Giu Il procedimento di reclamo avverso le decisioni del Commissario agli usi civici va inquadrato nel sistema generale delle impugnazioni, sicché il termine breve ex art.325 cpc decorre unicamente dalla notificazione della sentenza ad opera delle parti
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE - SENTENZA 29 marzo 2024 N. 8573
Massima
Il procedimento di reclamo avverso le decisioni del Commissario agli usi civici va inquadrato nel sistema generale delle impugnazioni, sicché il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. decorre unicamente dalla notificazione della sentenza ad opera delle parti

Casus Decisus
Con sentenza del 16 maggio 2016 il Commissario Regionale per la liquidazione degli Usi Civici per la Regione Abruzzo accertava e dichiarava la natura demaniale civica dei terreni censiti in agro del Comune di Isola del Gran Sasso al foglio 40, part. 5, 2, 4, al foglio 38, part. 16, al foglio 31 part. 244, 235, 191, 238, 239, 149, foglio 38 part. 14, foglio 31 part. 114, 202, 242, foglio 30 part. 23, foglio 23 part. 99, statuendo conseguentemente la nullità di ogni atto dispositivo inerente detti terreni e disponendone la reintegra in favore dell’Amministrazione Separata di Casale S. Nicola. Su reclamo della società soccombente Enel Produzione s.p.a., la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 5054 del 23 luglio 2019, in parziale accoglimento dell’impugnazione, annullava la declaratoria di demanialità civica dei terreni censiti al foglio 23 part. 99, al foglio 31 part. 149, 191, 238, 239, 244, al foglio 40 part. 2 e 5, confermando nel resto la pronunzia commissariale.  Osservava la Corte territoriale che l’originaria attrice non aveva lamentato, dinanzi al Commissario Regionale, l’occupazione dei predetti terreni, che invece l’organo giudicante aveva dichiarato di natura demaniale civica, incorrendo così in ultrapetizione. E neppure risultava che la domanda fosse stata estesa anche ai suddetti appezzamenti, in esito alla CTU espletata in corso di causa. Il gravame veniva accolto anche con riguardo all’ordine di reintegrazione, disposto dal commissario a mezzo della Regione Abruzzo, giacché quest’ultima – essendo estranea al giudizio – non avrebbe potuto essere destinataria di tale ordine. Per la cassazione della predetta sentenza ha proposto ricorso Enel Produzione s.p.a., affidandosi a quattro motivi. ASBUC Casale S. Nicola ha tempestivamente proposto controricorso, contenente altresì due motivi di ricorso incidentale. Quest’ultimo ricorso è stato però iscritto con altro numero di registro generale e deciso dalla sesta sezione, sottosezione seconda, con ordinanza n. 11890 del 6 maggio 2021, senza tener conto della pendenza del ricorso principale e del controricorso al ricorso incidentale. Con tale provvedimento, questa Corte ha dichiarato improcedibile per mancato deposito il ricorso principale proposto dalla ENEL Produzione, con conseguente inefficacia del ricorso incidentale tardivo proposto dalla controricorrente. La ENEL Produzione s.p.a. ha allora proposto ricorso per la revocazione della predetta ordinanza 6 maggio 2021, n. 11890 della Corte di cassazione (n. 31377/2021 R.G.) e con ordinanza interlocutoria n. 19713, all’esito dell’adunanza del 10 giugno 2022, il Collegio ha ritenuto che il ricorso per la revocazione dell’ordinanza non fosse inammissibile, ai sensi dell’art. 391, comma 1, c.p.c., rimettendo perciò la causa alla pubblica udienza della sezione semplice, da fissare unitamente alla trattazione del ricorso R.G. n. 7015/2020. All’udienza del 31 gennaio 2023 si è proceduto alla riunione del ricorso R.G. n. 31377/2021 R.G. alricorso n. 7015/2020, ma la causa riunita è stata rinviata a nuovo ruolo, in attesa della decisione di analoghe questioni rimesse alle Sezioni Unite. In esito alla pronunzia delle Sezioni Unite n. 12570 del 10 maggio 2023, la causa è stata rimessa all’udienza pubblica del 12 marzo 2024. Il Procuratore Generale ha concluso, sollecitando il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale. In prossimità dell’udienza pubblica, la parte ricorrente ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE - SENTENZA 29 marzo 2024 N. 8573 Mocci Mauro

1) Preso atto della già intervenuta riunione dei due giudizi, la Corte deve senz’altro procedere all’esame della fase rescindente del procedimento di revocazione dell’ordinanza 11890 del 2021, affidata a due motivi.

1.a) Col primo motivo, ENEL Produzione lamenta l’errore di fatto, in relazione agli artt. 395 bis n. 4 e ss. c.p.c., giacché, pur avendo ritualmente iscritto e notificato il ricorso avverso la sentenza n. 5054/19 della Corte d’appello di Roma, il conseguente controricorso con ricorso incidentale è stato iscritto – con diverso R.G. n. 22100/2020 - come proposto contro una diversa sentenza di appello (n. 5454/19). Tale errore di fatto avrebbe determinato la Corte alla falsa percezione del mancato deposito del ricorso principale, anche per la differente intestazione della controricorrente (ASBUC Casale S. Nicola), rispetto all’indicazione della sentenza impugnata (AS Casale San Nicola).

1.b) Mediante il secondo motivo, viene riproposto l’assunto dell’errore di fatto, sempre in riferimento agli artt. 395 bis n. 4 e ss. c.p.c., in quanto l’ordinanza impugnata avrebbe patito l’erronea percezione del mancato deposito del ricorso principale. Infatti, lo stesso atto dell’ASBUC avrebbe dimostrato l’intervenuta notifica di un ricorso principale, proposto da ENEL Produzione. 

1.c) I due rilievi, che possono essere scrutinati congiuntamente a cagione della loro connessione logico-giuridica, meritano di essere accolti.

1.c.1) Il ricorso della ENEL Produzione s.p.a., portato contro la sentenza della Corte d’appello di Roma 23 luglio 2019 n. 5054, era stato notificato il 10 febbraio 2020 e depositato il 27 febbraio 2020, recando R.G. n. 7015/2020. In data 2 marzo 2020 era stato poi notificato il controricorso con ricorso incidentale della ABSUC Casale San Nicola, per resistere al quale ENEL Produzione ha notificato controricorso il 29 maggio 2020. Il controricorso con ricorso incidentale della ABSUC Casale San Nicola, giacché erroneamente indicava come impugnata la sentenza della Corte d’appello di Roma 23 luglio 2019 n. 5454, è stato iscritto con diverso R.G. n. 22100/2020. Su questo ultimo procedimento ha pronunciato l’ordinanza 6 maggio 2021, n. 11890.

1.c.2) E’ noto come l'errore di fatto che legittima la revocazione delle sentenze della Corte di cassazione consiste in un'erronea percezione dei fatti di causa, che, oltre a dover rivestire i caratteri dell'assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, nonché quelli dell'essenzialità e della decisività ai fini della decisione, deve riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, e cioè quegli atti che la Corte deve e può esaminare direttamente con propria indagine di fatto all'interno dei motivi di ricorso, e deve incidere unicamente sulla sentenza di legittimità, in quanto, qualora fosse configurabile come causa determinante della pronuncia impugnata in cassazione, il correlato vizio potrebbe essere fatto valere esclusivamente con i rimedi proponibili contro la sentenza di merito (Sez. U., n. 31032 del 27 novembre 2019; Sez. 5, n. 602 del 12 gennaio 2018).

1.c.3) Qualora l'atto difensivo depositato dalla parte sia stato falsamente rappresentato, e sia pertanto rimasto oggetto di un errore di percezione da parte del giudicante, avendo ciò comportato che la decisione assunta sia stata fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure sull'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, ricorre il vizio revocatorio di cui all'art. 395 n. 4 c.p.c. (Sez. 5, n. 25752 del 1° settembre 2022). In particolare, costituiscono atti interni quelli conseguenti alla proposizione ed al deposito del ricorso ex art. 369, primo comma, cod. proc. civ., nonché al controricorso con eventuale ricorso incidentale. Può pertanto dirsi configurabile l'errore di fatto di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c. in caso di inserimento del ricorso ritualmente depositato dalla parte interessata, per disguido non imputabile alla parte stessa, in un diverso fascicolo d'ufficio.

2) Deve dunque essere introdotta la fase rescissoria, costituita dall’esame dei motivi di ricorso principale e dei motivi di ricorso incidentale.

2.a) Per ragioni sistematico-espositive, contenendo il primo motivo dedotto da ABSUC Casale San Nicola una questione pregiudiziale, va esaminato con priorità il ricorso incidentale, del quale la ricorrente principale predica la tardività, rispetto alla data di deposito della sentenza (23 luglio 2019).

2.a.1) Il rilievo è però da disattendere. L’orientamento ormai prevalente – inaugurato dalle Sezioni unite di questa Corte con le due decisioni n. 24627 del 27 novembre 2007 e n. 18049 del 4 agosto 2010 - ed a cui questo collegio ritiene di prestare adesione è nel senso che, sulla base del principio dell'interesse all'impugnazione, l'impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che l'impugnazione principale metta in discussione l'assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale il coobbligato solidale aveva prestato acquiescenza; conseguentemente, è ammissibile, sia quando rivesta le forme della impugnazione rivolta contro il ricorrente principale, sia quando rivesta le forme della impugnazione adesiva rivolta contro la parte investita dell'impugnazione principale, anche se fondata sugli stessi motivi fatti valere dal ricorrente principale, atteso che, anche nelle cause scindibili, il suddetto interesse sorge dall'impugnazione principale, la quale, se accolta, comporterebbe una modifica dell'assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate dal coobbligato solidale (Sez. 3, n. 26139 del 5 settembre 2022; Sez. 3, n. 25285 dell’11 novembre 2020; Sez. 3, n. 14596 del 9 luglio 2020; Sez. 6- 2, n. 5876 del 12 marzo 2018; Sez. 2, n. 1879 del 25 gennaio 2018; Sez. 1, n. 23396 del 16 novembre 2015).

2.a.2) L’opinione contraria, secondo cui le regole sull'impugnazione tardiva, sia ai sensi dell'art. 334 c.p.c., che in base al combinato disposto di cui agli artt. 370 e 371 c.p.c., operano esclusivamente per il ricorso incidentale in senso stretto e, cioè, proveniente dalla parte contro cui è stata proposta l'impugnazione principale e non anche per quello che abbia contenuto adesivo al ricorso principale - neppure ove contenga censure aggiuntive rispetto a quest'ultimo – pur autorevolmente sostenuta, è rimasta minoritaria (Sez. 2, n. 41254 del 22 dicembre 2021; Sez. 3, n. 17614 del 24 agosto 2020).

3) L’ASBUC Casale San Nicola ha proposto due motivi di ricorso incidentale. 3.a) Attraverso il primo, sostiene la violazione e falsa interpretazione di legge, ai sensi degli artt. 32 l n. 1766/1927, 33 l. n. 150/2011, 2 l. n. 1078/1930, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Nel caso di specie, il Commissario per gli usi civici aveva provveduto d’ufficio a notificare alle parti la propria sentenza, e tale atto non avrebbe potuto essere scambiato con la comunicazione di cancelleria del dispositivo, abrogata dal D.L. n. 150/2011. Conseguentemente, avrebbe errato la Corte d’appello nel ritenere Corte di Cassazione - copia non ufficiale 8 di 17 che detta notifica fosse priva di rilievo, ai fini del computo del termine per la notifica dell’impugnazione.

3.b) Mediante il secondo, afferma la violazione e falsa interpretazione dell’art. 29 l. n. 1766/1927, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. In virtù del sistema disegnato dal legislatore, ai Commissari sarebbe consentito di iniziare e proseguire il giudizio, anche in deroga al principio della domanda, di assumere prove anche oltre l’onere delle parti e di modificare la domanda stessa, salvo solo il rispetto del principio del contraddittorio. La Corte d’appello avrebbe dunque errato nel reputare non consentita, nel giudizio demaniale, l’ultra e l’extra petizione.

3.c) Orbene, il primo motivo del ricorso incidentale ipotizza la tardività del reclamo proposto da ENEL Distribuzione avanti la Corte d’appello di Roma. Il suddetto motivo è infondato.

3.c.1) A prescindere dal fatto che le affermazioni ivi contenute circa la notifica della sentenza integrale, a mezzo di Ufficiale Giudiziario e ad opera dello stesso Commissario per gli usi civici, sono prive di qualunque indicazione di dettaglio o riscontro – il che confina la censura ai limiti dell’inammissibilità – in ogni caso giova considerare come l’abrogazione dell’art. 2 della legge 10 luglio 1930 n. 1978, ad opera dell’art. 34 punto 42 del D. Lgs. n. 150/2011, abbia ricondotto la procedura di reclamo avverso le decisioni dei Commissari regionali per la liquidazione degli usi civici nell’alveo generale delle notifiche delle impugnazioni contro le pronunzie di natura giurisdizionale emesse da un organo monocratico di prima istanza. In tal senso, deve reputarsi superata quella giurisprudenza secondo cui, nel vigore della legge 10 luglio 1930 n. 1078, la notificazione della sentenza avrebbe dovuto essere assimilata, a norma dell'art. 2 della citata legge, alla comunicazione a mezzo del servizio postale del dispositivo della sentenza a cura della cancelleria, mentre la notifica della sentenza ad istanza delle parti non sarebbe stata idonea a far decorrere il termine breve per impugnare (Sez. U., n. 21193 del 5 ottobre 2009; Sez. 2, n. 6165 del 16 marzo 2007).

3.c.2) Il legislatore ha dunque inteso ricomprendere anche il procedimento di reclamo avverso le sentenze del Commissario agli usi civici nel sistema generale delle impugnazioni, come delineato dagli artt. 325 e 327 c.p.c., con la conseguenza che la notifica, ad opera dello stesso Commissario, della decisione integrale costituisce attualmente una procedura extra ordinem e non può determinare gli effetti di cui all’art. 325 c.p.c., che invece necessitano di un’iniziativa delle parti.

Va allora enunciato il seguente principio di diritto: “Il procedimento di reclamo avverso le decisioni del Commissario agli usi civici va inquadrato nel sistema generale delle impugnazioni, sicché il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. decorre unicamente dalla notificazione della sentenza ad opera delle parti”.

3.d) Anche la seconda doglianza del ricorso incidentale è destituita di fondamento. Assume la ABSUC Casale San Nicola sostanzialmente che, fra i poteri d’ufficio del Commissario per gli usi civici, rientrerebbe anche la facoltà di modificare (ed ampliare) la domanda delle parti.

3.d.1) Osserva questo Collegio che, in mancanza di precedenti specifici rilevanti posteriori all’entrata in vigore della Costituzione – atteso il valore generale del principio di cui all’art. 111 comma 2° (“Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo ed imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”) – neppure la Consulta ha avuto modo di occuparsi direttamente dei poteri commissariali. L’unica sentenza che tratta di tale materia (n. 46 del 1° marzo 1995) riconosce peraltro solo poteri di impulso processuale officioso (come accade per il Pubblico Ministero, ai sensi dell’art. 69 c.p.c.) e non incide, nel processo civile, sull’oggetto e sul contenuto della domanda, che restano legate alla sola iniziativa di parte, ex art. 112 c.p.c. 3.d.2) Pertanto, non è possibile ipotizzare una potestà commissariale che si spinga addirittura a modificare, motu proprio, la richiesta della parte, senza – fra l’altro – neppure l’assegnazione di termini per memorie contenenti eventuali osservazioni (art. 101 comma 2° c.p.c.), il che costituirebbe senz’altro un vulnus proprio del principio costituzionale di cui sopra. Deve dunque essere enunciato il seguente principio di diritto: “I poteri officiosi del Commissario agli usi civici, nel processo civile, non possono incidere sull’oggetto e sul contenuto delle domande, che restano una prerogativa delle parti, ai sensi dell’art. 112 c.p.c.”

4) Va allora esaminato il ricorso principale.

4.a) Attraverso la prima censura, la ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 840 c.c., in relazione agli artt. 100 e 112 c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 l. 16 giugno 1927 n. 1766 e dell’art. 3 l. 10 luglio 1930 n. 1978, come modificati dal D. Lgs. 150/2011, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. Afferma che l’accertamento della demanialità sarebbe stato fatto derivare da una CTU incompleta, laddove il motivo di reclamo era volto ad evidenziare il difetto di interesse avversario a far accertare la natura delle terre occupate (c.d. qualitas soli), rispetto ad un canale sotterraneo di m. 1,50 di diametro. Infatti, l’accertamento circa la profondità dell’interramento sarebbe stato determinante, anche ai fini dell’estensione verticale dello ius opponendi del proprietario. La predetta doglianza è fondata.

4.a.1) Al motivo di gravame che assumeva l’irrilevanza dell’interesse dei cittadini all’accertamento del demanio civico rispetto a servizi collocati nel sottosuolo, la Corte d’appello ha replicato che “pur avendo il CTU evidenziato che alcuni tratti del canale di gronda corrono sotterranei, indicandone specificamente le particelle, non ha però indicato a quale profondità questi sono posti, mentre a pag. 68 della relazione peritale ha precisato che il canale di gronda – avente una tubatura del diametro di ml. 1,50 – costituisce pur sempre un’occupazione sia nei tratti in cui corre emersa che nei tratti in cui è sotterranea”.

4.a.2) La risposta è evidentemente tautologica e frutto di una lettura assiomatica della consulenza tecnica, anche perché non risulta quale sarebbe stata la menomazione del godimento e dell’utilizzo del fondo, secondo la naturale destinazione dello stesso, che sarebbe derivata dalla presenza interrata dei cavi. In altri termini, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto approfondire la questione – anche a mezzo di un ‘integrazione dell’elaborato peritale - in linea con la giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui, una volta che il proprietario non possa opporsi, ai sensi dell'art. 840, comma 2° c.c., ad attività di terzi che si svolgano a profondità od altezza tali che egli non abbia interesse ad escluderle, ove ritenga di contestarle, è suo onere dimostrare che dette attività gli arrechino un pregiudizio, da intendere non in astratto, ma in concreto, avuto riguardo alle caratteristiche ed alla normale destinazione, eventualmente anche futura, del fondo (Sez. 2, n. 4664 del 28 febbraio 2018; Sez. 2, n. 33131 del 29 novembre 2023).

4.b) Con il secondo mezzo d’impugnazione, ENEL Produzione deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 l. 16 giugno 1927 n. 1766 e dell’art. 3 l. 10 luglio 1930 n. 1978, come modificati dal D. Lgs. 150/2011, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. Lamenta che non sia stata disposta l’integrazione o il rinnovo della CTU, a fronte dell’equivoco ingenerato dalla perizia, che aveva escluso la natura demaniale delle particelle fg. 31 nn. 235 e 242 e fg. 38 n. 16, dichiarate invece demaniali dalla sentenza impugnata.

4.b.1) Merita accoglimento pure il secondo motivo del ricorso principale. Anche in questo caso, a fronte della censura dell’ENEL circa l’accertamento, da parte del Commissario, della natura demaniale delle particelle censite al fg. 31 nn. 235 e 242 ed al fg. 38 n. 16, che il CTU aveva invece specificato essere state inserite nel ricorso erroneamente, la Corte d’appello ha offerto una risposta criptica e generica. Ha infatti affermato “La doglianza è infondata in quanto, a prescindere dal fatto che non è dato comprendere il motivo per cui il CTU ha dichiarato le particelle ” non in grassetto particelle presenti nel ricorso erroneamente”, le particelle oggetto della doglianza risultano indicate nella relazione del CTU in grassetto e non quali particelle non in grassetto per cui devono ritenersi “particelle presenti nel ricorso”. E’ evidente che, in tal modo, è stata elusa la questione sollevata con il reclamo e volta ad accertare la presenza o no nell’originario ricorso e la natura (demaniale o meno) delle particelle considerate.

4.c) La terza doglianza si appunta sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 12 l. 1766/1927, della l. n. 2559/1865 e del D.P.R. n. 327/01, come modificato dall’art. 74 l. n. 221/2015, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. La sentenza impugnata avrebbe erroneamente assimilato i beni di uso civico ai beni demaniali, tanto più che né la legge sugli usi civici né la legge in materia di espropriazione per pubblica utilità avrebbero escluso dall’espropriazione le terre di uso pubblico, anche senza necessità di un preventivo provvedimento di mutamento della destinazione. In ogni caso, la dichiarazione di pubblica utilità sarebbe intervenuta con D.P.R. 30 giugno 1951 n. 3491/5448 e dunque non di fatto. Solo col D.P.R. n. 327/2001, come modificato dalla legge n. 221/2015, l’espropriazione per Corte di Cassazione - copia non ufficiale 13 di 17 pubblica utilità dei terreni di uso civico sarebbe stata sottoposta al preventivo procedimento di mutamento di destinazione, naturalmente per il periodo successivo all’entrata in vigore della legge.

4.c.1) Il terzo motivo è infondato. n. 1766 del 1927 “Per i terreni di cui alla lettera a) [ si osserveranno le norme stabilite nel capo 2° del titolo 4° del R. decreto 30 dicembre 1923, n. 3267. I Comuni e le associazioni non potranno, senza l'autorizzazione del Ministero dell'economia nazionale, alienarli o mutarne la destinazione”. 4.c.2) Pertanto, per i beni appartenenti al “demanio civico”, la modifica della qualificazione avrebbe dovuto presupporre o l’alienazione previa autorizzazione del Ministero dell’Economia nazionale o il mutamento di destinazione, ai sensi dell’art. 12 l. n. 1766/1927 e degli artt. 39 e 41 del Regolamento di attuazione n. 332/1928 di tale legge. Sarebbe stato dunque necessario un formale provvedimento di sdemanializzazione, espressamente richiesto dalla legge, ex art. 12 l. n. 1766/27 e artt. 39 e 41 Reg. n. 332/1928.

4.c.3) La tesi di ENEL Produzione che il predetto provvedimento non fosse necessario, giacché il decreto di dichiarazione di pubblica utilità e espropriazione avrebbe determinato l’estinzione dei diritti d’uso civico gravanti sui beni espropriati, non trova consenso in giurisprudenza. Giova in proposito richiamare Sez. 3, n. 19792 del 2011, la quale, ancorché concerna il processo esecutivo, ha significativamente sostenuto “i beni gravati da uso civico non sono suscettibili di espropriazione forzata: l'incommerciabilità derivante dalle suddette norme della legge nazionale comporta come inevitabile conseguenza che, al di fuori dei più o meno rigorosi procedimenti di liquidazione dell'uso civico e prima del loro formale completamento, la preminenza di quel pubblico interesse che ha impresso al bene immobile il vincolo dell'uso civico stesso ne vieti qualunque circolazione, compresa quella derivante dal processo esecutivo.” Per pervenire alle suddette conclusioni, la predetta sentenza muove da considerazioni di carattere generale: “In giurisprudenza è corrente l'assimilazione del bene gravato da uso civico a quello demaniale, talvolta con semplice avvicinamento del relativo regime (Cass. 12 ottobre 1948, n. 1739; Cass. 12 dicembre 1953, n. 3690), più spesso con una equiparazione tendenzialmente piena (Cass. 8 novembre 1983, n. 6589; Cass. 28 settembre 1977, n. 4120; Cass. 15 giugno 1974, n. 1750).

10. Il regime di circolazione di tali beni prevede rigorose limitazioni:

10.1. è principio consolidato che l'espressa previsione dell'inalienabilità, per entrambe le categorie di terreni e prima del completamento dei procedimenti di liquidazione o cd. sclassificazione, connota il regime giuridico dei beni di uso civico dei caratteri propri della demanialità, sicché detti beni sono da reputarsi inalienabili ed incommerciabili, nonché insuscettibili di usucapione;

10.2 nella giurisprudenza di merito sembra prevalente l'interpretazione per la quale detti beni sono insuscettibili di pignoramento e di espropriazione forzata, "eccezion fatta se la loro alienazione non venga fatta oggetto di espressa autorizzazione nei casi e nei modi di legge (art. 12 legge 16 giugno 1927, n. 1766; art. 39 r.d. 26 febbraio 1928, n. 332) o, per i terreni sfruttabili per la coltura agraria, che non sia già effettuata l'affrancazione del canone enfiteutico da parte degli assegnatari ai sensi dell'art. 21 1. 16 giugno 1927, n. 1766” (v. Comm. Usi Civici Lazio 4 giugno 1981, che ha affermato altresì doversi dichiarare la nullità delle aggiudicazioni a seguito di espropriazione forzata; Comm. Usi Civici Emilia-Romagna 29 aprile 1994);

10.3. la giurisprudenza di legittimità affronta la problematica del regime dei beni gravati da uso civico sotto il profilo dell'assoluta ed insanabile nullità degli atti, che quelli hanno ad oggetto, posti in essere in violazione del divieto di alienazione, ad esempio in materia di concessione in enfiteusi per i beni suscettibili di sfruttamento agrario (Cass. 15 giugno 1974, n. 1750), o in materia di legittimazione ai sensi dell'art. 9 della legge n. 1766 del 1927 (Cass. 8 novembre 1983, n. 6589); ed afferma in modo netto che la cessione tra privati di beni comunali soggetti ad uso civico, quali quelli di cui alla cat. a) ("terreni convenientemente utilizzabili come bosco o come pascolo permanente", che non possono essere alienati neppure dall'ente pubblico, se non con l'autorizzazione della Regione) ed alla cat. b) (di cui agli artt. 11, 13 e 21, rispettivamente "terreni convenientemente utilizzabili per la coltura agraria", "terreni di cui alla lettera B dell'art. 10, destinati ad essere ripartiti, secondo un piano tecnico di sistemazione fondiaria e di avviamento colturale, fra le famiglie dei coltivatori diretti del comune o della frazione" ed "unità fondiarie abbandonate o devolute, riassegnate ex artt. 13 e 19") dell'art. 11 della legge n. 1766 del 1927 è nulla (non già per illiceità bensì) per impossibilità dell'oggetto o per contrasto con norma imperativa (tra le altre, v.: Cass. 3 febbraio 2004, n. 1940; Cass. 22 novembre 1990, n. 11265);”. 4.c.4) Né può essere fondatamente richiamata la sentenza n. 391/89 della Corte Costituzionale, che aveva riguardo ad una disciplina settoriale della Regione Piemonte ed a beni insuscettibili di mutare la loro funzione pubblica e dalla quale non si può dunque trarre l’esistenza di un principio generale, al fine della disapplicazione di un atto amministrativo.

4.c.5) Ad ogni modo, sul punto è intervenuta una recentissima pronunzia delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte – componendo un contrasto di interpretazione e risolvendo una questione di massima rilevanza, il che determina la manifesta infondatezza, ai fini della causa, del dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 12 l. n. 1766/1927, come sollevato nella memoria ex art. 380 bis c.p.c. - affermando che i diritti di uso civico gravanti su beni collettivi non possono essere posti nel nulla (ovvero considerati implicitamente estinti) per effetto di un decreto di espropriazione per pubblica utilità, poiché la loro natura giuridica assimilabile a quella demaniale lo impedisce, essendo, perciò, necessario, per l'attuazione di una siffatta forma di espropriazione, un formale provvedimento di sdemanializzazione, la cui mancanza rende invalido il citato decreto espropriativo che implichi l'estinzione di eventuali usi civici di questo tipo ed il correlato trasferimento dei relativi diritti sull'indennità di espropriazione (Sez. U., n. 12570 del 10 maggio 2023).

4.d) La quarta censura si focalizza sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 840 c.c., degli artt. 11 e 12 l. 1766/1927, della l. n. 2559/1865, del D.P.R. n. 327/2001, dell’art. 32 l. 16 giugno 1927 n. 1766 e dell’art. 3 l. 10 luglio 1930 n. 1978, ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. In buona sostanza, secondo la ricorrente principale, la Corte d’appello non avrebbe valutato, allo stato degli atti, se l’opera pubblica e di pubblica utilità realizzata, interrata, fosse incompatibile con l’esercizio degli usi civici, e, qualora non in grado di decidere allo stato degli atti, avrebbe erroneamente evitato di disporre la rinnovazione della consulenza tecnica. La predetta lagnanza resta assorbita dall’accoglimento del primo e del secondo motivo del ricorso

5) In definitiva, il ricorso incidentale va rigettato, mentre vanno accolti il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, rigettato il terzo e dichiarato assorbito il quarto. La sentenza di cui al ricorso va cassata in relazione alle censure accolte ed il giudice del rinvio, che si designa nella Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, provvederà ad accertare se le parti di cavo interrate determinino una qualche limitazione del godimento delle corrispondenti particelle del fondo soggetto ad uso pubblico e chiarisca – anche mediante un supplemento della consulenza tecnica d’ufficio – se le particelle fg. 31 nn. 235 e 242 e fg. 38 n. 16 abbiano o no natura demaniale. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ABSUC Casale San Nicola, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P. Q. M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso incidentale, accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, rigettato il terzo e dichiarato assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione