Giu Il giudizio di rinvio non è configurabile quale continuazione di quello in esito al quale è stata emessa la decisione impugnata, ma come una nuova, autonoma fase del giudizio, con conseguente necessità di una nuova costituzione delle parti
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - SENTENZA 02 maggio 2024 N. 11866
Massima
Il giudizio di rinvio non è configurabile quale continuazione di quello in esito al quale è stata emessa la decisione impugnata, ma come una nuova, autonoma fase del giudizio, con conseguente necessità di una nuova costituzione delle parti, con l'osservanza delle norme relative a tale atto nonché declaratoria di contumacia ove una delle parti non si costituisca in questa fase pur a fronte della regolare costituzione nelle precedenti fasi del giudizio (Cass. n. 15489 del 2000)

Casus Decisus
1. con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Campobasso - in sede di riassunzione a seguito della sentenza n.28368 del 2017 delle Sezioni Unite di questa Corte intervenuta in ordine al riparto di giurisdizione per la domanda di riconoscimento di mansioni superiori alla luce del criterio dettato dall’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 - ha accolto il gravame di ANAS s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale della stessa sede aveva accolto la domanda di Vincenzo P. diretta a ottenere il pagamento delle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori di Quadro sino all’1.7.1999 (data del formale inquadramento) e il risarcimento del danno da demansionamento, nonché, in subordine, un’indennità per ingiustificato arricchimento; 2. in particolare, la Corte territoriale – delineando il periodo oggetto di pretesa retributiva, a fronte della rilevata prescrizione del credito per il periodo precedente il 22.6.1997 (considerato quale primo valido atto di interruzione della prescrizione il processo verbale redatto avanti la Commissione provinciale di conciliazione il 22.10.2002) - ha rilevato che gli elementi istruttori raccolti non avevano evidenziato lo svolgimento di mansioni superiori di Area Quadri di cui al CCNL applicato in azienda, posto che, a fronte dell’accertato disimpegno di attività di direzione e coordinamento degli addetti all’ufficio Ragioneria di Campobasso (nonchè di firma dei mandati di pagamento e di contatti con organismi esterni), era emerso che lo stesso si coordinava con il Capo compartimento, che i mandati di pagamento erano sottoscritti anche dal dirigente (amministrativo o tecnico), che non aveva mai svolto compiti tipici dell’Area Quadri così come indicati dall’art. 67 del CCNL 1994-1997 e art. 69 del CCNL 1998-2001, che non aveva autonomia decisionale quanto agli impegni di spesa, non predisponeva direttamente né istruiva atti o procedure di significativa complessità, dirigeva una struttura di piccole dimensioni; aggiunto che dal luglio 1999 gli era stata riconosciuta la posizione organizzativa ed economica A1 dell’Area Quadri (sulla base di una predefinita tabella di corrispondenza) e che non risultava che lo stesso avesse mai sostituito, con assunzione di responsabilità, il dirigente in caso di assenza o impedimento temporaneo, respingeva la domanda di condanna al pagamento di differenze retributive per svolgimento di mansioni superiori; del pari, respingeva la domanda di risarcimento del danno per dequalificazione professionale (posto che non risultavano svolte mansioni superiori rispetto al formale inquadramento e che non era stato provato che il notevole carico di lavoro svolto avesse cagionato un danno alla professionalità né mortificazioni) nonché quella di ingiustificato arricchimento; 3. nei confronti di detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore con cinque motivi. La società intimata non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all'udienza di discussione ai sensi dell'art. 370 primo comma ultimo alinea cod. proc. civ., cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - SENTENZA 02 maggio 2024 N. 11866 DORONZO ADRIANA

1. con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 della legge n. 190 del 1985 nonché 68 e 69 del CCNL 1994-1997 (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.), avendo, la Corte territoriale, erroneamente applicato i suddetti precetti a fronte della dimostrazione dello svolgimento, continuativo per quasi 30 anni e con responsabilità sempre maggiori, mansioni di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa (come riconosciuti ampiamente dalla relazione del Primo dirigente amministrativo, Caiati);

2. con il secondo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo (ex art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ.) e, nella specie, della documentazione allegata al ricorso (in specie, la relazione del Primo dirigente amministrativo Caiati), che dimostrava la tipologia di attività realmente svolta dal P.; la Corte non ha, poi, riconosciuto lo svolgimento di mansioni superiori nonostante abbia affermato che il lavoratore aveva svolto, successivamente all’entrata in vigore della legge n. 86 del 1986 (che ha disposto il decentramento ai Compartimenti di territorio di attività già facenti capo alla Direzione generale), compiti di competenza del Primo dirigente tecnico, del Primo dirigente amministrativo e dell’Ingegnere capo della Sezione tecnica compartimentale;

3. con il terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 2935 cod.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, errato nel ritenere prive di efficacia interruttiva della prescrizione le missive inviate all’azienda nel novembre 1999 e 200 e nell’ottobre 2001, e dovendo individuare solamente nel luglio 1999 (data di formale inquadramento nell’Area Quadri) il dies a quo della decorrenza della prescrizione, considerato che la giurisprudenza del Consiglio di Stato individua tale momento nel primo ordine di servizio di assegnazione di mansioni superiori (da individuarsi, per l’appunto, nel caso di specie, nell’inquadramento formale del luglio 1999);

4. con il quarto motivo si denunzia falsa applicazione dell’art. 2938 cod.civ. avendo, la Corte territoriale, accolto l’eccezione di prescrizione sollevata in primo grado da ANAS che, peraltro, era rimasta contumace nel giudizio di riassunzione;

5. con il quinto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 32 Cost., 2059, 2087 cod.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, trascurato la relazione del Primo dirigente amministrativo, Caiati, che ha delineato le mansioni (superiori) svolte dal lavoratore, sottolineando la gravosità dei compiti allo stesso affidati;

6. il primo, il secondo ed il quinto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono inammissibili;

7. entrambi i motivi appaiono inammissibili in quanto si sostanziano, anche laddove denunciano la violazione di norme di diritto, in un vizio di motivazione formulato in modo non coerente allo schema legale del nuovo art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, a norma del quale è denunciabile in Cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. S.U. n. 8053 del 2014), profili non denunciati né ricorrenti in questa sede;

8. come più volte precisato da questa Corte, il vizio di violazione di legge coincide con l'errore interpretativo, cioè con l'erronea individuazione della norma regolatrice della fattispecie o con la comprensione errata della sua portata precettiva; la falsa applicazione di norme di diritto ricorre quando la disposizione normativa, interpretata correttamente, sia applicata ad una fattispecie concreta in essa erroneamente sussunta; al contrario, l'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l'aspetto del vizio di motivazione (cfr. Cass. n. 26272 del 2017; Cass. n. 9217 del 2016; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; n. 26307 del 2014): solo quest'ultima censura è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa;

9. nel caso di specie, le censure investono tutte la valutazione delle prove come operata dalla Corte di merito, e si sostanziano, attraverso il richiamo al contenuto dei documenti prodotti, in una richiesta di rivisitazione del materiale istruttorio (quanto allo svolgimento delle mansioni superiori) non consentita in questa sede di legittimità, a maggior ragione in virtù del nuovo testo dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ.;

10. il terzo motivo di ricorso è inammissibile;

11. questa Corte ha più volte rilevato profili di inammissibilità delle censure proposte in quanto, “al fine di produrre effetti interruttivi della prescrizione, un atto deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l'esplicitazione di una pretesa e l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di fare valere il proprio diritto, con l'effetto sostanziale di costituire in mora il soggetto indicato (elemento oggettivo). La valutazione circa la ricorrenza di tali presupposti - il secondo dei quali, pur richiedendo la forma scritta, non postula l'uso di formule solenni, né l'osservanza di particolari adempimenti - è rimesso all'accertamento di fatto del giudice di merito ed è, pertanto, del tutto sottratto al sindacato di legittimità” (cfr. da ultimo Cass.15140 del 2021; nello stesso senso, Cass. n. 15714 del 2018, nonché le statuizioni più datate citate dalla sentenza impugnata);

12. ininfluente risulta, altresì, il richiamo della giurisprudenza elaborata dal Consiglio di Stato, orientamento che attiene al rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, che ritiene irrilevante, giuridicamente ed economicamente, lo svolgimento di fatto di mansioni superiori nel pubblico impiego, governato dai principi costituzionali di buon andamento e di efficienza dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost. In particolare, nel pubblico impiego lo svolgimento di mansioni superiori, cui è correlato il corrispondente riconoscimento economico, necessita che l'atto formale di attribuzione dell'incarico non risulti adottato contra legem e provenga dall'organo titolare del relativo potere, rispetto ad un posto vacante di organico, con conseguente copertura finanziaria dei relativi oneri (Cons. Stato n. 2539 del 2016, Cons. Stato n. 449 del 2017, Cons. Stato, Ad.Plen., n. 18 del 1999); il ricorrente richiama detto orientamento della giurisprudenza amministrativa senza dedurre la eventuale correlazione del dies a quo della prescrizione dei crediti di lavoro con la natura pubblica o privata dell’ente (trasformato dapprima in ente pubblico economico, con il d.lgs. n. 143 del 1994, e, poi, in società per azioni, con l’art. 7 del d.l. n. 138 del 2002, convertito nella legge n. 178 del 2002), a fronte della chiara argomentazione della sentenza impugnata che ha ricollegato alla stabilità del rapporto di lavoro e alla natura di ente pubblico il decorso della prescrizione in costanza di rapporto e con riguardo allo svolgimento di fatto del (preteso) livello superiore della prestazione;

13. il quarto motivo di ricorso non è fondato;

14. questa Corte ha più volte rilevato che il giudizio di rinvio non è configurabile quale continuazione di quello in esito al quale è stata emessa la decisione impugnata, ma come una nuova, autonoma fase del giudizio, con conseguente necessità di una nuova costituzione delle parti, con l'osservanza delle norme relative a tale atto nonché declaratoria di contumacia ove una delle parti non si costituisca in questa fase pur a fronte della regolare costituzione nelle precedenti fasi del giudizio (Cass. n. 15489 del 2000); tuttavia, visto l'art. 394, secondo comma, cod.proc.civ., le domande ed eccezioni già proposte restano efficaci e attive, anche se proposte dal contumace in precedenza. “Invero gli effetti della contumacia dichiarata nel giudizio di rinvio trovano un limite espresso costituito dalla previsione dell'art. 394, secondo comma, cod.proc.civ., che stabilisce, proprio per il giudizio di rinvio, che le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui fu pronunciata la sentenza cassata, e cioè nel primo giudizio di appello. In particolare in caso di cassazione con rinvio, il giudice di merito, se è tenuto a uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte per le questioni già decise, per gli altri aspetti della controversia rimasti impregiudicati o non definiti nelle precorse fasi del giudizio deve esaminare ex novo il fatto della lite e pronunciarsi su tutte le eccezioni sollevate e pretermesse nei precedenti stati processuali, indipendentemente dalla relativa riproposizione, senza che rilevi l'eventuale contumacia della parte interessata, che non può implicare rinuncia o abbandono delle richieste già specificamente rassegnate o acquisite al giudizio. Deriva da quanto precede, pertanto, che dalla contumacia della parte nel giudizio di rinvio non può derivare la rinuncia alle domande e alle eccezioni riproposte nel grado di appello e, pertanto, non sussiste alcuna preclusione da giudicato interno” (Cass. n. 28935 del 2022, in motivazione);

15. in sintesi, in caso di cassazione con rinvio, il giudice di merito, se è tenuto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte per le questioni già risolute, per gli aspetti della controversia rimasti impregiudicati o non definiti nelle precorse fasi del giudizio deve esaminare "ex novo" il fatto della lite e pronunciarsi su tutte le eccezioni sollevate e pretermesse nei precedenti stati processuali, senza che rilevi l'eventuale contumacia della parte interessata, che non può implicare rinuncia ad abbandono delle richieste già specificamente rassegnate od acquisite al giudizio (Cass. n. 24336 del 2015); eventualità ricorrente nel caso di specie, ove la società – come lo stesso ricorrente ha rilevato - ha tempestivamente e ritualmente sollevato l’eccezione di prescrizione del credito retributivo preteso;

16. in conclusione, il ricorso va rigettato; nulla sulle spese di lite, non avendo l'intimato svolto attività difensive;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese del presente giudizio di cassazione. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso nella camera di consiglio del 5 marzo 2024.