1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018 (conv. in l. n. 136 del 2018), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; nullità dell’accertamento e assenza di definitività dello stesso, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. ed in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.”, il contribuente impugna la sentenza d’appello per aver rigettato l’impugnazione avverso il diniego di definizione agevolata della lite ex art. 6 del d.l. n. 119 del 2018. In particolare, il contribuente deduce che la lite oggetto del presente giudizio è definibile in quanto, anche se formalmente involge un atto riscossivo (intimazione di pagamento), quest’ultimo è il primo atto ricevuto dal contribuente, in quanto il presupposto avviso di accertamento non era stato mai notificato al V. quale soggetto di diritto, essendo esso comunque affetto da nullità, poiché era stato notificato ad un’associazione estinta da tempo.
2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Inesistenza di un autonomo atto notificato al contribuente in proprio, nullitàdell’accertamento notificato all’associazione e assenza di definitività dello stesso, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. ed in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.”, il contribuente deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dalla C.T.R., non vi è un avviso di accertamento che sia stato notificato in proprio al V. e che costui avrebbe dovuto impugnare e, inoltre, l’avviso di accertamento notificato all’associazione sarebbe “inesistente” in quanto sarebbe stato notificato ad essa quando questa era estinta da tempo.
3. I primi due motivi, che per la loro stretta connessione possono essere esaminati e decisi congiuntamente, sono inammissibili.
3.1. La sentenza impugnata, in esito ad un accertamento insindacabile in questa sede e comunque non sindacato in relazione a norme che disciplinano le notificazioni e l’interpretazione degli atti giuridici, ha stabilito che l’avviso di accertamento presupposto della intimazione di pagamento era stato notificato anche ad Edgardo V. “personalmente” quale “autore della violazione”. Ne consegue che, non avendo il V. impugnato personalmente l’avviso di accertamento anche a lui, in proprio, notificato, l’intimazione di pagamento ricevuta rappresenta un atto puramente riscossivo, con la conseguenza che correttamente la C.T.R. ne ha ritenuto la non definibilità ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018 e che tale atto riscossivo può essere impugnato solo per vizi propri, ai sensi dell’art. 19, comma 3, secondo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992.
4. Con il terzo motivo di ricorso, rubricato “Nullità del titolo esecutivo basato sulla definitività di una sentenza emessa a seguito di un procedimento inammissibile ai sensi dell’art. 382, comma 3, c.p.c., secondo periodo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.”, il contribuente contesta la posizione dell’Agenzia delle Entrate che, nell’ambito del giudizio di merito, ha assunto a fondamento dell’intimazione di pagamento a lui notificata la sentenza emessa dalla C.T.P. di Bologna n. 354/09/15, divenuta definitiva il 20/10/2015. Sostiene, in sostanza, che tale sentenza sia radicalmente nulla (tamquam non esset) e che abbia errato la C.T.R. nell’affermare che essa, dichiarativa della inammissibilità per tardività del ricorso, sia divenuta definitiva per mancata impugnazione.
4.1. Il motivo è inammissibile per carenza di interesse.
Il precipitato del ragionamento del contribuente è che, una volta che l’associazione non riconosciuta si sia estinta quale soggetto di diritto, essa non possa essere più evocata in giudizio, perdendo la legitimatio ad causam. Ma anche se si assumono per corrette le premesse e le conseguenze del ragionamento del contribuente, resta comunque il fatto che il V. ha ricevuto la notifica anche quale “autore della violazione” dell’avviso di accertamento, presupposto dell’intimazione di pagamento impugnata, con la conseguenza che quest’atto, quale atto della riscossione, non potrebbe comunque essere oggetto della definizione agevolata richiesta in pendenza di giudizio di appello dal contribuente e che, comunque, esso potrebbe essere impugnato solo per vizi propri.
5. Con il quarto motivo di ricorso, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. ed in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.”, il contribuente censura la sentenza d’appello perché sarebbe stata pronunciata in assenza dell’assolvimento, da parte dell’Agenzia delle Entrate, dell’onere di provare la responsabilità del V., ex art. 38 c.c., nella sua veste di legale rappresentante dell’associazione sportiva. In particolare, il V. si sarebbe limitato a ricoprire la carica di Presidente onorario dell’associazione, senza mai contrarre obbligazioni in nome e per conto dell’associazione.
5.1. Il motivo è inammissibile.
Una volta che si è stabilito, da parte della sentenza d’appello, che l’avviso di accertamento, quale atto impositivo, era stato notificato anche al contribuente in proprio quale autore della violazione, al V. è preclusa la possibilità di far valere in questa sede doglianze che avrebbe dovuto far valere contro l’avviso di accertamento, visto che, non avendo impugnato quest’ultimo, avrebbe potuto impugnare l’intimazione di pagamento solo per vizi propri. In ogni caso, il motivo sarebbe comunque infondato alla luce dell’orientamento di questa Corte secondo il quale “nelle associazioni non riconosciute, mentre per i debiti sorti su base negoziale non rileva la posizione astrattamente rivestita dal soggetto nella compagine dell'ente, rispondendo la responsabilità personale e solidale di coloro che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, di cui all'art. 38 c.c., all'esigenza di garantire i creditori in assenza di forma di pubblicità legale del patrimonio dell'ente, per i debiti d'imposta, sorti "ex lege", risponde solidalmente delle sanzioni e del tributo non corrisposto, nel solo periodo di relativa investitura, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia effettivamente diretto la gestione complessiva dell'ente” (Cass., sez. 6 - 5, Ordinanza n. 4747 del 24/02/2020; Cass., sez. 5 - , Sentenza n. 25650 del 15/10/2018).
Orbene, il V. si limita ad affermare di essersi limitato a ricoprire la causa di Presidente onorario, ma dalla sentenza impugnata risulta che egli, nel periodo in questione, era il legale rappresentante dell’associazione non riconosciuta, sicché deve presumersi in capo a lui il ruolo di direzione della gestione complessiva dell’ente rappresentato, vieppiù in un caso, come quello di specie, in cui il contribuente non ha indicato quale soggetto concretamente si occupasse, nel periodo di riferimento, di tale gestione.
6. In conclusione, il ricorso è inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna Edgardo V. al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio, che si liquidano in euro tremilacinquecento, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, il 17 aprile 2024.