1.La società T. Investimenti s.r.l.
articola in ricorso cinque motivi.
1.1. Col primo motivo essa denuncia
<<nullità della sentenza ex art. 360, c. 1, n. 4 c.p.c.
per non essersi la Corte d’Appello pronunciata sulla
responsabilità del Condominio di via OMISSIS 30-36 di P. ex
art. 2051 c.c. Violazione dell’art. 112 c.p.c.>>
Sostiene che nel corso del giudizio e, soprattutto, con il
proprio atto d’appello (di cui riporta integralmente le pagine
14-25 e le pagine 32-33), aveva agito in via riconvenzionale
al fine di far accertare e far valere la responsabilità anche
del Condominio per l’esecuzione di un tetto che le aveva reso
indisponibile per almeno sette anni l’immobile sito nel
complesso condominiale di via OMISSIS 30-36 a P..
Sostiene essere incontestabile che dal 2010 il Condominio
aveva piena cognizione delle problematiche del tetto e che lo
stesso, nella sua qualità di custode, fosse tenuto ad evitare
i danni derivanti da un manufatto costruito in modo non
conforme alle regole.
Deduce che la suddetta conoscenza, unitamente alla
totale inerzia, avallata anche a livello processuale, faceva
venire meno qualunque incidenza causale nel suo
comportamento.
Si duole che la corte territoriale (pp. 28-29) - dopo
aver affermato che la responsabilità per la cattiva esecuzione
del tetto competeva alla società DS - sulla questione
specifica della responsabilità del Condominio per la cattiva
esecuzione dell’opera e per i danni da essa subiti per
indisponibilità dell’immobile ex art. 2051 c.c., questione
posta in via riconvenzionale, si è limitata a richiamare il
suo motivo di appello, senza tuttavia pronunciarsi sullo
stesso.
1.2. Con il secondo motivo la società ricorrente,
per il caso in cui la sentenza della corte territoriale sia
intesa confermativa di quella di primo grado in punto di
mancata affermazione di responsabilità in capo al Condominio,
denuncia <<violazione e falsa applicazione degli
artt. 2051 c.c. in ordine alla mancata affermazione della
responsabilità del Condominio per danni da cose in
custodia>>.
Sostiene che la responsabilità del Condominio ex art. 2051 c.c.
è stata dimostrata dal fatto che il Condominio, a partire dal
2010 era stato reso edotto delle problematiche del tetto,
confermate in sede di ATP, ma aveva sempre tenuto un
comportamento omissivo, negando anche la sussistenza dei vizi
e, quindi, la necessità di messa in sicurezza del tetto.
Osserva che la conoscenza e/o la conoscibilità dei vizi
comportava l’obbligo del Condominio, nella sua qualità di
custode, di attivazione, a prescindere dal fatto che le
problematiche del tetto fossero imputabili all’appaltatore e
che non fosse stata comunicata al
committente la modifica delle condizioni della statica del tetto
stesso.
Una volta, infatti, emerse le problematiche in modo inconfutabile,
la responsabilità oggettiva connessa alla custodia comportava
l’obbligo diintervento in capo al Condominio, nonostante
l’affermata responsabilità in capo all’appaltatore.
1.3. Con il terzo motivo la società ricorrente
denuncia:
<<Violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.c. con riferimento
all’art. 2043 c.c. per avere la Corte affermato
l’insussistenza del diritto della ricorrente al risarcimento
del danno in quanto utilizzatrice dell’immobile, e non già
proprietaria>>, nella parte in cui (pp. 20-22) ha
rigettato la domanda di risarcimento, da essa proposta nei
confronti della società DS, ritenendola non legittimata a
richiedere il risarcimento del danno per essere mera
utilizzatrice dell’immobile sulla scorta di un
contratto di leasing e non già proprietaria.
Sottolinea che, secondo consolidata giurisprudenza di
legittimità (che richiama), è indubbio il diritto
dell’utilizzatore di bene, di cui abbia il godimento sulla
scorta di un contratto di leasing, a richiedere in
via autonoma il risarcimento del danno da indisponibilità del
bene stesso, con la conseguenza che la sua qualifica di
utilizzatrice non costituiva motivo per precluderle il diritto
al risarcimento del danno da indisponibilità dell’immobile per
fatto altrui.
1.4. Con il quarto
motivo denuncia <<violazione di norma di legge
ex art. 360, n. 3, c.p.c. con riferimento agli art. 1223 e 2056
c.c.,
per avere la Corte distrettuale affermato l’insussistenza del
diritto al risarcimento, per mancata prova del danno
subito>> Si duole che la corte territoriale (pp. 22-23,
25-26) abbia negato la domanda di risarcimento dei danni da
indisponibilità dell’immobile, da essa proposta nei confronti
della DS s.r.l. e del Condominio.
Osserva di essere a conoscenza dell’indirizzo che questa
Corte con sentenza n. 31233/18 ha inteso fare proprio,
giungendo a distinguere il concetto di danno evento da quello
di danno conseguenza ed introducendo altresì il concetto che
solo quest’ultimo possa essere risarcito, a condizione che lo
stesso venga provato anche presuntivamente da chi formuli la
richiesta risarcitoria per indisponibilità del bene per fatto
altrui. Aggiunge, tuttavia, che tale indirizzo non può di
certo ritenersi maggioritario o univoco, tanto è vero che la
giurisprudenza successiva ha continuato a ritenere conforme
ai principi di cui all’art. 1223 e 2056 c.c. la figura del
danno in re ipsa.
In definitiva, secondo la ricorrente, che richiama la sentenza
n. 3428/2019 del Consiglio di Stato, <<l’indisponibilità
del bene per fatto altrui costituisce un danno di per sé
perché priva l’avente diritto della facoltà di disporre del
bene>>.
1.5. Con il quinto motivo denuncia
<<violazione di legge ex art. 360, n. 3 c.p.c., in
relazione all’art. 91 c.p.c., per avere la Corte confermato la
condanna dell’esponente alla rifusione delle spese legali a
favore del B., chiamato in causa dal Condominio di OMISSIS>>,
nella parte in cui la corte territoriale ha affermato (p. 34):
<<Osserva questa Corte che, risultando comunque
confermata la sentenza di primo grado nella parte in cui ha
respinto la domanda risarcitoria proposta da T. Investimenti
Srl nei confronti del condominio e poiché la chiamata in causa
di B. Roberto è stata effettuata dal Condominio a fronte delle
domande proposte nei suoi confronti da T. Investimenti Srl,
domande che non hanno trovato accoglimento, le spese del terzo
chiamato sono state in ogni caso correttamente poste a carico
di T. Investimenti Srl.>>.
Sostiene che la corte territoriale, tanto affermando, abbia
violato il disposto dell’art. 91 c.p.c., perché non ha tenuto
conto dell’esito complessivo del giudizio di appello e, in
particolare, del parziale accoglimento delle domande da essa
svolte nei confronti del Condominio, che aveva chiamato in
causa il geom. B.; e del fatto che l’operato di quest’ultimo
era stato censurato anche dal Consulente tecnico, ing. M..
Osserva che la sentenza di primo grado aveva posto a suo
carico la responsabilità per i vizi di costruzione del nuovo
tetto, ma la sentenza della Corte d’appello aveva ritenuto la
società DS responsabile dei suddetti vizi, mandando essa
ricorrente esente da ogni responsabilità.
Aggiunge che, essendo stata respinta la domanda di
risarcimento solo per la affermata carenza di prova del danno
subito, la corte ha erroneamente affermato che essa ricorrente
era soccombente nei confronti del terzo chiamato B., tanto più
che la corte territoriale ha compensato le spese tra T.
Investimenti e il Condominio per reciproca soccombenza e tale
circostanza renderebbe paradossale il capo di sentenza che
pone a suo carico le spese legali dei due gradi di giudizio
del B., chiamato in giudizio dal Condominio stesso.
2. Il ricorso non è fondato.
2.1. Non fondati sono i primi due motivi – che, in
quanto connessi, sono qui trattati congiuntamente. I
precedenti di questa Corte (Cass. n. 28253/2023 e
27989/2022) sono stati correttamente richiamati in memoria e da
essi non vi è motivo di discostarsi nella presente sede.
Senonché la corte territoriale nella impugnata sentenza:
- dapprima (al punto 2) - dopo aver richiamato il contenuto
della relazione suppletiva del ctu ed il percorso
motivazionale seguito dal giudice di primo grado - ha
confermato il rigetto della domanda risarcitoria proposta
dalla società T. nei confronti della DS Restauri (per mancato
utilizzo del proprio appartamento in attesa del rifacimento
del tetto condominiale) sulla base delle
seguenti argomentazioni: a) la società T. non è la
proprietaria dell’appartamento in questione, ma mera
utilizzatrice in base ad un contratto di leasing; e, pertanto,
a prescindere da ogni responsabilità per inidoneità della
nuova copertura, non può aver subito un danno da mancato
utilizzo dell’immobile <<in termini di vendita o di
affitto>>, non essendo previsto in contratto la facoltà
di sublocare il bene (e, tanto meno, di poterlo alienare,
percependone il corrispettivo, prima diesserne divenuta la
proprietaria per esercizio del diritto di riscatto); b) la
società T. non soltanto aveva lasciato decadere la
Dia (ottenuta nel 2006) ed aveva presentato una Scia per la
prosecuzione dei lavori soltanto nel 2012, ma non ha provato
di aver subito conseguenze pregiudizievoli per non aver potuto
disporre dell’appartamento oggetto di causa (e in particolare,
di aver dovuto pagare il canone locatizio di altro immobile,
ove svolgere l’attività di ufficio, a cui doveva essere
adibito l’appartamento oggetto di causa);
c) l’orientamento giurisprudenziale, formatosi in tema di danno in
re ipsa, è stato oggetto di rivisitazione nella giurisprudenza
di legittimità e deve intendersi non più attuale; d’altra
parte, una valutazione equitativa del danno è ammissibile
soltanto ove sia provata l’esistenza del danno, mentre tale
presupposto nella specie è stato ritenuto non sussistente;
- poi (al punto 3.3) - dopo aver preso in considerazione il
motivo di appello dell’odierna ricorrente, concernente il
rigetto da parte del giudice di primo grado della domanda
diretta ad ottenere il danno per mancata disponibilità
dell’unità immobiliare oggetto di causa; e dopo aver dato atto
della doglianza dell’appellante - ha confermato il
rigetto della domanda risarcitoria nei confronti del
Condominio, ritenendo che la società T. non aveva provato le
conseguenze pregiudizievoli
subite a motivo dell’indisponibilità dell’immobile e richiamando
le argomentazioni, già svolte al punto 2, nel confermare il
rigetto della domanda risarcitoria anche nei confronti della
DS Restauri.
Fermo restando che in sede di legittimità è precluso tornare
sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione datane dal
giudice di merito, circostanza questa che inficia
l’ammissibilità di entrambi i motivi, la infondatezza degli
stessi consegue comunque al fatto che:
a) non vi è stata alcuna omessa pronuncia, tanto che la
corte territoriale ha espressamente concluso per il “rigetto
della domanda risarcitoria anche nei confronti del
Condominio”;
b) la corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei
principi di diritto, affermati da questa Corte in tema di
responsabilità dell’art. 2051 c.c., nella parte in cui (cfr.
sentenza impugnata, punto 2, pagina
2) ha confermato la sentenza del giudice di primo grado che
aveva ritenuto applicabile l’esimente del caso fortuito,
avendo T. Investimenti, con la propria condotta, dato causa
alla situazione di inidoneità statica della struttura ed alle
relative conseguenze:
evidentemente, ma univocamente, reputando irrilevante che
la situazione complessiva del bene, prima ed a prescindere
dall’intervento successivo, potesse essere la causa del
sinistro lamentato.
2.2. Infondati sono anche i motivi terzo e quarto, che, per
motivi di connessione logica, sono pure trattati
congiuntamente.
Invero, con arresto nomofilattico, le Sezioni Unite di questa
Corte (sent. n. 33645/2022), sia pure occupandosi della
diversa ipotesi del danno da occupazione illegittima di
immobile, hanno di recente reso chiarimenti direttamente
rilevanti anche nel presente giudizio con riferimento alla
morfologia ed alla risarcibilità del danno comunque derivante
da un fatto che renda impossibile, a chi ne abbia diritto,
il godimento dell’immobile e di trarne guadagno.
In particolare, è stato precisato che: a) il fatto costitutivo
del diritto del proprietario al risarcimento del danno da
perdita subita è la concreta possibilità, andata perduta, di
esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto,
mediante concessione a terzi dietro corrispettivo, restando,
invece, non risarcibile il venir meno della mera facoltà di
non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto
sul piano astratto, suscettibile di reintegrazione attraverso
la sola tutela
reale;
b) il proprietario è tenuto ad
allegare, quanto al danno emergente, la concreta possibilità
di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico
pregiudizio subito (sotto il profilo della perdita di
occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a
un canone superiore a quello di mercato), di cui, a fronte
della specifica contestazione del convenuto, è chiamato a fornire
la prova anche mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni
di fatto rientranti nella comune esperienza; poiché l’onere di
contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e
non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti,
l’onere probatorio sorge comunque per i fatti ignoti al
danneggiante, ma il criterio di normalità che
generalmente presiede, salvo casi specifici, alle ipotesi di
mancato esercizio del diritto
di godimento, comporta che l’evenienza di tali fatti sia
tendenzialmente più ricorrente nelle ipotesi di mancato
guadagno;
c) il fatto costitutivo
del diritto del proprietario al risarcimento del danno da
mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito,
rappresentato dall’impossibilità di concedere il bene in
godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone
locativo di mercato o di venderlo ad un prezzo più conveniente
di quello di mercato;
d) se il danno da perdita subita
di cui il proprietario chiede il risarcimento non può
essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal
giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il
parametro del canone locativo di mercato.
Alla stregua di tali principi, ai quali il Collegio intende
assicurare continuità, deve potersi puntualizzare che il danno
diretto risarcibile da indisponibilità dell’immobile possa
individuarsi nella soppressione o compressione della specifica
facoltà di esercizio del diritto di godere, che è andata persa
quale conseguenza immediata e diretta della violazione: sicché
a tale concetto deve intanto riferirsi la soppressione o
compressione della possibilità di estrinsecazione delle
facoltà normalmente inerenti alla disponibilità della cosa, in
relazione all’uso al quale sarebbe stata destinata anche
direttamente ed immediatamente dal titolare del diritto ad
essa e delle quali questo si è visto, pertanto,
illegittimamente privato; con la conseguenza che il godimento
diretto, la cui perdita sia suscettibile di risarcimento, va
identificato nella facoltà del titolare di fruirne direttamente e
di ritrarne le utilità congruenti alla destinazione del bene
quali ricavabili dalla sua intrinseca struttura o da altri
univoci e riconoscibili elementi.
Dato atto che i suddetti principi appaiono estensibili al caso
di specie, in quanto non muta la situazione per il fatto che
la ricorrente fosse utilizzatrice dell’immobile, occorre
ribadire che il concetto di danno evento si distingue da quello di
danno conseguenza e che soltanto quest’ultimo può essere
risarcito, a condizione che lo stesso venga provato, anche
presuntivamente, da chi formuli la richiesta risarcitoria per
indisponibilità del bene per fatto altrui. La tesi del
c.d. danno in re ipsa non prescinde dal predetto accertamento,
ma, in termini sostanzialmente descrittivi, si limita ad
affidarlo alla prova logica presuntiva sulla base del fatto
che l’allegazione da parte del danneggiato di determinate
caratteristiche materiali e di specifiche qualità giuridiche
del bene immobile consentano di pervenire alla prova (fondata
su una ragionevole certezza, la cui rispondenza logica
deve essere verificata alla stregua del criterio
probabilistico dell’id quod
plerumque accidit) che quel tipo di immobile sarebbe stato
destinato ad un impiego fruttifero, oppure anche solo che da
quello sarebbe stata
ritratta immediatamente e direttamente un’utilità corrispondente
alle sue caratteristiche (ove, beninteso, suscettibile di
valutazione economica: ciò che, peraltro, di norma appunto
avviene quando si ha la disponibilità di un immobile, che
offre sicuramente l’occasione di trarne giovamento anche in
via diretta e immediata per il
soddisfacimento di propri bisogni), ma almeno specificamente
indicata.
Orbene, nel caso di specie, parte ricorrente, nell’illustrazione
dei motivi in esame: riporta i passi motivazionali censurati
ed un passo del proprio atto di appello; riferisce di non aver
formulato istanze istruttorie sulla scorta dell’intenzione di
affittare e vendere l’immobile;
indica il <<danno figurativo>> come criterio
comunemente usato per quantificare il danno da indisponibilità
dell’immobile; richiama precedenti arresti di questa Corte e
del Consiglio di Stato; afferma correttamente che <<la sola
indisponibilità di un bene per fatto altrui costituisce un
danno meritevole di tutela risarcitoria … l’oggetto immediato
del comportamento illecito e lesivo è la facoltà di
godimento del bene inerente al diritto di proprietà … la
tutela risarcitoria deve essere ammessa indipendentemente
dalla dimostrazione di perdite patrimoniali …>>; ma,
come già rilevato dalla corte territoriale, non allega in che
cosa sia consistito il danno da indisponibilità del bene,
di cui lamenta la lesione e di cui chiede il risarcimento del
danno.
In particolare, la ricorrente si limita ad insistere sulla tesi
di astratta configurabilità del ripetuto danno in re ipsa, ma
non si fa carico di confutare, tanto meno con la dovuta
analiticità, le argomentazioni in base alle quali la corte
territoriale ha escluso in concreto la stessa allegazione di
quale utilità sia stata impedita la ritrazione in
dipendenza della mancata disponibilità dell’immobile ed in
rapporto alle peculiarità della fattispecie. In sostanza, la
mera riproposizione della tesi di quella
configurabilità non si misura con le precisazioni che la
ricordata pronuncia nomofilattica ha indicato agli interpreti,
delineando con maggiore nettezza i contorni, i contenuti ed i
connessi oneri di allegazione e prova, del danno da
indisponibilità di un immobile: oneri rimasti inadempiuti dal
danneggiato.
Donde l’infondatezza del motivo, se del caso così
intendendosi opportunamente integrata la motivazione della
gravata sentenza.
2.3. Il quinto motivo, concernente la condanna del
Condominio alla rifusione delle spese legali a favore del B.
(da esso condominio chiamato in causa), è
inammissibile e comunque infondato.
È inammissibile, essendo pacifico che, in materia di
spese processuali, l’identificazione della parte soccombente è
rimessa al potere discrezionale del giudice insindacabile in
sede di legittimità (Cass. n. 13229/2011). Ed è infondato, in
quanto la T. Investimenti è risultata soccombente, sia in
primo sia in secondo grado, rispetto al B., in quanto le
domande proposte dalla società nei confronti di quest’ultimo
sono state rigettate. E, d’altra parte, è consolidato
nella giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le più
recenti, Cass. n. 10364/2023) il principio per cui il rimborso
delle spese processuali sostenute dal terzo, chiamato in
garanzia dal convenuto, va a carico dell’attore qualora, come
nella specie, la chiamata in causa sia resa necessaria in
relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste
siano risultate infondate.
3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della
parte ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del
presente giudizio in favore del controricorrente Condominio,
secondo la liquidazione reputata equa nella misura indicata in
dispositivo.
Va, infine, dato atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge
ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20
febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte:
- rigetta il ricorso;
- condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio
di legittimità in favore del controricorrente, liquidate in
euro 10.000 per compensi, oltre euro 200 per esborsi ed oltre
maggiorazione per spese generali, IVA e CPA nella misura di
legge;
- ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del
2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, ad opera di parte ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a
norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2024, nella camera di
consiglio