Giu In caso di illegittima reiterazione di contratti a termine, la successiva immissione in ruolo del lavoratore costituisce misura sanzionatoria idonea a reintegrare le conseguenze dell'illecito purché avvenga nei ruoli dell'ente che ha commesso l'abuso
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - ORDINANZA 17 aprile 2024 N. 10454
Massima
Nell'ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine, la successiva immissione in ruolo del lavoratore costituisce misura sanzionatoria idonea a reintegrare le conseguenze pregiudizievoli dell'illecito a condizione che essa avvenga nei ruoli dell'ente che ha commesso l'abuso e che si ponga con esso in rapporto di diretta derivazione causale, non essendo sufficiente che l'assunzione sia stata semplicemente agevolata dalla successione dei contratti a termine, ma occorrendo che sia stata da essa determinata, costituendo l'esito di misure specificamente volte a superare il precariato, che offrano già "ex ante" una ragionevole certezza di stabilizzazione, sia pure attraverso blande procedure selettive; ne consegue che  anche alla luce di Corte giust. U.E. 19 marzo 2020, C-103/18 e C-429/18 - non possiede tali caratteristiche una procedura concorsuale, ancorché interamente riservata ai dipendenti già assunti a termine, atteso che in caso di concorsi riservati l'abuso opera come mero antecedente remoto dell'assunzione e il fatto di averlo subito offre al dipendente precario una semplice "chance" di assunzione, come tale priva di valenza riparatoria.” ( Cass. n. 14815/2021 e successive conformi)

Casus Decisus
RILEVATO - che, con sentenza del 23 luglio 2018 la Corte d'Appello di B. chiamata a pronunziarsi sul gravame avverso la decisione resa dal Tribunale di B. che, nella causa proposta da Michelina S. nei confronti del Comune di B., aveva dichiarato l’illegittimità dei contratti a termine stipulati tra le parti e pronunciato a carico del Comune condanna al risarcimento del c.d. danno comunitario, quantificato in dieci mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in parziale riforma di detta decisione rigettava la domanda sancendo la legittimità dei contratti a termine e l’infondatezza delle dipendenti pretese risarcitorie ; - che la decisione della Corte territoriale discende dall’avere questa ritenuto insussistente il denunciato abuso, non essendo stati tra le parti stipulati contratti a termine su organico di diritto per un arco di tempo superiore a trentasei mesi e, comunque, infondata la pretesa risarcitoria per l’intervenuta stabilizzazione dell’istante, da considerarsi, alla stregua della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, come idonea a garantire il ristoro del danno subito in conseguenza dell’abuso di contratti a termine; - che per la cassazione di tale decisione ricorreva la S., affidando l’impugnazione a sette motivi, cui resisteva, con controricorso, il Comune di B.; - che entrambe le parti avevano depositato memoria; - che la causa chiamata all’udienza del 12.9.2023 veniva rinviata a nuovo ruolo per la trattazione concomitante con altre cause connesse per soggetti e oggetto; - che, differita la trattazione all’odierna udienza, la ricorrente ha nuovamente depositato memoria.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - ORDINANZA 17 aprile 2024 N. 10454 DI PAOLANTONIO ANNALISA

- che, con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 329, 112 e 115 c.p.c., imputa alla Corte territoriale l’essersi pronunciata in violazione del giudicato formatosi per effetto della mancata impugnazione da parte del Comune dell’accertamento in fatto, emergente dalla sentenza di prime cure, per cui i contratti a termine conclusi tra le parti attenevano all’affidamento di incarichi di supplenza non come insegnante, ma come operatrice dei servizi di prima infanzia gestiti dagli enti locali, e di avere comunque disatteso il dato emergente dagli atti di causa;

- che con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dei medesimi parametri normativi invocati nel motivo che precede, la ricorrente rileva che si era formato giudicato sull’applicabilità alla fattispecie della disciplina dettata per il comparto Regioni ed Autonomie Locali e sostiene che non poteva la Corte decidere la controversia sulla base di principi applicabili al solo comparto Scuola;

- che, con il terzo motivo, rubricato con riferimento all’art. 14 delle preleggi in connessione con l’art. 36 d.lgs. n. 165/2001, la ricorrente imputa alla Corte territoriale di avere erroneamente fatto ricorso all’analogia, giungendo a parificare, al fine di estendere l’efficacia sanante della stabilizzazione affermata da questa Corte con riguardo al settore scolastico, fattispecie da ritenersi incomparabili, per rivestire la ricorrente, non il ruolo di insegnante, ma quello di operatrice ai servizi di prima infanzia gestiti dagli enti locali;

- che nel quarto motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 36, d.lgs. n. 165/2001, del d.lgs. n. 368/2001 e della l. n. 124/1999 è prospettata ancora in relazione all’erroneo riferimento operato dalla Corte territoriale alla normativa relativa al settore scolastico, con specifico riguardo al giudizio in ordine alla legittimità dei contratti a termine conclusi tra le parti;

- che, con il quinto motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’essersi la Corte territoriale pronunciata nel senso del rigetto della pretesa risarcitoria assumendo la ricorrenza della circostanza dell’avvenuta stabilizzazione presso il Comune di B., quando, in realtà, la ricorrente veniva assunta a tempo indeterminato presso altro datore per poi prendere servizio alle dipendenze del Comune di B. valendosi di una procedura di mobilità intercompartimentale;

- che, con il sesto motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 d.lgs. n. 165/2001 e della clausola 5 dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 99/70/CE, lamentando, sotto il profilo del contrasto con il diritto comunitario, la non conformità a diritto della pronunzia della Corte territoriale nella misura in cui nega al lavoratore il risarcimento del danno c.d. comunitario a fronte della riconosciuta abusiva reiterazione dei contratti a termine per avere fruito di una chance di stabilizzazione, in relazione alla quale non era riscontrabile il requisito soggettivo della stabilizzazione presso lo stesso datore cui è riferibile l’abuso, al quale la giurisprudenza di questa Corte subordina l’efficacia sanante della stabilizzazione;

- che con il settimo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 329 c.p.c., imputando alla Corte territoriale l’essersi pronunciata in violazione del giudicato formatosi per effetto della mancata impugnazione da parte del Comune dell’omesso esame da parte del primo giudice dell’efficacia sanante dell’assunzione a tempo indeterminato presso altro datore;

- che il primo ed il secondo motivo si rivelano infondati alla stregua dell’orientamento accolto da questa Corte (cfr. Cass. n. 513/2019) per cui nel giudizio di appello il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato come il principio del “tantum devolutum quantum appellatum” non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate dall’istante, né incorre nella violazione di tali principi il giudice d’appello che, rimanendo nell’ambito del “petitum” e della “causa petendi”, confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice;

- che, di contro, il terzo ed il quarto motivo, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, meritano accoglimento, avendo la Corte territoriale errato nel non valutare la legittimità dei singoli contratti alla luce delle disposizioni vigenti al momento dell’instaurazione del rapporto (essendo stato il personale scolastico addetto agli asili nido e alle scuole dell’infanzia gestite dagli enti locali solo a partire dal 1° settembre 2013 esonerato dal rispetto dei limiti massimi previsti dal d.lgs. n. 165/2001, ferma restando la necessaria ricorrenza delle condizioni richieste dall’art. 36 d.lgs. n. 165/2001 ed in particolare la possibilità di ricorrere al contratto a termine in presenza di esigenze esclusivamente temporanee ed eccezionali) e nell’estendere alla fattispecie i principi di diritto affermati da questa Corte a partire da Cass. n. 22552/2016 dato che quei principi tengono conto del complesso sistema di reclutamento previsto per la sola scuola statale nonché della sopravvenuta legge n. 107/2015, anch’essa inapplicabile, quanto al regime delle assunzioni e alla disciplina dei rapporti a termine, alla scuola comunale ( cfr. in termini Cass. n. 35369/2021 e Cass. 22317/2023 alla cui motivazione si rinvia quanto alla ricostruzione del quadro normativo);

- che, parimenti, merita accoglimento il sesto motivo, con conseguente assorbimento del quinto, perché la sentenza impugnata contrasta con il principio di diritto enunciato da questa Corte secondo cui “nell'ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine, la successiva immissione in ruolo del lavoratore costituisce misura sanzionatoria idonea a reintegrare le conseguenze pregiudizievoli dell'illecito a condizione che essa avvenga nei ruoli dell'ente che ha commesso l'abuso e che si ponga con esso in rapporto di diretta derivazione causale, non essendo sufficiente che l'assunzione sia stata semplicemente agevolata dalla successione dei contratti a termine, ma occorrendo che sia stata da essa determinata, costituendo l'esito di misure specificamente volte a superare il precariato, che offrano già "ex ante" una ragionevole certezza di stabilizzazione, sia pure attraverso blande procedure selettive; ne consegue che anche alla luce di Corte giust. U.E. 19 marzo 2020, C-103/18 e C-429/18

- non possiede tali caratteristiche una procedura concorsuale, ancorché interamente riservata ai dipendenti già assunti a termine, atteso che in caso di concorsi riservati l'abuso opera come mero antecedente remoto dell'assunzione e il fatto di averlo subito offre al dipendente precario una semplice "chance" di assunzione, come tale priva di valenza riparatoria.” ( Cass. n. 14815/2021 e successive conformi):

- è stato, altresì, affermato che non è idonea a cancellare l’illecito eurounitario la stabilizzazione avvenuta alle dipendenze di un soggetto diverso da quello che ha commesso l’abuso, anche se da quest’ultimo controllato (Cass. n. 7982/2018 e successive conformi);

- che, dal canto suo, inammissibile deve ritenersi il settimo motivo, perché formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificità e di allegazione imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ., che dovevano essere assolti quanto agli atti processuali rilevanti ai fini dell’asserita formazione del giudicato interno;

- che il terzo, il quarto ed il sesto motivo di ricorso vanno dunque accolti, con assorbimento del quinto motivo, mentre vanno rigettati il primo ed il secondo e va dichiarato inammissibile il settimo; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’Appello di B., in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati e provvedendo anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo, il quarto ed il sesto motivo di ricorso, con assorbimento del quinto. Rigetta il primo ed il secondo motivo e dichiara inammissibile il settimo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di B., in diversa composizione.

Così deciso in Roma