1. Con l’unico motivo di impugnazione, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., l'Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell'art. 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 2697, 2727 2729 cod. civ., per non avere la sentenza impugnata fatto buon governo dei principi in materia di distribuzione dell'onere della prova, in quanto sarebbe spettato alla parte contribuente dimostrare in maniera rigorosa e analitica che i versamenti bancari non erano soggetti a tassazione.
2. In particolare, la CTR aveva dato rilevanza alla documentazione prodotta senza svolgere alcun vaglio, limitandosi a rilevare che «sin dal pvc del 4/5/2015 la associazione ha prodotto idonea documentazione consistente nella fatturazione per sponsorizzazioni e pubblicità per un importo complessivo pari ad euro 523.000 e che restano ingiustificati ricavi pari ad euro 11.300..», quando invece il pvc citato non era mai stato prodotto in causa mentre dalla riproduzione dei suoi dati nel pvc del 29.9.2015 risultavano versamenti giustificati pari solo ad euro 238.770,00 (si indicano le pagg. 9 e 10) di cui l’Ufficio aveva tenuto conto nella determinazione dei ricavi, accertati inizialmente, ad esito delle indagini bancarie, in euro 919.570,00.
3. Il motivo è fondato.
4. Va rammentato il consolidato principio secondo cui «le presunzioni legali in favore dell'erario derivanti dagli accertamenti bancari determinano in capo al contribuente un preciso ed analitico onere della prova contraria» (Cass. n. 6405 del 2021; Cass. n. 22302 del 2022) ed «il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all'efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso contribuente, avuto riguardo ad ogni singola movimentazione e dandone conto in motivazione» (Cass. n. 35258 del 2021; Cass. n. 13112 del 2020; Cass. n. 30786 del 2018).
5. Nel caso in esame il giudice del merito non ha svolto alcun controllo né vaglio della documentazione prodotta al fine di verificare se le fatture prodotte si riferissero proprio alle movimentazioni contestate, limitandosi ad un mero confronto quantitativo per concludere che restava ingiustificata una «residua somma» cioè la differenza tra i versamenti sul conto e gli importi in fattura, senza fare chiarezza sulle incongruenze nei conteggi che emergono dalle deduzioni dell’Ufficio e che, in difetto di una analitica e rigorosa ricostruzione, non consentono di ritenere superata la presunzione legale.
6. Conclusivamente, accolto il motivo, la sentenza deve essere cassata con rinvio per gli accertamenti del caso alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa di conseguenza la sentenza impugnata rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 08/11/2023.