Giu Per il rispetto del termine di decadenza cui è assoggettato il potere impositivo, assume rilevanza la data nella quale l'ente ha posto in essere gli elementi necessari ai fini della notifica dell'atto e non quella di conoscenza dal contribuente
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 02 maggio 2024 N. 11871
Massima
In materia di notificazione degli atti di imposizione tributaria e degli effetti di questa sull'osservanza dei termini, previsti dalle singole leggi d'imposta, di decadenza dal potere impositivo, il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione, sancito per gli atti processuali dalla giurisprudenza costituzionale, e per gli atti tributari dall'art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, trova sempre applicazione, a ciò non ostando né la peculiare natura recettizia di tali atti, né la qualità del soggetto deputato alla loro notificazione. Ne consegue che, per il rispetto del termine di decadenza cui è assoggettato il potere impositivo, assume rilevanza la data nella quale l'ente ha posto in essere gli elementi necessari ai fini della notifica dell'atto e non quella, eventualmente successiva, di conoscenza dello stesso da parte del contribuente (Cass. sez. un. n. 40543 del 2021).

Casus Decisus
1. Guido S. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe della Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Campania che, decidendo sul gravame tanto del contribuente quanto dell’Agenzia delle entrate contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Caserta che aveva accolto parzialmente il ricorso del contribuente contro l’avviso di accertamento per il 2007 recante maggiori IRPEF, IVA e IRAP sulla base di accertamenti bancari, aveva così provveduto: in accoglimento dell’appello erariale, aveva accertato maggiori ricavi per euro 125.274,00 e, in accoglimento dell’appello del contribuente, aveva sottratto dal computo complessivo delle entrate non giustificate la somma di euro 56.996,69. 2. Il ricorso per cassazione si fonda su un unico motivo, articolato in tre distinte ragioni di doglianza. 3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 02 maggio 2024 N. 11871 Virgilio Biagio

1. Il contribuente deduce violazione dell’art. 360 comma 1 nn. 3 e 4 in quanto la sentenza 1) aveva omesso la valutazione della decadenza dell’Ufficio dall’accertamento notificato dopo lo spirare del termine decadenziale del 31.12.2012, 2) aveva omesso di considerare che il reddito dichiarato era adeguato agli studi di settore per l’anno 2007, 3) aveva omesso e/o reso una insufficiente verifica degli accrediti bancari.

2. Il ricorso presenta evidenti profili di inammissibilità: non solo, come eccepito da controparte, è omessa l’indicazione delle norme violate ma non è riportata neppure una chiara ed esaustiva esposizione dei fatti di causa, come previsto dall’art. 366 comma 1 n. 3 c.p.c. (cfr. Cass. n. 1352 del 2024; Cass. n. 30720 del 2022), e le stesse doglianze sono estremamente generiche e prive di puntuali riferimenti agli atti, cosicché risulta pregiudicata la comprensione della questione controversa e dei profili di censura formulati. Si deve rammentare, in proposito, che «In tema di ricorso per cassazione, l'onere di specificità dei motivi, sancito dall'art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d'inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare - con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni - la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa» (Cass. sez. un. n. 23745 del 2020).

3. Quanto alla doglianza sub 1), si comprende che il ricorrente deduce la decadenza dell’Ufficio dal potere impositivo, perché la notifica dell’avviso di accertamento è avvenuta il 3.1.2013, oltre il termine del 31.12.2012; peraltro, come osservato dalla controricorrente, l’atto è stato spedito il 28.12.2012; quindi, per il principio di scissione degli effetti della notifica tra notificante e destinatario, si è evitata la decadenza. La questione è, comunque, infondata. Invero, in materia di notificazione degli atti di imposizione tributaria e degli effetti di questa sull'osservanza dei termini, previsti dalle singole leggi d'imposta, di decadenza dal potere impositivo, il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione, sancito per gli atti processuali dalla giurisprudenza costituzionale, e per gli atti tributari dall'art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, trova sempre applicazione, a ciò non ostando né la peculiare natura recettizia di tali atti, né la qualità del soggetto deputato alla loro notificazione. Ne consegue che, per il rispetto del termine di decadenza cui è assoggettato il potere impositivo, assume rilevanza la data nella quale l'ente ha posto in essere gli elementi necessari ai fini della notifica dell'atto e non quella, eventualmente successiva, di conoscenza dello stesso da parte del contribuente (Cass. sez. un. n. 40543 del 2021).

4. Del tutto generica è la questione sub 2), perché si allega che il S. era contribuente «congruo e coerente per l’anno 2007» e, quindi, «meritevole di effetto premiante» che spetta ai contribuenti “virtuosi” che «presentano dichiarazioni dei redditi congrue e coerenti ex art. 10 D.L. 201/2011», ma non si spiega l’incidenza di questa disposizione sull’atto impugnato.

5. Anche la censura sub 3) è carente di specificità: si deduce soltanto che la somma di euro 101.324,00 era confluita nel conto «in presenza di assegni bancari tracciati» senza offrire ulteriori elementi esplicativi, sebbene, in tema di accertamenti bancari, il contribuente sia gravato di un onere di prova assai rigoroso, dovendosi superare la presunzione posta dall'art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, dimostrando in modo analitico l'estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili (Cass. n. 2924 del 2024; Cass. n. 35258 del 2021; Cass. n. 11696 del 2021).

6. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.

p.q.m.

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.400,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24/01/2024.