Giu In tema d'imposte sui redditi, va esclusa la deducibilità delle spese legali sostenute dalla società contribuente per la difesa di propri dipendenti in un procedimento penale nato dalla querela di altri dipendenti nell’ambito del rapporto di lavoro
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 11 aprile 2024 N. 9910
Massima
In tema d'imposte sui redditi, va esclusa la deducibilità delle spese legali sostenute dalla società contribuente per la difesa di propri dipendenti in un procedimento penale originato dalla querela di altri dipendenti nell’ambito del rapporto di lavoro, atteso che, ai fini dell'inerenza all’attività d’impresa, presupposto della deducibilità ex art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986, non è sufficiente che il costo sia conseguente in senso generico all'esercizio dell'impresa, ma è necessaria la sua correlazione con un'attività potenzialmente idonea a produrre utili» (Cass., 10 marzo 2017, n. 6185)

Casus Decisus
1. La Commissione tributaria provinciale di Milano, con sentenza n. 701/17/17, depositata il 26 gennaio 2017, aveva rigettato il ricorso proposto dalla società M. s.r.l. avverso l’avviso di accertamento emesso per l’anno 2012, in relazione ad Imposte Ires ed Iva, per costi fittizi perché derivanti fa fatture e autofutture inesistenti e per spese legali non inerenti, in quanto relative ad assistenza penale e, quindi, a beneficio di soggetti terzi. 2. La Commissione tributaria regionale, dopo avere preso atto che l’Ufficio aveva abbandonato il recupero dell'IVA, ha accolto parzialmente l’appello per quanto concerne le spese legali da ritenere deducibili e le sanzioni in applicazione del principio del favor rei. 3. I giudici di secondo grado, in particolare, hanno ritenuto che l’Ufficio aveva ampiamente provato che le fatture fossero state emesse da soggetti che realmente non avevano posto in essere la prestazione fatturata (operazioni soggettivamente inesistenti), mentre la società contribuente non aveva esibito alcuna prova che documentasse l'operazione effettuata con gli effettivi fornitori, in modo da conoscere con certezza il preciso ammontare del corrispettivo e la data della prestazione ai fini della individuazione dell'anno di competenza, con ciò non ottemperando all’onere della prova della deducibilità di un costo, che era a suo carico. 4. I giudici di secondo grado hanno, invece, ritenuto fondato il motivo di appello sulle spese legali recuperate a tassazione, in quanto era interesse della società contribuente vedere prosciolti i propri amministratori dai reati tributari per i quali la Procura della Repubblica Monza aveva avviato i relativi procedimenti penali e l'esito dei giudizi penali era direttamente connesso agli interessi della società in quanto la condanna per gli illeciti tributari implicava obbligatoriamente, la confisca del profitto del reato, costituito dalle imposte non versate all'Erario, che doveva essere operata anzitutto su disponibilità finanziarie della società contribuente; i costi per spese legali erano, dunque, da ritenersi inerenti e, quindi, fiscalmente deducibili. Era fondato anche il rilievo sulle sanzioni, dovendosi richiamare quanto esplicitato dall'Ufficio circa l'applicazione della normativa più favorevole al contribuente. 5. Il fallimento della società M. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a cinque motivi. 6. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso e ricorso incidentale fondato su un unico motivo. 7. Il fallimento della società M. s.r.l. ha depositato memoria.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 11 aprile 2024 N. 9910 MANZON ENRICO

1. Il primo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l'erroneità della sentenza per l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in quanto i giudici di appello avevano fondato il proprio convincimento circa la fittizietà delle operazioni commerciali e dei relativi costi di acquisto dei materiali senza tenere in alcuna considerazione dei motivi di appello con i quali erano stati sottoposti all'esame della Commissione tributaria regionale una serie di elementi di fatto idonei a dimostrare, con certezza, la realtà degli acquisti effettuati nell'anno 2012 («La MGS, a partire dal 16 febbraio dell'anno 2012, era rimasta sotto il costante controllo dell'Autorità: prima amministrativa (GdF, che ha eseguito la verifica presso la sede sociale); poi, giudiziaria, con il sequestro preventivo del capitale sociale, disposto dal P.M. in data 24 maggio 2012; e, ancora, per effetto della nomina, da parte del custode giudiziario, di un nuovo amministratore di sua fiducia, che ha poi provveduto alla redazione e presentazione dei bilanci e delle dichiarazioni fiscali degli anni 2011 e 2012 (appello, pag. 13).

Inoltre, la totale irrilevanza del fatto che i fornitori delle società Metal Rex Italia S.r.l., R.C.M. S.r.l., R.M.C. S.r.l. e della Ditta Individuale APF di Agnello Francesco Paolo — i quali, nel corso del 2012, avevano emesso fatture, rispettivamente, per € 3.947.809, € 4.053.027, € 42.411 e € 1.925.401, ritenute relative ad operazioni inesistenti (avviso di accertamento, tabella pag. 8, doc. 3, citato) - fossero quasi sconosciuti al Fisco, o privi di un'organizzazione d'impresa adeguata o avessero la loro sede in località distante da quella della Società MGS. Si osservava, al riguardo, che tali soggetti erano del tutto ignoti alla MGS, che non aveva acquistato i rottami da loro bensì esclusivamente dalle tre società e dalla ditta individuale APF sopra indicate (appello, pag. 8, ultimo periodo). Ancora, MGS aveva corrisposto alle predette società ed alla ditta APF il prezzo degli acquisti dei materiali ferrosi secondo canali ufficiali e mai i relativi importi erano stati accertati come restituiti in tutto o in parte alla medesima MGS (appello,pagg. 9 -10). Tali materiali, acquistati nell'anno 2012, erano stati poi rivenduti da MGS nell'anno stesso e i ricavi (per complessivi € 17.995.509) erano stati inseriti nel conto economico e nelle relative dichiarazioni fiscali, e mai erano stati contestati o rettificati dall'Ufficio (appello, pag. 8). Inoltre, con l'atto di appello (da rigo 12 di pag.1 al quartultimo rigo di pag. 12) erano state dedotte le seguenti ulteriori specifiche circostanze.; a. Il fatto che la società, per l'attività di commercio all'ingrosso di rottami metallici, ha dichiarato al Fisco ricavi per un ammontare complessivo di euro 17.995.509 (all. 4 ricorso - conto economico bilancio 2012); ricavi che l'Agenzia non ha rettificato, pur avendo ritenuto che la società non aveva acquistato rottami per ben euro 9.968.648"; b. L'indice di redditività e quello d'incidenza del costo del venduto del settore (all. 7 ricorso), che risultano essere, mediamente, il primo del 2,20% (all. 8 col. 13 ricorso) ed il secondo dell'83,17% (all. 8 col. 7 ricorso); c. Gli indici, risultanti dai dati dichiarati dalla società al fisco, sono molto prossimi a quelli medi del settore, poiché il primo risulta essere dell'1,71% (all.8 col.11 ricorso) ed il secondo, dell'87,48% (all.8 col. 5 ricorso)" …. "I dati utilizzati dalla società per elaborare gli indici sopra indicati, erano nella totale disponibilità dell'Ufficio, dato che agevolmente avrebbe potuto accedere all'anagrafe tributaria ed ai bilanci delle società relativi ai periodi d'imposta 2011 e 2012. Proprio questi ultimi bilanci, infatti, dimostrano la fondatezza degli indici elaborati dalla società, dato che gli stessi sono stati approvati da un amministratore nominato dall'Autorità Giudiziaria, che ha anche gestito, dal giugno 2012, la società ricorrente. Ebbene, l'indice di redditività degli anni 2011 e 2012 (pari, rispettivamente all'’1,84% e 2,32%) e quello di incidenza del costo del venduto (pari al 92,96% e 83,88%), si discostano da quelli del settore e da quelli degli anni precedenti in misura del tutto fisiologica, tenendo conto che il settore commerciale è fluido e non strutturato; d. Il disconoscimento dei costi di acquisto dei rottami ferrosi, secondo l'ipotesi formulata dall'Ufficio, porterebbe all'assurdo risultato di avere un indice medio di redditività pari al 70,99% (all .8 cit.col.12 ricorso) e ad un indice medio di incidenza del costo del venduto pari al 18,19% (all. 8 cit. col. 6 ricorso)». 

1.1 La censura è inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter cod. proc. civ., vertendosi in fattispecie nella quale la parte ricorrente è risultata soccombente in entrambi i giudizi di merito, sulla base di statuizioni fondate sui medesimi rilievi in fatto, che hanno disatteso i diversi argomenti – sostanziali e probatori – dalla stessa proposti e non avendo la Curatela ricorrente specificato in ricorso e nella memoria le ragioni di fatto poste rispettivamente a fondamento della decisione di primo e di secondo grado, così dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., 22 dicembre 2016, n. 26774). 1.2 Ed invero, nell’ipotesi di doppia conforme, prevista dall'art. 348 ter, comma 5, cod. proc. civ., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., 28 febbraio 2023, n. 5947).

2. Il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. e dell'art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., in quanto la Commissione tributaria regionale aveva erroneamente omesso di prendere in considerazione gli elementi, anch'essi di carattere presuntivo, addotti dalla parte appellante (con il motivo che precede) al fine di dimostrare l'insussistenza dei requisiti legali (in particolare, del requisito della concordanza) della prova presuntiva utilizzata dai primi giudici.

2.1 Senza prescindere dal rilievo che il vizio dedotto non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l'attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152), nel caso in esame, la censura si appalesa aspecifica, poiché non si confronta con il contenuto del provvedimento impugnato, che, lungi dal non considerare le argomentazioni difensive della società appellante, le ha, invece, esaminate specificamente, affermando, sulla premessa che la apparente regolarità formale della contabilità verificata, compresa la traccia di pagamenti, doveva ritenersi irrilevante, atteso che qualunque la frode fiscale era sempre dissimulata da una situazione contabile formalmente regolare (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata) che, da un lato, erano diversi gli elementi per ritenere che l'accertamento si era basato su presunzioni gravi, semplici e concordanti, e quindi la fittizietà delle operazioni poste in essere, ovvero le transazioni si ripetevano uguali a se stesse per un numero indefinito di volte, per più anni di imposta e i venditori di rottami presentavano rilevanti anomalie e, dall’altro che la società appellante non aveva allegato alcun documento di trasporto, nonché il tagliando della pesatura della merce ordinariamente utilizzato nel settore dei metalli ferrosi, a corredo della fattura (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).

2.2 La sentenza impugnata ha, dunque, motivato secondo il prudente apprezzamento delle concrete circostanze acquisite al processo e nell'esercizio del potere giurisdizionale tipicamente attribuito al giudice del merito, che, come già detto, non è suscettibile di valutazione in sede di legittimità.

3. Il terzo motivo deduce l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., in quanto i giudici di appello, esaminando la vicenda sotto il profilo delle operazioni c.d. soggettivamente inesistenti, hanno ritenuto non dimostrati dal Fallimento MGS i requisiti di effettività, inerenza, competenza e certezza dei costi relativi all’acquisto dei materiali ferrosi portati in deduzione dalla società contribuente che ne faceva commercio, richiesti dall'art. 109 TUIR, omettendo di tenere conto degli specifici contrari elementi di prova offerti dal Fallimento MGS, idonei a dimostrare, con certezza: che tutti i costi ritenuti fittizi erano stati invece effettivamente sostenuti nell'anno 2012 e che gli stessi, oltre che inerenti e di competenza, erano anche certi e determinati nel loro preciso ammontare. Fin dal primo grado di giudizio, la società ricorrente aveva allegato, oltre ai bilanci sociali del 2011 e 2012, il prospetto degli indici di redditività e del costo del venduto, nonché il prospetto di comparazione degli indici di settore con quelli della società; inoltre, la società aveva sempre sostenuto che tutte le fatture di acquisto di rottami erano state regolarmente pagate, e che mai era stata rilevata dall'Ufficio la restituzione, in tutto o in parte, dei relativi importi. Il Fallimento aveva dedotto i seguenti fatti non esaminati dai giudici di secondo grado che dimostravano l’inerenza, la competenza e la certezza e determinatezza dei costi: la società aveva sempre svolto, quale unica ed esclusiva attività, quella del commercio di rottami ferrosi; la società, nel corso del 2012, aveva conseguito, dalla vendita di rottami, ricavi per un ammontare di euro 17.995.509 (bilancio d'esercizio 2012) regolarmente dichiarati ed accertati dall'Ufficio; la stessa, per poter conseguire tali ricavi, aveva dovuto, alla stregua dell'indice del costo del venduto del settore, pari all'83,88%, acquistare materiali ferrosi per almeno 15.094.633 euro; tutti i rottami venduti, durante il periodo d'imposta 2012, erano stati acquistati nell'anno stesso, circostanza che non era stata mai contestata dall'Agenzia e comunque documentata dal relativo bilancio d'esercizio, da cui risultava che l'ammontare delle rimanenze iniziali era maggiore di quello delle rimanenze finali.

3.1 Anche il terzo motivo (contrariamente a quanto argomentato dal Fallimento ricorrente nella memoria) è inammissibile in relazione all’omesso esame di fatto decisivo, in costanza del principio della cd. doppia conforme ex art. 348 ter cod. proc. civ., in mancanza della indicazione delle ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello al fine di dimostrare che esse sono tra loro diverse (Cass., 18 dicembre 2014, n. 26860; Cass., 11 maggio 2018, n. 11439; Cass., 28 febbraio 2023, n. 5947, citata), nonché in quanto «la giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai consolidata nell'affermare che il novellato testo dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; l'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma» (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 23 agosto 2023, n. 25124).

4. Il quarto motivo deduce la violazione dell'art. 8, comma 2, del decreto legge n. 16 del 2012, convertito con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. I Giudici di appello, esaminando la vicenda anche sotto il profilo che si sarebbe trattato di operazioni oggettivamente inesistenti, avevano escluso l'applicabilità, nella specie, della richiamata normativa, sul rilievo che la stessa si applicava soltanto alle società «cartiere» vere e proprie, quando cioè sia gli acquisti, che le vendite erano fittizi. Il convincimento della Commissione tributaria regionale era giuridicamente errato posto che il predetto art. 8 non conteneva alcuna specifica limitazione al riguardo proprio perché preordinato al rispetto del principio di capacità contributiva, fissato dall'art. 53 della Costituzione e cioè ad evitare che ricavi mai conseguiti fossero assoggettati ad imposizione diretta.

5. Il quinto motivo deduce la violazione degli artt. 212 (recte: 112) e 342 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in quanto la Commissione tributaria regionale non si era pronunciata in ordine al motivo di appello con il quale era stata reiterata la domanda di annullamento dell’atto impositivo sotto il profilo che il diniego della deducibilità dei costi anche in misura forfettaria aveva comportato la violazione del principio di capacità contributiva ex art. 53 della Costituzione, atteso che la società era stata assoggettata ad imposizione diretta sul profitto lordo, anziché su quello netto. La sentenza di primo grado era stata censurata in sede di appello per violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e i giudici di appello, che erano tenuti, in virtù del principio devolutivo ex art. 342 cod. proc. civ., a provvedere su tale domanda, non avevano tuttavia reso alcuna pronuncia in merito.

5.1 I motivi, che devono essere trattati unitariamente perché connessi, sono infondati.

5.2 Deve in primo luogo rilevarsi che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 8 del decreto legge n. 16 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 44 del 2012, sia in materia di accertamento dell'I.V.A., che delle imposte dei redditi, qualora l'Amministrazione, ritenendo fittizia — oggettivamente o soggettivamente — un'operazione di acquisto, ne avesse recuperato a tassazione i relativi costi, non avrebbe dovuto correlativamente ridurre i ricavi, non sussistendo alcun automatismo tra la ritenuta fittizietà dell'operazione e tale riduzione; l'Amministrazione non aveva pertanto l'obbligo di escludere, in proporzione, i ricavi esposti dallo stesso contribuente, né era tenuta ad accertare la dichiarazione nella sua interezza, potendo limitarsi ad analizzare l'esistenza dei costi dichiarati (cfr. Cass., 2 marzo 2012, n. 3267).

5.3 L'art. 8, comma 2, del decreto legge, citato, costituente ius superveniens, applicabile alla presente controversia in forza del successivo comma 3, avendo il ricorrente prospettato la questione nell’atto di appello, come, nel rispetto del principio di autosufficienza, emerge dalle pagine 16 – 20 del ricorso per cassazione (cfr. Cass., 21 marzo 2023, n. 8133, secondo cui «l'applicazione dello "ius superveniens" di cui all'art. 8, comma 1, d.l. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 44 del 2012, si estende anche a rapporti antecedenti al d.l. e non ancora esauriti, ma non opera nei giudizi in corso indiscriminatamente, dovendo essere coordinata con i principi che regolano l'onere della tempestiva introduzione della questione nel ricorso introduttivo, dell'impugnazione e delle relative preclusioni, con la conseguenza che la sua operatività trova ostacolo nel giudicato interno formatosi in relazioni alle questioni, sulla decisione delle quali avrebbe dovuto incidere la normativa sopravvenuta, e nella conseguente inesistenza di controversie in atto sui relativi punto») prevede che «ai fini dell'accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell'ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi, applicandosi in tal caso solo una sanzione amministrativa».

5.4 La disposizione in parola trova applicazione nel caso di operazioni sia soggettivamente sia oggettivamente inesistenti. Nel primo caso, questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, anche sulla scorta della relazione al disegno di legge di conversione del decreto legge n. 16 del 2012, che, poiché nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti i beni acquistati – di regola (e salvo il caso, ad esempio, in cui il «costo» sia consistito nel «compenso» versato all'emittente il falso documento) – non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, non è più sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell'acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall'effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relativi a dette operazioni; ferma restando, tuttavia, la verifica della concreta deducibilità dei costi stessi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (cfr. Cass., 12 dicembre 2019, 32587; Cass., 21 febbraio 2020, n. 4645; Cass., 9 agosto 2022, n. 24471). Con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti è stato precisato che «grava sul contribuente l'onere di provare la natura fittizia dei componenti positivi del reddito che - ai sensi dell’art. 8, comma 2, del d.l. n. 16 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 44 del 2012 - siano direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati e non devono pertanto concorrere alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell'ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi» (Cass., 19 dicembre 2019, n. 33915; Cass., 20 aprile 2016, n. 7896; Cass., 19 dicembre 2014, n. 27040; Cass., 20 novembre 2013, n. 25967, le ultime due richiamate anche dal ricorrente e, più di recente, Cass., 21 agosto 2023, n. 24880).

5.5 Orbene, nel caso in esame, la parte ricorrente ha contestato gli elementi presuntivi acquisiti dall'Ufficio, elementi che sono stati poi recepiti e posti dai giudici di appello a fondamento del decisum, e, in sede di giudizio di merito, non ha fornito la prova della fittizietà dei relativi ricavi conseguiti, cosicché deve escludersi la violazione sia della norma costituzionale richiamata (art. 53 Cost.), che garantisce la corretta corrispondenza dell'imposta all'imponibile effettivo, sia dello ius superveniens invocato.

5.6 Per quanto detto, non sussiste nemmeno il vizio di omessa pronuncia, in quanto il giudice del gravame avendo accertato, sulla base degli elementi presuntivi offerti dall’Amministrazione finanziaria, che le operazioni erano oggettivamente inesistenti e che la società contribuente non aveva offerto la prova che le operazioni oggetto di accertamento fossero state realmente eseguite, ha ritenuto, in tal modo, non provato dalla società contribuente che i ricavi fittizi da espungere fossero «corrispondenti» agli acquisti derivanti dalle operazioni inesistenti; come già precisato, infatti mentre nel caso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti si tratta di riconoscere i costi seppure da fornitori irregolari, nel caso delle operazioni oggettivamente inesistenti, cioè di acquisti mai effettuati, si tratta invece di dare conto della fittizietà dei ricavi (cfr. anche Cass., 28 ottobre 2022, n. 32060, in motivazione).

6. Il primo ed unico motivo del ricorso incidentale deduce la violazione o falsa applicazione dell'art. 109 del d.P.R. n. 917/1986, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.. Le conclusioni cui era pervenuta la Commissione tributaria regionale si ponevano in contrasto con quanto recentemente chiarito dalla Corte di Cassazione che aveva escluso che potessero dedursi le spese per la difesa penale del Presidente/Amministratore di una società, con la sentenza Cass., 6 agosto 2019, n. 20945. 6.1 Il motivo è fondato.

6.2 Già questa Corte ha affermato che «In tema d'imposte sui redditi, va esclusa la deducibilità delle spese legali sostenute dalla società contribuente per la difesa di propri dipendenti in un procedimento penale originato dalla querela di altri dipendenti nell’ambito del rapporto di lavoro, atteso che, ai fini dell'inerenza all’attività d’impresa, presupposto della deducibilità ex art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986, non è sufficiente che il costo sia conseguente in senso generico all'esercizio dell'impresa, ma è necessaria la sua correlazione con un'attività potenzialmente idonea a produrre utili» (Cass., 10 marzo 2017, n. 6185).

6.3 E più di recente ha precisato che «l'assunzione delle spese per la difesa penale del Presidente/Amministratore della società non è qualificabile costo di operazioni sociali legittime ovvero rientranti nell'oggetto sociale», perchè «il principio dell'inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d'impresa ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all'esercizio dell'attività imprenditoriale», esclusa ogni valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta) o congruità «perché il giudizio sull'inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo» (cfr.. Cass. 11 gennaio 2018, n. 450; Cass. 7 luglio 2018, n. 19804)» (Cass., 6 agosto 2019, n. 20945, in motivazione, richiamata anche dalla difesa erariale).

6.4 Inoltre, «la valutazione della strumentalità di un acquisto rispetto all'attività imprenditoriale va effettuata in concreto, tenendo conto dell'effettiva natura del bene o del servizio, in correlazione agli scopi dell'impresa (Cass. 17 luglio 2018, n. 18904; Cass. 2016, n. 5860) e, ai fini della detraibilità del tributo assolto sulle operazioni passive, le previsioni statutarie non presentano un valore vincolante, ma solo meramente indiziario circa l'inerenza dei relativi costi all'effettivo esercizio dell'impresa, essendo, altresì, necessario che la prestazione non sia isolata e che sia inserita in una specifica attività imprenditoriale» (cfr. Cass. 18 febbraio 2015, n. 3205).

6.5 Anche di recente è stato affermato che, ai fini della deduzione di un costo dalla base imponibile ai sensi dell’art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986, la deducibilità di costi e oneri richiede la loro inerenza all'attività di impresa, da intendersi come necessità di riferire i costi sostenuti all'esercizio dell'attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea a essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità - anche solo potenziale e indiretta - secondo una valutazione qualitativa e non quantitativa, la cui prova, a fronte di contestazioni dell'Amministrazione finanziaria, è a carico del contribuente, dovendo egli provare e documentare l'imponibile maturato e, quindi, l'esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perché in correlazione con l'attività di impresa e non ai ricavi in sé. (Cass.,1 giugno 2023, n. 15530; Cass., 16 marzo 2022, n. 8646).

6.6 La sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto l’inerenza del costo per spese legali (pag. 8 della sentenza impugnata), non è conforme ai principi suesposti.

7. Alla luce di quanto sopra esposto, va accolto il ricorso incidentale e va rigettato il ricorso principale; la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione al ricorso incidentale accolto, e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso incidentale e rigetta il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso incidentale accolto, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, con onere a carico della Curatela ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.

Così deciso in Roma, in data 27 marzo 2024.