Giu Mentre l'operazione bancaria di prelevamento conserva validità presuntiva nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, le operazioni bancarie di versamento hanno efficacia presuntiva nei confronti di tutti i contribuenti
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 02 maggio 2024 N. 11874
Massima
Mentre l'operazione bancaria di prelevamento conserva validità presuntiva nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, le operazioni bancarie di versamento hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l'efficacia adempiendo l'onere di dimostrare che «ne hanno tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine» (così, sostanzialmente, Cass. n. 1519 del 20/01/2017; conf. Cass. n. 29572 del 16/11/2018; nel senso indicato si veda anche Cass. n. 22931 del 26/09/2018, nonché la giurisprudenza ivi richiamata).

Casus Decisus
Il contribuente, ragioniere commercialista, era oggetto di indagini finanziarie ex art. 32 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 svolte su alcuni conti correnti intestati al contribuente, ad una associazione sportiva e ad alcune società da lui amministrate. Ritenendo le giustificazioni addotte non sufficienti, l’Ufficio emetteva un avviso di accertamento ex art. 39 d.P.R. n. 600/1973 ai fini Irpef, IVA e Irap per l’anno d’imposta 2007, ivi considerando produttive di reddito imponibile tutte le operazioni di prelievo e versamento compiute. Nello stesso periodo il contribuente era imputato in un procedimento penale che lo vedeva condannato per alcuni capi d’imputazione ascrittigli, salva l’assoluzione piena per alcuni capi e la dichiarazione di non doversi procedere per intervenuta prescrizione per altri. Ad ogni buon conto, il contribuente adiva il giudice di prossimità con ricorso che veniva parzialmente accolto dalla CTP previa riduzione del maggior reddito accertato in relazione alle operazioni riconducibili alle società amministratore dal contribuente. Avverso detta sentenza proponevano appello tanto il contribuente quanto l’Ufficio. La C.T.R., in parziale riforma della sentenza di primo grado, rideterminava quale imponibile assoggettabile ad imposte le sole operazioni di accreditamento, escludendo sia quelle di prelevamento, a mente della decisione n. 228/2014 della Consulta, sia quelle aventi ad oggetto conti di soggetti terzi perché non riferibili al contribuente, demandando poi all’Ufficio le determinazioni conseguenti. Il contribuente ricorreva per la cassazione della sentenza avanti a questa Corte con ricorso che veniva accolto, nei limiti di cui in motivazione e giusta ordinanza n. 1012/2017, per aver la CTR omesso di valutare le ragioni addotte dal ricorrente e per illegittimo rinvio all’Ufficio per la rideterminazione del reddito. Riassunto il giudizio, previo esame delle operazioni ammissibili, la C.T.R. rideterminava il reddito per l’anno 2007 in euro 470.812,00, con conseguente maggior Irpef, IRAP e IVA oltre addizionali, interessi e sanzioni calcolati ex d.lgs. n. 158/2015. Invoca la cassazione della sentenza il contribuente che si affida a due motivi di ricorso, cui replica l’Avvocatura generale dello Stato con tempestivo controricorso.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 02 maggio 2024 N. 11874 CRUCITTI ROBERTA

Vengono proposti due motivi di ricorso.

Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata da parte controricorrente relativa alla notifica del ricorso presso l’Agenzia delle Entrate, nella sua sede, anziché presso l’Avvocatura dello Stato. Invero, detta notifica è regolare non risultando che l’avvocatura erariale abbia difeso in appello l’Ufficio (cfr. Cass., V, n. 9793/2023). Con il primo motivo il contribuente svolge un’unica censura con cui lamenta errores in judicando per irrilevanza reddituale delle operazioni ex art. 32 d.P.R. n. 600/1973 ed irrilevanza ex art. 51 d.P.R. n. 633/1972 nonché violazione e falsa applicazione delle norme di diritto per errata valutazione delle esimenti ex art. 32 ed ex art. 51 citati. In sintesi, afferma che l’accertamento impugnato era scaturito da una verifica bancaria ex art. 32 d.P.R. n. 600/1973 mentre la ripresa a tassazione era stata calcolata dall’Ufficio a termini dell’art. 39 d.P.R. n. 600/1973 e, più specificatamente, nelle forme dell’accertamento analitico induttivo.

La C.T.R., avallando l’operato dell’Ufficio, sarebbe incorsa in un error in procedendo per aver richiesto la prova contraria analitica prevista dall’art. 39 citato senza dare rilevanza alle esimenti previste dagli art. 32 e 51 citati.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, non essendo stato riportato in atti, nemmeno per estratto, l’avviso di accertamento. È stato invero affermato che «in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall'art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento - il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell'atto stesso - è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo» (cfr. Cass. nn. 16147/2017, 2928/2015, 8312/2013)» (cfr. Cass., V, n. 3829/2023).

In ogni caso il motivo è infondato giacché «mentre l'operazione bancaria di prelevamento conserva validità presuntiva nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, le operazioni bancarie di versamento hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l'efficacia adempiendo l'onere di dimostrare che «ne hanno tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine» (così, sostanzialmente, Cass. n. 1519 del 20/01/2017; conf. Cass. n. 29572 del 16/11/2018; nel senso indicato si veda anche Cass. n. 22931 del 26/09/2018, nonché la giurisprudenza ivi richiamata).

2.1.3. Più nel dettaglio, il contribuente deve provare «che i versamenti sono registrati in contabilità e che il contribuente deve provare «che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili; pertanto, in virtù della disposta inversione dell'onere della prova, grava sul contribuente l'onere di superare la suddetta presunzione (relativa) dimostrando la sussistenza di specifici costi e oneri deducibili, che dev'essere fondata su concreti elementi di prova e non già su presunzioni o affermazioni di carattere generale o sul mero richiamo all'equità» (Cass. n. 15161 del 16/07/2020; Cass. n. 16896 del 24/07/2014; Cass. n. 13035 del 24/07/2012; Cass. n. 25365 del 05/12/2007; Cass. n. 18016 del 09/09/2005).

A fronte della presunzione legale prevista dagli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, la quale «non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall'art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici», la prova richiesta al contribuente è analitica, «con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l'obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l'efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze» (Cass. n. 13112 del 30/06/2020; Cass. n. 10480 del 03/05/2018; Cass. n. 11102 del 05/05/2017)» (Cfr. Cass., V, n. 7558/2024).

Il motivo va, pertanto, disatteso non avendo il ricorrente dimostrato di aver adempiuto, nei precedenti gradi di merito, all’onere probatorio che gli competeva.

Con il secondo motivo la parte ricorrente denunzia la nullità della sentenza per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio (errata o forviante allegazione della sentenza penale). In sintesi, critica l’allegazione della sentenza penale di primo grado da parte della CTR perché in contrasto con il principio di autonomia tra il processo penale e quello tributario. Sottolinea, peraltro, come detta sentenza sia stata oggetto di impugnazione avanti la Corte d’Appello di Milano, poi a sua volta riformata solo in parte dalla seconda sezione penale di questa Corte precisando, altresì, come alcuna statuizione di condanna sia stata pronunciata per fatti inerenti all’anno oggetto di accertamento, così inficiando la legittimità della sentenza impugnata anche sotto il profilo della motivazione contraddittoria. Il motivo è inammissibile.

Va rammentato che «il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis) concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. e dell’art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c. il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015);» (Cfr. Cass., V, n. 7513/2024). 

Nella fattispecie in esame la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, non avendo illustrato né in che modo la pronuncia di primo grado abbia inciso sulla decisione impugnata, né come vi abbia inciso l’omesso esame della decisione riformata, per vero solo allegata al ricorso ma completamente pretermessa nel corpo del motivo, con conseguente omessa illustrazione anche della “decisività” ai fini del decidere.

Ma soprattutto il motivo è inammissibile giacché non risulta che l’assenza di pronunce penali di condanna in relazione all’anno oggetto di accertamento sia mai stato dedotto come eccezione da parte dello stesso contribuente nei precedenti gradi di merito, così integrando a tutti gli effetti un motivo nuovo. Donde la sua inammissibilità. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità a favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in €.seimila/00, oltre a spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 03/04/2024