Giu L'inammissibilità del ricorso per cassazione per avere il difensore agito senza valida procura comporta che lo stesso difensore sia parte nel processo in ordine alla questione d'inammissibilità del ricorso per difetto della procura speciale
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE - ORDINANZA 16 maggio 2014 N. 13728
Massima
L'inammissibilità del ricorso per cassazione per avere il difensore agito senza valida procura comporta che, non riverberando l'attività dello stesso alcun effetto sulla parte, lo stesso difensore sia parte nel processo in ordine alla questione d'inammissibilità del ricorso per difetto della procura speciale a ricorrere per cassazione. 

Casus Decisus
1. Il Tribunale di Avezzano con la sentenza n. 956 del 15 dicembre 2015, decidendo sulla domanda di scioglimento della comunione ereditaria proposta da L. Lucia per la divisione degli immobili caduti nella successione di M. Pasquale e S. Filippa, risolte alcune questioni di carattere preliminare relative all’individuazione dei coeredi nonché dei beni da dividere, in adesione al progetto di divisione predisposto dal CTU, assegnava agli eredi L.Graziana, L.Marina, L.Filippa, L.Maria Antonietta (titolari della quota di 4/5) alcuni degli immobili caduti in comunione, attribuendo a L. Tina, L. Tito e L. Lucia (titolari della quota di 1/5) il fabbricato sito in C. alla via Capo del C. n. 23, foglio 13, part. 1522, sub 1. Avverso tale sentenza proponeva appello L.Marina cui aderivano L.Filippa, L.Grazia e L.Maria Antonietta, che proponevano a loro volta appello incidentale. Resistevano gli appellati L.. La Corte d’Appello di L’Aquila con la sentenza n. 576 del 16 aprile 2020 rigettava gli appelli principale ed incidentale, condannando gli appellanti al rimborso delle spese del grado in favore degli appellati. Quanto al motivo di appello che investiva la formazione delle quote con il quale si contestava l’attribuzione agli appellati del bene sopra richiamato, la sentenza disattendeva la censura secondo cui il bene stesso dovesse essere assegnato agli appellanti in quanto titolari della maggiore quota, avendone fatto anche richiesta. In realtà, poiché la comunione riguardava tutti i beni, gli appellanti erano effettivamente titolari della quota di 4/5 su tutti i beni comuni, ma essendo necessario sciogliere la comunione è ben possibile che un singolo bene, tra quelli comuni, possa essere assegnato al comunista avente diritto alla minor quota ideale, ove tale assegnazione assicuri una migliore distribuzione dei beni. La soluzione del CTU cui aveva aderito il Tribunale assicurava delle quote di valore sostanzialmente corrispondenti al valore delle quote ideali, e ciò anche in ragione delle precarie condizioni di manutenzione in cui versa il fabbricato nel quale è ubicato il bene assegnato alle convenute. Trattasi di fabbricato che gode di un autonomo acceso rispetto a quello relativo agli altri beni, sempre ivi ubicati, attribuiti agli appellanti, essendo altresì venuta meno la scala di collegamento che inizialmente metteva in comunicazione le due unità immobiliari; inoltre, proprio le attuali condizioni manutentive denotano la necessità di profondi interventi di recupero edilizio. Per l’effetto andava confermata la soluzione divisionale adottata dal giudice di primo grado. Era poi privo di fondamento il motivo di appello relativo alla condanna degli appellanti al rimborso delle spese di lite, essendo emerso che, se alcune delle deduzioni dagli stessi mosse erano state accolte, era altrettanto vero che molte altre erano state rigettate e che la condotta degli stessi consentiva di affermare la loro sostanziale soccombenza. Era poi disatteso il terzo motivo di appello che lamentava la presenza della clausola di provvisoria esecuzione della sentenza che non poteva che riguardare i capi di condanna e non anche le statuizioni di carattere solo dichiarativo o costitutivo. 2. Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso L.Graziana, L.Filippa e L.Maria Antonietta, nonché A. Francesca, quale erede di L.Marina. L. Lucia resiste con controricorso. Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase. Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE - ORDINANZA 16 maggio 2014 N. 13728 Manna Felice

3. Preliminarmente deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto da L.Graziana, L.Filippa e L.Maria Antonietta in quanto proposto senza il rilascio della procura speciale ex art. 365 c.p.c. Infatti, come si rileva dall’intestazione del ricorso stesso, il difensore delle stesse riferisce di avere proposto ricorso per conto delle L.giusta procura a margine della memoria di costituzione del 12/4/2012 e del 3/11/2011, e quindi sulla base di una procura rilasciata per il giudizio di merito e sicuramente in data anteriore alla pubblicazione della sentenza impugnata. In tal senso va richiamata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui (cfr. da ultimo Cass. n. 13263/2020) è inammissibile, per difetto della prescritta procura speciale, il ricorso proposto sulla base della procura rilasciata dal ricorrente al proprio difensore nell'atto d'appello, essendo quest'ultima inidonea allo scopo perché conferita con atto separato in data anteriore alla sentenza da impugnare in sede di legittimità e, pertanto, in contrasto con l'obbligo di rilasciare la procura successivamente alla pubblicazione del provvedimento impugnato e con specifico riferimento al giudizio di legittimità (conf. ex multis Cass. n. 7181/2003; Cass. n. 938/2023). Risulta invece conferita una valida procura speciale da parte dell’altra ricorrente, il che impone di dover quindi esaminare i motivi dalla medesima proposti.

4. Il primo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto il giudice di appello ha omesso di considerare le eccezioni sollevate non solo con riferimento alla valutazione dei beni ma anche ai criteri adottati dal CTU, sull’erroneo presupposto che le ricorrenti non avessero mosso alcuna contestazione. Il motivo è inammissibile, in quanto oltre a non individuare con precisione il fatto storico di cui sarebbe stata omessa la disamina, costituendo invece l’occasione per riproporre in sede di legittimità le critiche di carattere tecnico mosse all’operato del CTU, e che la sentenza impugnata, sia pure con motivazione sintetica quanto alla stima dei beni, ha ritenuto di superare, esponendo le ragioni in base alle quali si condivideva la soluzione dell’ausiliario d’ufficio, la sua proposizione è preclusa dal dettato dell’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., applicabile alla fattispecie ratione temporis, avendo la Corte deciso la controversia in maniera conforme a quella di primo grado sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto poste a base della decisione appellata.

5. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 720 c.c., in quanto non ha tenuto conto dell’orientamento del giudice di legittimità che ha ribadito che il bene non comodamente divisibile può anche essere assegnato congiuntamente a più coeredi che chiedano di restare in comunione. Il motivo è inammissibile in quanto non si confronta adeguatamente con la ratio a fondamento della decisione gravata. La sentenza impugnata, in conformità di quanto statuito dal Tribunale, lungi dal considerare i beni in comune come non comodamente divisibili, ha chiaramente ritenuto che, anche in ragione dell’opportunità di procedere alla divisione per stirpi, fossero invece suscettibili di divisione in natura, non già con il loro frazionamento individuale, ma con la formazione di due singole quote ognuna delle quali contenente immobili assegnati in proprietà individuale.

Manca quindi il presupposto sul quale si fonda la norma della quale viene denunciata la violazione, e cioè la non comoda divisibilità del bene. Inoltre, deve ricordarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 6134/2010), rientra nei poteri del giudice di merito, ed è perciò incensurabile in cassazione, accertare se, nell'ipotesi in cui nel patrimonio comune vi siano più immobili da dividere, il diritto del condividente sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole entità immobiliari oppure attraverso l'assegnazione di interi immobili ad ogni condividente, salvo il conguaglio in favore degli altri (in termini sostanzialmente conformi, Cass. n. 17862/2020, secondo cui nella divisione ereditaria non si richiede necessariamente, in sede di formazione delle porzioni, una assoluta omogeneità delle stesse, ben potendo, nell'ambito di ciascuna categoria di beni immobili, mobili e crediti da dividere, taluni di essi essere assegnati per l'intero ad una quota ed altri, sempre per l'intero, ad altra quota, salvi i necessari conguagli, giacché il diritto dei condividenti ad una porzione in natura di ciascuna delle categorie di beni in comunione non consiste nella realizzazione di un frazionamento quotistico delle singole entità appartenenti alla stessa categoria, ma nella proporzionale divisione dei beni compresi nelle tre categorie degli immobili, mobili e crediti, dovendo evitarsi un eccessivo frazionamento dei cespiti in comunione che comporti pregiudizi al diritto preminente dei coeredi e dei condividenti in genere di ottenere in sede di divisione una porzione di valore proporzionalmente corrispondente a quello della massa ereditaria, o comunque del complesso da dividere.

Pertanto, nell'ipotesi in cui nel patrimonio comune vi siano più immobili da dividere, il giudice del merito deve accertare se l'anzidetto diritto del condividente sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole entità immobiliari oppure attraverso l'assegnazione di interi immobili ad ogni condividente, salvo conguaglio; Cass. n. 8286/2019 che chiarisce che, laddove i singoli beni comuni, da soli o con altri beni, consentano di comporre la quota di alcuno dei condividenti in maniera che le altre possano formarsi con i restanti immobili, non si pone una questione di indivisibilità o non comoda divisibilità, essendo comunque ottenuta la ripartizione quantitativa e qualitativa dei vari cespiti compresi nella comunione nel rispetto del valore di ciascuna quota).

La sentenza gravata ha fornito adeguata motivazione circa le ragioni in base alle quali il progetto di divisione soddisfaceva il criterio legale per addivenire ad una divisione in natura, con la conseguenza che non vertendosi in un’ipotesi di non comoda divisibilità, risulta del tutto privo di pertinenza il richiamo alla violazione dell’art. 720 c.c.

6. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c. quanto al difetto di motivazione, sul presupposto che la decisione della Corte distrettuale avrebbe una motivazione del tutto apparente.

Il motivo va dichiarato inammissibile.

Infatti, preme rilevare che, proprio a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., ed al fine di chiarire la corretta esegesi della novella, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte che con la sentenza del 7 aprile 2014 n. 8053, hanno ribadito che la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione, ed è solo in tali ristretti limiti che può essere denunziata la violazione di legge, sotto il profilo della violazione dell’art. 132, co. 2 n. 4.

Nella fattispecie, atteso il tenore della sentenza impugnata, deve escludersi che ricorra un’ipotesi di anomalia motivazionale riconducibile ad una delle fattispecie che, come sopra esposto, in base alla novella consentono alla Corte di sindacare la motivazione, dato adeguata, avendo il Giudice di appello al punto 14 della sentenza espresso, con ragionamento che risulta ampiamente soddisfacente il requisito del cd. minimo costituzionale della motivazione, le ragioni per le quali risultava condivisibile il progetto predisposto dall’ausiliario di Ufficio, essedo quindi la divisione idonea ad assicurare, nel rispetto della diversa entità quantitativa delle quote dei condividenti, la formazione di quote omogenee qualitativamente e senza la necessità di dover ricorrere a conguagli onerosi.

7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna in solido al rimborso delle spese di lite in favore della controricorrente, oltre che della ricorrente A. Francesca, anche dell’avv. Guido P. in proprio, il tutto come liquidate in dispositivo. Infatti, rileva a tal fine il principio espresso da questa Corte che, in attuazione dei principi a sua volta affermati da Cass. S.U. n. 10706/2006, ha precisato che (Cass. n. 25435/2019; Cass. n. 32008/2019) l'inammissibilità del ricorso per cassazione per avere il difensore agito senza valida procura comporta che, non riverberando l'attività dello stesso alcun effetto sulla parte, lo stesso difensore sia parte nel processo in ordine alla questione d'inammissibilità del ricorso per difetto della procura speciale a ricorrere per cassazione. Pertanto, nel caso in cui la Suprema Corte non ritenga che sussistano giusti motivi di compensazione, la condanna alle spese va pronunciata a carico del difensore stesso, quale controparte del controricorrente nel giudizio di legittimità (conf. Cass. n. 14281/2006). Nulla a provvedere quanto alle parti rimaste intimate.

8. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P. Q. M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da L.Graziana, L.Filippa e L.Maria Antonietta, rigetta il ricorso proposto da A. Francesca, e condanna l’avv. Guido P. e A. Francesca, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi € 5.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge, se dovuti;

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso nella camera di consiglio del 07 maggio 2024