Giu In tema di liquidazione delle spese processuali, il giudice, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, ha l'onere di dare adeguata motivazione dell'eliminazione e della riduzione di voci da lui operata
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 04 aprile 2024 N. 9042
Massima
In tema di liquidazione delle spese processuali, il giudice, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti ma ha l'onere di dare adeguata motivazione dell'eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l'accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione all'inderogabilità dei relativi minimi, a norma dell'art. 24 della legge n. 794 del 1942 (Cass. n. 20604 /2015; n. 18906/2013; n. 19318/2017; Cass. n. 10343/2020; Cass.30087/21).

Casus Decisus
1.Con ricorso notificato alla Regione Lazio, depositato in data 21.4.2015, avanti la Commissione Tributaria Provinciale di Roma, la Sig.ra L., con il patrocinio dell'Avv. Gianluca F., impugnava una cartella di pagamento notificatale in data 3.3.2015, contestando la debenza dell'importo di € 255,58 per crediti di natura tributaria (Bollo Auto). La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con sentenza 28342/2016, accoglieva il ricorso e condannava la Regione Lazio al pagamento delle spese di lite che liquidava in € 300,00, di cui € 50,00 per esborsi, a favore del procuratore dichiaratosi antistatario Avv. Gianluca F.. L'odierno ricorrente, nella sua qualità di procuratore antistatario delle spese liquidate nella citata sentenza n. 28342/2016, una volta decorso il termine lungo per il passaggio in giudicato della sentenza, attivava la procedura di ottemperanza disciplinata dall'art. 70 e ss. del d.lgs. 546/1992 e, pertanto, in data 26- 27/9/2017, notificava alla parte soccombente Regione Lazio atto di diffida e messa in mora con invito a provvedere alla corresponsione dell'importo liquidato in suo favore in forza della sentenza della CTP di Roma per un importo complessivo di € 414,78. In data 3.11.2017, spirato inutilmente il termine di 30 giorni, depositava innanzi alla CTP di Roma ricorso in ottemperanza, con il quale chiedeva l’ottemperanza del giudicato formatosi sulla sentenza n. 28342/2016 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma sul capo di condanna al pagamento delle spese legali in favore del legale. All’esito della stessa la Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con sentenza n. 10991/19 depositata in data 29.7.2019 statuiva che "la Commissione tributaria visto il ricorso per giudizio di ottemperanza presentato dall’Avv. Gianluca F. relativamente alla sentenza n. 28342/08/2016 emessa dalla sezione 8 della Commissione Tributaria provinciale di Roma nomina quale commissario ad acta il Direttore della direzione Bilancio, Governo Societario, Demanio Patrimonio della Regione Lazio. Lo stesso deve prendere i dovuti provvedimenti attuativi del giudicato di cui alla sentenza n. 28342/8/2016, nel termine di 120 giorni dalla data del provvedimento, in adempimento della sentenza depositata" Avverso tale sentenza (n. 10991/2019 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma), ricorreva innanzi alla Suprema Corte di Cassazione ex art. 360 c.p.c. (RG 33016/2019) l’odierno ricorrente denunciando l’erroneità della sentenza gravata nella parte in cui aveva erroneamente omesso di regolamentare le spese di lite nel rapporto processuale tra ricorrente ed Ufficio nella fase di ottemperanza. Con ordinanza n. 15890/2021 emessa in data 11.3.2021 e depositata in data 27.5.2021, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso in quanto la mancata statuizione sulle spese del giudizio integra una vera e propria omissione di carattere concettuale e sostanziale e costituisce un vizio della sentenza, stante la mancanza di qualsiasi decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che è stata ritualmente proposta e che richiede pertanto una pronuncia di accoglimento o di rigetto; con la conseguenza che l'omessa pronuncia sulle spese in un provvedimento a contenuto decisorio che definisce il giudizio non costituisce mero errore materiale emendabile con la speciale procedura di correzione prevista dagli artt. 287 e ss. cod. proc. civ., ma vizio di omessa pronuncia da farsi valere solo con i mezzi d'impugnazione. Nel termine di legge, l’avv. F. riassumeva la causa innanzi alla CTP di Roma chiedendo al Giudice del rinvio la condanna dell’Ufficio alle spese del giudizio. La Commissione Tributaria Provinciale di Roma con sentenza n. 6674/2022 del 25.5.2022, depositata in data 1.6.2022, pur accogliendo il ricorso in riassunzione, e pur applicando il principio di soccombenza, nella parte motiva rilevava che “Il collegio prende atto che la S. C., con la prodotta ordinanza n. 14786/2021, depositata in data 27/05/2021, ritenendo ingiustificata, ex art. 15, d.lgs. n. 546/1992, l’omessa liquidazione delle spese del giudizio di ottemperanza da parte della C. T. P. con la sentenza n. 10991/2019, ha accolto il ricorso con rinvio a questa Commissione, in diversa composizione, per provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità < accoglie il ricorso e condanna la Regione Lazio al pagamento delle spese di lite, che liquida in euro 200,00 per il procedimento di ottemperanza, euro 500,00 per il giudizio di Cassazione ed euro 200,00 per il presente, oltre contributo unificato ed accessori di legge>. Ricorre per la cassazione della citata sentenza, sulla base di due motivi La Regione Lazio non ha svolto attività difensiva.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 04 aprile 2024 N. 9042 PAOLITTO LIBERATO

2.Con il primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 15 d.lgs. 546/1992, 75 disp. att. c.p.c. e 4 decreto ministeriale 5 aprile 2014 n.55 del Ministero della giustizia nonché delle tabelle 1-2 dei parametri ad esso allegate in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c ; per avere ila C.T.P. omesso di considerare che erano state depositate “memorie illustrative e nota spese” (doc. C8) nella quale si chiedeva l’applicazione dei valori medi per le cause di valore fino ad € 1.100,00 svoltesi innanzi alla CTP. Invece, la CTP capitolina, in sede di rinvio, nella sentenza oggi gravata, procedeva alla liquidazione delle spese di soccombenza nella misura indicata senza articolare alcuna motivazione per disattendere la nota spese depositata dalla parte e discostandosi in modo apprezzabile dai valori medi dei parametri di riferimento.

3. Con il secondo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 4 decreto ministeriale 5 aprile 2014 n.55 del Ministero della giustizia e delle tabelle 1-2 dei parametri ad esso allegate, art. 15 d.lgs. 546/1992 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. ; per avere il decidente applicato la misura delle spese discostandosi dai valori medi senza tuttavia motivare.

4. Il primo motivo è fondato.

Va richiamato, al riguardo, il principio, più volte affermato dalla Corte, secondo cui, in tema di liquidazione delle spese processuali, il giudice, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti ma ha l'onere di dare adeguata motivazione dell'eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l'accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione all'inderogabilità dei relativi minimi, a norma dell'art. 24 della legge n. 794 del 1942 (Cass. n. 20604 /2015; n. 18906/2013; n. 19318/2017; Cass. n. 10343/2020; Cass.30087/21).

Peraltro, l'esigenza di fornire un'adeguata motivazione a sostegno della determinazione degli importi riconosciuti alla parte vittoriosa sorge soltanto a fronte del deposito, ad opera di quest'ultima, di una nota specifica recante l'indicazione delle attività svolte e delle somme richieste, dovendo il giudice spiegare le ragioni dell'eliminazione o della riduzione di alcune di esse, al fine di rendere possibile la verifica della conformità della liquidazione alle risultanze degli atti ed ai parametri ministeriali (tra le tante: Cass., Sez. Lav., 5 aprile 2017, n. 4  8824; Cass., Sez. 5^, 31 ottobre 2018, n. 27815; Cass., Sez. 6^-1, 5 marzo 2020, n. 6345; Cass., Sez. 1^, 21 gennaio 2021, n. 1076; Cass. n. 1116/23, in motiv.).

In ogni caso, la nota spese ex art.75 disp. att. cod. proc. civ. funge anche da limite al potere del giudice di liquidazione dei compensi alla parte vittoriosa, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, secondo il quale, quando la parte presenta la nota delle spese, il giudice non può attribuire alla parte, a titolo di rimborso delle spese, una somma di entità superiore (Cass., Sez. 6^-3, 14 maggio 2013, n. 11522; Cass., Sez. 6"- 1, 5 marzo 2020, n. 6345).

5. Anche la seconda censura merita accoglimento.

Il motivo pone all’attenzione della Corte la questione circa la possibilità per il giudice, nel caso di assenza di accordo tra le parti circa la determinazione del compenso, ovvero in caso di liquidazione delle spese di lite a carico del soccombente, ovvero in caso di liquidazione del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, di poter derogare, sia pure in maniera motivata, ai minimi dettati dai parametri dettati in base alla previsione di cui all’art. 13 della legge n. 247/2012, per effetto della novella del d.m. n. 55 del 2014, operata dal d.m. n. 37 del 2018, e confermata dalle previsioni di cui al d.m. n. 147 del 2022. 5.1. Occorre premettere che < in tema di spese processuali, i parametri cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, vanno applicati ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto a condizione che a tale data non sia stata ancora completata la prestazione professionale, ancorché essa abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, atteso che l'accezione omnicomprensiva di "compenso" evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l'opera complessivamente prestata» (v. Cass. 27233 del 26/10/2018; Cass. n.12537 del 10/05/2019).

5.2. La c.d. riforma Bersani (d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in l. n. 248/2006), ha comportato l'abrogazione di tutte le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano, con riferimento alle prestazioni professionali, « l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime», sul presupposto che tale scelta fosse imposta dalla normativa di rango comunitario, che non tollerava più un’imposizione vincolante delle tariffe professionali, essendo incompatibile con i principi comunitari di libera concorrenza e libera circolazione delle persone e dei servizi (e ciò sebbene, come si dirà oltre, tale incompatibilità della precedente disciplina con gli obblighi derivanti non avesse avuto seguito nella giurisprudenza della Corte di Giustizia).

5.3.L'art. 9, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in l. 24 marzo 2012, n. 27, ha provveduto all'abrogazione delle tariffe (comma 1), sostituendole con i parametri (comma 2), ed a tale intervento normativo fece seguito l'emanazione della l. 31 dicembre 2012, n. 247, recante la nuova disciplina dell'ordinamento forense e dunque concernente, a differenza del d.l. n. 1/2012, soltanto gli avvocati e non anche le altre figure di professionisti, ma l'art. 13, commi 6 e 7, di tale legge riprende i parametri già introdotti per tutte le professioni intellettuali dal d.l. n. 1/2012. Nelle more dell’emanazione della legge n. 247/2012, stante l’avvenuta abrogazione delle tariffe, era stato però emanato il d.m. n. 140/2012, volto a fissare i nuovi criteri di determinazione dei compensi dei professionisti forensi.

5.4. Successivamente è stato poi emesso il d.m. 10 marzo 2014, n. 55, che ha sostituito integralmente, per gli esercenti la professione forense, sia la parte generale che quella che era loro specificamente dedicata (artt. 2 – 14) del d.m. 20 luglio 2012 n. 140. La novella, pur avendo lasciato immutato il criterio di liquidazione, per le quattro fasi processuali distinte già individuate, secondo una ripartizione valida per tutti gli organi giurisdizionali davanti ai quali venga svolta l'attività, e onnicomprensive, ha però nella sostanza confermato la possibilità di deroga ai valori minimi e massimi, quali scaturenti dalle percentuali di aumento e diminuzione massimi che il giudice può apportare ai valori medi, essendo stato valorizzato l'utilizzo dell'inciso “di regola” per indicare l'entità dell'aumento o della diminuzione, in quanto volto a sottendere come tali indicazioni non sono vincolanti per il giudice che può quindi anche discostarsi da esse nella misura che ritenga adeguata al caso specifico, purché ne dia conto in motivazione. La successiva giurisprudenza di legittimità ha avallato tale lettura della norma, essendo pervenuta reiteratamente ad affermare che, nella vigenza delle previsioni di cui al d.m. n. 55/2014, l'esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso (Cass. n. 14198 del 05/05/2022; Cass. n. 19989 del 13/07/2021; Cass. n. 89 del 07/01/2021, Cass. n. 2386 del 31/01/2017; Cass. n. 11601 del 14/05/2018). Resta però in ogni caso precluso al giudice di poter liquidare, al netto degli esborsi, somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione (cfr. ex plurimis Cass. civ., 31 gennaio 2017, n. 2386; Cass. civ., 31 luglio 2018, n. 20183; contra, Cass. civ., 17 gennaio 2018, n. 1018 e Cass. civ., 5 novembre 2018, n. 28267).

5.5. Il quadro normativo ha poi subito un’ulteriore variazione a seguito dell’emanazione del dm n. 37/2018, entrato in vigore il 27 aprile 2018, che ha modificato solo alcune delle previsioni del d.m. n. 55/2014. Ai fini che rilevano la modifica ha integrato i parametri per la determinazione dei compensi, sia per l'attività giudiziale che per quella stragiudiziale (rispettivamente artt. 4 e 19) precisando che la riduzione, rispetto al valore medio di liquidazione non può essere superiore alla misura del 50 % (per la sola fase istruttoria fino al 70 %) mentre l'aumento può essere anche superiore alla percentuale fissata di regola nell'80 %, eliminando per il potere di riduzione l’espressione “di regola” che aveva appunto giustificato l’interpretazione volta a consentire, sia pure con motivazione, la liquidazione anche al di sotto dei minimi tariffari. La significatività della modifica del testo delle norme richiamate si ricava anche dalle argomentazioni spese dal Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema del decreto del 2018 (parere numero 02703/2017 del 27/12/2017), nel quale si sottolinea come tra gli obiettivi del Ministero vi fosse anche quello di “superare l’incertezza applicativa ingenerata dalla possibilità, nell’attuale sistema parametrale, che il giudice provveda alla liquidazione del compenso dell’avvocato senza avere come riferimento alcuna soglia numerica minima, rendendo inadeguata la remunerazione della prestazione professionale”, limitando quindi “…. il perimetro di discrezionalità riconosciuto al giudice, individuando delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base al di sotto delle quali non è possibile andare”. Nel parere, inoltre, si rimarcava come la modifica proposta non si palesasse in contrasto neanche con la normativa europea in materia anche alla luce delle argomentazioni contenute nella sentenza n. 427 del 23 novembre 2017 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

6. La conclusione per l’inderogabilità dei minimi tariffari in sede di liquidazione giudiziale, ed in assenza di diversa convenzione non appare in alcun modo attinta dalle modifiche apportate al d.m. n. 55 del 2014 del recente d.m. n. 147/2022, non applicabile alla presente fattispecie, che, come si evince anche dal parere reso dal Consiglio di Stato sul relativo schema (affare n. 00183/2022, reso all’esito dell’adunanza del 17 febbraio 2022), ha previsto la soppressione, in tutti i commi in cui ricorrono, delle parole “regola”, e ciò nel dichiarato intento (cfr. relazione illustrativa del Ministero della Giustizia) di ridurre il margine di discrezionalità dell’autorità giudiziaria nella liquidazione dei compensi, rendere più omogena l’applicazione dei parametri e garantire maggiore coesione interna alla categoria degli esercenti la professione forense.

6.1. Inoltre, come sancito dal decreto ministeriale n. 55 del 2014, articolo 18, nella formulazione applicabile ratione temporis, i compensi liquidati per prestazioni stragiudiziali sono onnicomprensivi in relazione ad ogni attivita’ inerente l’affare. Il decreto ministeriale n. 147 del 2022, articolo 4, comma 1, ha aggiunto un comma 2 a questo articolo, prevedendo la possibilita’ di una liquidazione “per ciascuna fase o parte” quando pero’ l’affare si componga “di fasi o di parti autonome in ragione della materia trattata”. Quel che dunque emerge evidente nel raffronto tra il testo applicabile alla fattispecie e la nuova formulazione e’ il permanere tendenziale del principio di onnicomprensivita’: la liquidazione di un compenso per fasi o parti e’ infatti possibile purche’, in ragione della materia trattata, la fase o la parte dell’affare per cui e’ stata prestata l’attivita’ stragiudiziale sia individuabile come “autonoma”; conferma questa ricostruzione la persistenza di un’unica voce nella tabella 25 che individua i parametri di liquidazione. Questa interpretazione era – ed e’ – necessitata dal principio di correlazione tra il compenso e l’effettivita’ della prestazione professionale resa e puo’ ora trovare conferma proprio nella aggiunta, all’articolo 18, come riportata, del comma 2, di piu’ esplicita formulazione: in tal senso puo’ ritenersi che questo nuovo precetto assolva una funzione interpretativa, chiarendo il senso e la portata del comma 1( Cass. n. 28327/2023).

6.2. Deve poi recisamente negarsi ogni dubbio circa la compatibilità della soluzione in punto di inderogabilità dei minimi tariffari con la normativa comunitaria. Giova in tal senso ricordare come l’analogo dubbio postosi in relazione alla disciplina previgente la riforma del 2006 è stato ritenuto insussistente dalla giurisprudenza della CGUE, che con la sentenza del 19 febbraio 2002 C-35/99 (cd. caso Arduino), adito dal pretore di Pinerolo in merito alla paventata violazione dell'art. 85 trattato CE da parte della normativa italiana in materia di tariffe forensi, in quanto adottate da un ente qualificabile come associazione di imprese (il Consiglio nazionale forense), ha escluso la ricorrenza di intese restrittive della libertà di concorrenza. La risposta dei giudici di Lussemburgo è però stata nel senso della piena compatibilità dei sistemi tariffari con il diritto comunitario della concorrenza, e ciò in quanto gli artt. 5 e 85 del Trattato CE (divenuti artt. 10 CE e 81 CE) non ostano all'adozione da parte di uno Stato membro di una misura legislativa o regolamentare che approvi, sulla base di progetto stabilito da un ordine professionale forense, una tariffa che fissa dei minimi e dei massimi per gli onorari dei membri dell'ordine, qualora tale misura statale sia adottata. Pur essendosi posto in rilevo che l'adozione di tariffe a livello nazionale può incidere sulla concorrenza e che, sebbene l'allora art. 85 del Trattato CE (ora art. 101 TFUE) riguardasse solo la condotta delle imprese e non le disposizioni legislative o regolamentari, ciò non toglieva che tale disposizione, in combinato disposto con l'art. 5 del Trattato (ora art. 5 TUE), obbligasse gli Stati membri a non adottare o mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, idonei ad eliminare l'effetto utile delle regole di concorrenza applicabili alle imprese, tuttavia la Corte ha specificato che l'elaborazione di un progetto di tariffa per le prestazioni professionali non priva automaticamente la tariffa del suo carattere di normativa statale se, come nel caso italiano, lo Stato membro non rinunci ad esercitare il suo potere di decisione in ultima istanza o a controllare l'applicazione della tariffa stessa (punto 40), posto che al CNF era riservato soltanto il ruolo di proporre un progetto di tariffe, le quali venivano poi emanate dal ministero della Giustizia, sentito il parere del CIP e previa consultazione obbligatoria del Consiglio di Stato (secondo quindi un procedimento di formazione del tutto analogo a quello attuale) (cfr. Cass. n. 10438 del 19/04/2023; Cass. n. 9815 del 13/04/2023; Cass. n. 14198 del 05/05/2022 ). L’arresto del giudice di Lussemburgo è stato poi favorevolmente recepito dalla giurisprudenza nazionale, in quanto a far data da Cass. n. 7094 del 28 marzo 2006 è stato ribadito che, in tema di tariffe professionali degli avvocati, è valida la disposizione statale che fissa il principio della normale inderogabilità dei minimi degli onorari (conf. Cass. n. 15666/2007; Cass. n. 27090 del 15/12/2011; Cass. n. 15666 del 13/07/2007, che ha esteso la soluzione anche alla inderogabilità dei minimi delle tariffe professionali dei dottori commercialisti; Cass. n. 15963/2011, quanto alle tariffe notarili).

7. La censura è quindi fondata, avendo la Commissione tributaria ritenuto congrua, a titolo di spese processuali - in relazione al valore della causa una somma inferiore – per il giudizio di merito - a quelle risultanti dalla massima riduzione percentuale consentita dal citato art. 4, comma primo, d.m. 55/2014 (come modificato nel 2018 dal d.m. n. 37/2018), (Cass. 6518/2022; Cass. 23873/2021; Cass. 19482/2018; Cass. 6306/2016); tenuto conto del valore della causa ricompreso nella suddetta fascia sino a 1.100,00 euro e dell’applicabilità del massimo dell’abbattimento (v., da ultimo, Cass. n. 9815/2023); mentre i minimi tariffari risultano rispettati per le spese del giudizio di legittimità. Pertanto, il ricorso va accolto, e l'impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, in diversa composizione, limitatamente alla liquidazione delle spese del giudizio di merito. 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, rinvia alla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, in diversa composizione