UE, 17 dicembre 2020, n. Bakati Plus, C-656/19, punto 80; Corte di Giustizia UE, Corte di Giustizia UE, 17 ottobre 2019, Unitel, C-653/18, punto 33; Corte di Giustizia UE, 28 marzo 2019, Vin, C-275/18, punto 33; Corte di Giustizia UE, 8 novembre 2018, Cartrans Spedition, C495/17, punto 41; Corte di Giustizia UE, Litdana, cit., punto 34).
7. In ogni caso, per quanto più rileva nel caso di specie, la diligenza dovuta dal soggetto passivo e le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che, con il suo acquisto, non possa essere consapevole di un’evasione IVA commessa da un operatore a monte dipendono dalle circostanze del caso di specie e, in particolare, dalla questione se esistano o meno indizi che consentano al soggetto passivo, al momento dell’acquisto da lui effettuato, di sospettare l’esistenza di irregolarità o di una frode (CGUE, 11 gennaio 2024, Global Ink Trade, C-537/22, punto 39). Tuttavia, non si può esigere dal contribuente che esso proceda a verifiche complesse e approfondite, come quelle che l’amministrazione tributaria ha i mezzi per effettuare (CGUE, 1º dicembre 2022, Aquila Part Prod Com, C-512/21, punto 52, CGUE, 9 gennaio 2023, A.T.S. 2003, C-289/22, punto 70).
8. Nella specie, la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente la consapevolezza del cessionario, odierna contribuente, sul presupposto che il cedente era soggetto privo di organizzazione in quanto non dotato di manodopera al fine di eseguire le lavorazioni commissionate dalla contribuente, e che il cedente si era simulatamente dotato di strumenti di produzione (macchine da cucire). Gli elementi indiziari valorizzati dal giudice di appello attengono, nella sostanza, alla struttura organizzativa del cedente e non anche a eventuali ricadute negoziali dell’assenza di organizzazione del fornitore, come livelli fuori mercato dei prezzi di cessione, o patti di retrocessione della quota IVA versata (come nota il ricorrente), ovvero anomale dinamiche di approvvigionamento, di stoccaggio della merce, di pagamento. Al contrario, come correttamente nota il ricorrente, l’impresa cedente risultava regolarmente iscritta al Registro delle Imprese e a una più approfondita analisi della struttura organizzativa della stessa il ricorrente non vi avrebbe potuto procedere con gli stessi strumenti di indagine di cui possono disporre gli Uffici finanziari.
9. Va, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto: «ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova della conoscenza o conoscibilità, secondo la massima diligenza esigibile da un accorto operatore professionale, dell’esistenza di una frode IVA consumata a monte della catena produttiva o distributiva, le cautele che si richiede che il cessionario sia tenuto ragionevolmente ad adottare, perché si escluda il suo coinvolgimento, anche solo per colpevole ignoranza, nella frode commessa a monte, non possono attingere a verifiche complesse e approfondite, analoghe a quelle che l’amministrazione finanziaria avrebbe i mezzi per effettuare». La sentenza, nella parte in cui ha addossato al ricorrente l’omessa conoscenza della inadeguatezza dei fattori produttivi impiegati dal fornitore, ivi compresa l’inadeguatezza quantitativa della manodopera impiegata, non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi e va cassata per nuovo esame.
10. Il secondo motivo è fondato, posto che – secondo la giurisprudenza di questa Corte – l'efficacia probatoria delle dichiarazioni rese da terzi non possono ritenersi tamquam non esset e inutilizzabili in sede tributaria, rilevando quali fonti di conoscenza in termini di fatti o indizi che spetta al giudice di merito valutare insieme agli altri elementi presuntivi, al fine di completare il quadro probatorio a sostegno della pretesa tributaria (Cass., Sez. V, 28 ottobre 2022, n. 32024). Se tali dichiarazioni sono utilizzabili dall’Ufficio ai fini della prova dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, ugualmente le stesse sono utilizzabili dal contribuente per assolvere il proprio onere della prova contraria in assoluto rispetto dell'art. 6 CEDU e del principio di parità delle armi di cui all'art. 47 CDFUE (Cass., Sez. V, 22 marzo 2023, n. 8221).
11. Il terzo motivo è infondato.
In disparte l’omessa indicazione delle persone fisiche che avrebbero fruito della sentenza di assoluzione nel parallelo processo penale, nonché dei capi di imputazione per i quali le stesse erano state tratte a giudizio, va ribadito il principio secondo cui l’autonomia del giudizio tributario rispetto al giudizio penale e la diversità della struttura del processo, oltre che delle fonti di prova rendono – allo stato - priva di efficacia la sentenza irrevocabile di condanna (come di assoluzione) ottenuta nel processo penale da persone fisiche riferibili alla società contribuente (Cass., Sez. V, 5 luglio 2023, n. 18953; Cass., Sez. V, 1° dicembre 2021, n. 37801; Cass., Sez. V, 4 dicembre 2020, n. 27814; Cass., Sez. VI, 24 novembre 2017, n. 28174).
12. Analogamente, la natura penale di una sanzione va individuata secondo i criteri enunciati nella sentenza «Engel» (Cass., Sez. V, 30 novembre 2021, n. 37366; Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel c/Paesi Bassi; Cass. pen., Sez. III, 21 aprile 2016, n. 25815, Scagnetti; Cass. pen., Sez. IV, 10 dicembre 2020, n. 35055, Naso). La giurisprudenza della Corte EDU ha elaborato - a partire dalla richiamata pronuncia del 1976 - tre criteri, tra loro alternativi, al fine di stabilire la qualificazione di un'infrazione come penale da un punto di vista sostanziale, consistenti nella qualificazione giuridica della sanzione, nella natura e nella finalità dell'infrazione e (infine) nel grado di severità della sanzione stessa (profili non approfonditi dal ricorrente).
13. In ulteriore luogo, il carattere sostanzialmente penale di una sanzione va valutato in relazione al massimo edittale della sanzione applicabile a priori (Corte EDU, Grande Stevens c/Italia, 3 marzo 2014, par. 98) e non dalla sua applicazione in concreto. Né parte ricorrente ha dedotto se e in che termini le sanzioni applicate siano prive di una funzione compensativa del danno erariale applicato e, invece, siano volte a realizzare una funzione afflittiva e deterrente, che è criterio utile al fine di dedurre la natura sostanzialmente penale della sanzione (Corte EDU, Jussila c/Finlandia, 23 novembre 2006; Corte cost., 21 marzo 2019, n. 63; Corte cost., 16 aprile 2021, n. 68).
14. Va, comunque, osservato che non sarebbe, in ogni caso, possibile dedurre dall'art. 4 prot. 7 un divieto assoluto per gli Stati membri di imporre una sanzione amministrativa (ancorché qualificabile come «sostanzialmente penale» ai fini delle garanzie dell'equo processo) per quei fatti di evasione fiscale in cui è possibile, altresì, perseguire e condannare penalmente il soggetto, in relazione a un elemento ulteriore rispetto al mero mancato pagamento del tributo, come una condotta fraudolenta, alla quale non potrebbe dare risposta sanzionatoria adeguata la mera procedura amministrativa (Corte EDU, 15 di 17 A e B c/Norvegia del 15 novembre 2016, par. 123; Cass., Sez. V, 20 dicembre 2019, n. 34219). Può, difatti, istituirsi una complementarità tra gli scopi perseguiti con le due sanzioni, penale e amministrativa, secondo i dettami della Corte EDU (A e B c/Norvegia, cit.: Cass., Sez. V, 22 aprile 2022, n. 12846), non configurandosi un «bis processuale», in quanto i due procedimenti (penale e tributario) possono sorgere e proseguire «in parallelo quali ambiti autonomi, benché coordinati, rendendo palese la ratio dell'intervento normativo fondato su un globale ed unitario apprezzamento legislativo funzionale ad una risposta punitiva articolata e concretamente dissuasiva. Il necessario avvio del procedimento sanzionatorio, infatti, trova il suo bilanciamento nella previsione del comma 2 [dell’art. 21 d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74], il quale esclude che la sanzione possa essere posta in esecuzione (salvo che per i soggetti solidalmente responsabili non concorrenti nel reato) fino a che il giudizio penale è pendente. Solo la definizione del giudizio penale è suscettibile di attivare la procedura di esecuzione ma in termini selettivi» (Cass., Sez. V, 8 ottobre 2020, n. 21694; conf., Cass., Sez. V, 11 gennaio 2023, n. 602).
Principi dai quali non vi è motivo di discostarsi.
5. Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione ai primi due motivi e, previo assorbimento del quarto motivo, la causa va rimessa al giudice del rinvio per la valutazione degli elementi di prova addotti dalle parti al fine di ritenere provata la consapevolezza della società contribuente della frode IVA consumata a monte. Al giudice del rinvio è rimessa anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo; rigetta il terzo motivo e dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, in data 24 aprile 2024