Giu Ai fini dell'applicazione della norma che prevede che i consiglieri dell'ordine degli avvocati non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi, occorre far riferimento alla nozione di mandato in senso oggettivo
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - ORDINANZA 11 aprile 2024 N. 9906
Massima
Ai fini dell'applicazione della norma di cui al terzo comma dell'art. 3 della legge n. 113/2017, che prevede che i consiglieri dell'ordine degli avvocati non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi, occorre far riferimento alla nozione di mandato in senso oggettivo, senza che possa avere rilievo la circostanza che il consigliere già eletto per il secondo mandato si sia dimesso anticipatamente rispetto alla durata legale della consiliatura, non potendo quindi ripresentarsi alle elezioni immediatamente successive. Né può rilevare in senso contrario la diversa previsione del terzo periodo del terzo comma, secondo cui la ricandidatura è possibile quando sia trascorso un numero di anni uguale agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato, atteso che la norma mira a rafforzare il divieto di cui al precedente periodo, disponendo che il divieto di rielezione opera anche nel caso in cui, pur non essendovi stata un'immediata ripresentazione, la successiva consiliatura abbia avuto una fine anticipata rispetto al termine legale, non sia ancora decorso un numero di anni uguale a quello del precedente mandato, sempre inteso come riferito alla durata della consiliatura (sentenza n. 8566/2021, Sezioni Unite)

Casus Decisus
provvedendo in via cautelare, il C.N.F. dispose la riammissione dell’avv. Pietro D. alla competizione elettorale per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di OMISSIS in relazione al quadriennio 2023/2026, dalla quale era stata escluso per ritenuta operatività del divieto del terzo mandato consecutivo; definendo il successivo giudizio di merito con sentenza n. 63/23 depositata il 26.4.2023, il C.N.F. ha accolto il reclamo dell’avv. D. avverso il provvedimento che ne aveva dichiarato l’incandidabilità, rilevando che: il mandato preso in considerazione dalla Commissione elettorale, al fine di escludere il reclamante dalla tornata elettorale, era quello svolto dal febbraio 2019 al gennaio 2020, quando -a seguito della sentenza n. 20/2020 del CNF che ne aveva dichiarato l’ineleggibilità- il D. si era dimesso; benché la dichiarazione di ineleggibilità operasse ex tunc, tuttavia l’effettivo esercizio del mandato svolto fino alle dimissioni comportava che esso dovesse essere valutato ai fini del divieto di terzo mandato consecutivo; di esso non si doveva però tenere conto, in quanto aveva avuto durata inferiore al biennio (ex art. 3, co. 4 l. n. 113/2017 e in conformità a quanto affermato da Corte Cost. n. 173/2019); avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione gli avvocati Carlo T. e Gaetano L.G. (già candidati alle medesime elezioni), affidandosi ad un unico motivo; ha resistito l’avv. D. con controricorso contenente ricorso incidentale basato anch’esso su un unico motivo; nel fascicolo processuale è presente altro controricorso, dell’avv. Roberto N., che, benché intestato con riferimento al presente procedimento (n. 12132/2023), concerne effettivamente altro ricorso (n. 12130/2023) chiamato anch’esso all’odierna adunanza; il P.G. non ha rassegnato conclusioni scritte; i ricorrenti principali e l’avv. N. hanno depositato memoria.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - ORDINANZA 11 aprile 2024 N. 9906 D'Ascola Pasquale

Considerato, quanto al ricorso principale, che:

con l’unico motivo, i ricorrenti hanno denunciato «violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 3 e 4, della legge n. 113/2017 e dell’art. 28 co. 10 L. 247/2012 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. - eccesso di potere sotto tutti i profili sintomatici, in particolare per errore sui presupposti, per travisamento dei fatti, per manifesta ingiustizia e motivazione perplessa, per avere la decisione impugnata, in evidente contrasto con i principi fissati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 8566 del 26 marzo 2021, accolto il reclamo e, di conseguenza, dichiarato legittima la candidatura e la elezione al Consiglio dell'Ordine per il quadriennio 2023/2026 dell’Avv. Pietro D., pur avendo svolto due mandati consecutivi ultrabiennali»;

assumono i ricorrenti che la sentenza impugnata «ha totalmente obnubilato la sentenza delle SS.UU. n. 8566 del 26.3.2021 […] che, se applicata, avrebbe automaticamente e de plano portato alla declaratoria di ineleggibilità del prevenuto candidato», sulla base del principio della «durata del mandato in senso oggettivo, ai fini del calcolo dei termini per il divieto del terzo mandato consecutivo»; principio che le SS.UU. hanno affermato per «eliminare l’abuso della carica e dell’istituto delle dimissioni, presentate a tempo debito, prima della scadenza del biennio, per consentire una ricandidatura nel quadriennio successivo»;

evidenziano che la durata infrabiennale del mandato assunto nel 2019 era «conseguenza di una scelta volontaria dell’Avv. D.», «per non subire coattivamente gli effetti della sentenza del CNF che lo aveva dichiarato, in altra precedente occasione, ineleggibile»;

Considerato, quanto al ricorso incidentale, che:

con l’unico motivo, si denuncia «errore sui presupposti di fatto: il ricorrente Pietro D. è stato dichiarato ineleggibile con sentenza del CNF n. 10/2020 del 18.1.2020. Mancato espletamento del mandato per il periodo 2019/2022. Violazione falsa applicazione art. 3, co. 4 della legge 113/2017»;

assume il ricorrente che, poiché la decisione del CNF aveva annullato la sua elezione per il quadriennio 2019/2022, tale elezione doveva considerarsi invalida sin dall’origine e, quindi, tamquam non esset; con la conseguenza che non aveva «determinato conseguenze di sorta ai fini di un eventuale computo relativamente al doppio mandato»;

chiede pertanto di confermare la sentenza nella parte in cui ha affermato la candidabilità dell’avv. D. perché il precedente mandato aveva avuto durata inferiore al biennio e di riformarla, invece, nella parte in cui ha statuito che la sentenza dichiarativa dell’ineleggibilità non aveva fatto venir meno gli effetti del mandato comunque espletato come “funzionario di fatto”; il quadro normativo di riferimento è costituito da: art. 3 della legge n. 113/2017, che, per le parti di interesse, così dispone: «Fermo quanto previsto al comma 4, i consiglieri non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi. La ricandidatura è possibile quando sia trascorso un numero di anni uguale agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato» (3° co.);

«Dei mandati di durata inferiore ai due anni non si tiene conto ai fini del rispetto del divieto di cui al secondo periodo del comma 3» (4° co.); art. 11-quinquies della l. n. 12/2019 (di conversione in legge, con modifiche, del d.l. n. 135/2018) recante «interpretazione autentica dell'articolo 3, comma 3, secondo periodo, della legge 12 luglio 2017, n. 113 e proroga del termine di cui all'articolo 27, comma 4, della legge 31 dicembre 2012, n. 247»), che, al primo comma, recita: «l'articolo 3, comma 3, secondo periodo, della legge 12 luglio 2017, n. 113, si interpreta nel senso che, ai fini del rispetto del divieto di cui al predetto periodo, si tiene conto dei mandati espletati, anche solo in parte, prima della sua entrata in vigore, compresi quelli iniziati anteriormente all'entrata in vigore della legge 31 dicembre 2012, n. 247.

Resta fermo quanto previsto dall'articolo 3, commi 3, terzo periodo, e 4, della legge 12 luglio 2017, n. 113» con sentenza n. 173/2019, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale del plesso normativo in questione, escludendo, da un lato, il contrasto dell'art. 3, comma terzo, secondo periodo, della legge n. 113 del 2017 con gli artt. 3, 48 e 51 Cost., sotto il profilo dell'irragionevole limitazione del diritto di elettorato attivo e passivo, e con gli artt. 2, 3, 18 e 118 Cost., sotto il profilo dell'illegittima ed irragionevole compressione dell'ambito di autonomia riservato agli ordini circondariali forensi, e dall'altro, il contrasto dell'art. 11-quinquies del dl. n. 135 del 2018 con gli artt. 2, 3, 18, 48, 51 e 118 Cost., sotto il profilo del superamento dei limiti di ragionevolezza delle norme retroattive di interpretazione autentica;

la Corte ha evidenziato che la peculiare ed essenziale finalità della normativa è quella di valorizzare le condizioni di eguaglianza che l'art. 51 Cost. pone alla base dell'accesso «alle cariche elettive», «uguaglianza, che nella sua accezione sostanziale, sarebbe evidentemente compromessa da una competizione che possa essere influenzata da coloro che ricoprono da due (o più mandati) consecutivi la carica per la quale si concorre e che abbiano così potuto consolidare un forte legame con una parte dell'elettorato, connotato da tratti peculiari di prossimità»;

ha aggiunto che «il divieto del terzo consecutivo mandato favorisce il fisiologico ricambio all'interno dell'organo, immettendo “forze fresche” nel meccanismo rappresentativo (nella prospettiva di assicurare l'ampliamento e la maggiore fluidità dell'elettorato passivo), e -per altro verso- blocca l'emersione di forme di cristallizzazione della rappresentanza»;

con sentenza n. 8566/2021, le Sezioni Unite di questa Corte, richiamata la pronuncia della Corte Costituzionale e ribadito che -per quanto già evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità- la ratio del divieto di terzo mandato consecutivo è quella di «assicurare la più ampia partecipazione degli iscritti all’esercizio delle funzioni di governo degli Ordini, favorendone l’avvicendamento nell’accesso agli organi di vertice», hanno affermato il seguente principio di diritto: «ai fini dell'applicazione della norma di cui al terzo comma dell'art. 3 della legge n. 113/2017, che prevede che i consiglieri dell'ordine degli avvocati non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi, occorre far riferimento alla nozione di mandato in senso oggettivo, senza che possa avere rilievo la circostanza che il consigliere già eletto per il secondo mandato si sia dimesso anticipatamente rispetto alla durata legale della consiliatura, non potendo quindi ripresentarsi alle elezioni immediatamente successive.

Né può rilevare in senso contrario la diversa previsione del terzo periodo del terzo comma, secondo cui la ricandidatura è possibile quando sia trascorso un numero di anni uguale agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato, atteso che la norma mira a rafforzare il divieto di cui al precedente periodo, disponendo che il divieto di rielezione opera anche nel caso in cui, pur non essendovi stata un'immediata ripresentazione, la successiva consiliatura abbia avuto una fine anticipata rispetto al termine legale, non sia ancora decorso un numero di anni uguale a quello del precedente mandato, sempre inteso come riferito alla durata della consiliatura»;

la pronuncia delle Sezioni Unite ruota intorno alla nozione oggettiva di mandato, correlata alla «durata oggettiva della consiliatura», negando rilevanza alla minor durata “soggettiva” che sia dipesa da dimissioni volontarie del singolo consigliere ed evidenziando che, in tale ottica “oggettiva”, la previsione del terzo periodo del comma 3 dell’art. 3 l. 113/2017 («La ricandidatura è possibile quando sia trascorso un numero di anni uguale agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato») vale a disciplinare le ipotesi in cui, dopo l’espletamento di due mandati consecutivi, l’ex consigliere non si sia candidato alla terza consiliatura e, tuttavia, questa abbia avuto una durata inferiore a quella legale (quadriennale), per tale ipotesi prevedendo che la candidatura alla nuova consiliatura sia possibile solo se sia trascorso un numero di anni uguale a quello nei quali si è svolto il precedente mandato («garantendo in tal modo che il divieto di presentazione per tre mandati consecutivi, cui è correlata l'esigenza di un decorso temporale tale da favorire il ricambio all'interno dell'organo, superando quelle rendite di posizione collegate al precedente svolgimento delle funzioni elettive non sia eluso approfittando dell’anomala cessazione anticipata della consiliatura»);

tanto premesso, ritiene il Collegio che debba darsi seguito alla lettura in chiave oggettiva della nozione di mandato, in quanto funzionale alla compiuta realizzazione delle finalità sottese al divieto di terzo mandato consecutivo, come sopra evidenziate; dal che consegue la necessità di ribadire l’irrilevanza delle dimissioni volontarie presentate dal consigliere, in quanto non idonee a elidere il fatto che lo stesso abbia ricevuto il mandato per l’intera consiliatura;

mandato che va quindi parametrato alla durata (oggettiva) della consiliatura, a prescindere dalla sua minor durata soggettiva, dipesa dalla volontà dell’interessato; a ciò deve aggiungersi che: come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, la dichiarazione di ineleggibilità compiuta dal C.N.F. con sentenza n. 20/2020, pur producendo effetti ex tunc, non vale a porre nel nulla l’attività comunque svolta dall’avv. D. fino alle dimissioni, sulla base dei principi in materia di conservazione degli atti e di attività del “funzionario di fatto” (cfr. Cass. n. 39375/2021, sempre in materia di divieto del terzo mandato consecutivo, ancorché in riferimento all’elezione del Consiglio nazionale dell’Ordine degli ingegneri);

non rileva la circostanza che il mandato non sia stato interamente svolto a seguito delle dimissioni dell’avv. D. (ancorché motivate dalla volontà di prestare acquiescenza alla sentenza del CNF), giacché la necessità di fare riferimento alla nozione oggettiva di mandato comporta che debba computarsi l’intera durata della consiliatura, senza che possa rilevare la durata infrabiennale del mandato soggettivamente svolto dall’avv. D.;

ne consegue che, ai fini della verifica del divieto di terzo mandato consecutivo, deve computarsi l’intera durata della consiliatura 2019/2022;

accolto pertanto il ricorso principale e disatteso quello incidentale, deve cassarsi la sentenza impugnata con rinvio al Consiglio Nazionale Forense; la peculiarità della fattispecie (comportante la necessità di applicare i principi espressi da Cass., S.U. n. 8566/2021 alla specifica ipotesi di dimissioni volontarie successive a dichiarazione di ineleggibilità) giustifica l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Consiglio Nazionale Forense. Ai sensi dell’ art. 13, comma 1- quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art.13, comma 1-bis, ove dovuto.

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

OMISSIS, 16.1.2024

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