Giu In tema di cessioni intracomunitarie, l’assenza e “a fortiori” l’erroneità dell’indicazione del “VAT number” del cessionario in fattura non possono comunque impedire l’individuazione del (o di un diverso) cessionario effettivo
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 25 marzo 2024 N. 8020
Massima
In tema di cessioni intracomunitarie, il “VAT number” del cessionario è sicuramente un elemento essenziale della fattura, ma, con riferimento alla normativa in vigore fino a tutto il 2019, prima, cioè, della Dir. 2018/1910/UE, l’assenza e “a fortiori” l’erroneità dell’indicazione del “VAT number” del cessionario in fattura non possono comunque impedire l’individuazione del (o di un diverso) cessionario effettivo, atteso che il “VAT number”, secondo gli insegnamenti della Corte di giustizia dell’Unione europea, rappresenta soltanto un requisito formale, subvalente rispetto all’accertamento (che integra un giudizio di fatto rimesso all’esclusiva competenza del giudizio di merito) della sussistenza dei requisiti sostanziali.

Casus Decisus
1. A seguito di pvc in data 26/11/2012 dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, G.F. s.r.l., esercente l'attività di commercio al dettaglio di prodotti per l'agricoltura ed il giardinaggio, era attinta da tre avvisi di accertamento relativamente agli anni di imposta 2008, 2009 e 2010, mediante i quali l’Ufficio le contestava di aver acquistato (per rivenderle) merci da operatori unionali omettendo di dichiarare i redditi corrispondenti, di versare l’Iva e di compilare il modello Intra 2. 2. La contribuente presentava impugnazione con un unico ricorso. 2.1. Eccepiva, tra l’altro, di non avere mai effettuato acquisti comunitari, invece compiuti da C.F. s.r.l., sussistendo un errore di compilazione del modello Intrastat, commesso dalla fornitrice olandese S.. 2.2. La CTP di Salerno, con la sentenza n. 3336/10/14 del 19/05-29/07/2014 respingeva il ricorso, rilevando che le fatture prodotte dalla contribuente, pur se intestate a C.F., indicavano tutte il “VAT number” della contribuente, con la conseguenza che "le operazioni commerciali fatturate a nome della C.F. [erano], in realtà, da attribuire alla G.F. srl". 3. La contribuente proponeva appello, accolto dalla CTR della Campania con la sentenza in epigrafe sulla base della seguente motivazione: La gravata decisione, così come la difesa erariale, parte da una premessa di fondo errata: che le risultanze patrimoniali del più volte mentovato V.A.T. number – corrispondente […] al numero di partita IVA nostrano - abbia valenza fiscale presuntiva assoluta, nel senso di escludere qualsivoglia prova contraria da parte del contribuente. Tale tesi, peraltro neanche suffragata da alcuna norma di diritto positivo che espressamente attribuisca siffatto valore probatorio alla circostanza, reca in sé una ingiustificabile e irrazionale compressione oltre misura del diritto di difesa in giudizio del contribuente, anche costituzionalmente tutelato (art. 24 Cost.), posto che, di fronte ad errori materiali del tipo di quelli denunciati dall'appellante, costui non potrebbe in alcun modo dimostrare di non essere il reale committente della merce, ma la mera vittima di una scorretta gestione della fatturazione da parte della ditta fornitrice dei beni strumentali all'esercizio dell’impresa. Ovviamente, una siffatta interpretazione della normativa fiscale in tema di dichiarazione IVA e di registrazione in contabilità delle fatture passive non può essere in alcun modo avallata, sicché, a fronte della prova giudiziale dell'errore, dovrà essere riconosciuta l'insussistenza dell'obbligo di dichiarazione e di registrazione in questione. Nella specie, l'appellante ha in primo grado fornito ampia ed esaustiva documentazione atta a dimostrare che non essa, bensì la s.r.l. C.F. era la corretta destinataria delle fatture in parola, in quanto acquirente della merce, ad onta dell'erronea indicazione del V.A.T. number, riconducibile alla G.F. […]. Depone inequivocabilmente, in tal senso, un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti, atti a minare irreversibilmente la fondatezza dell'assunto da cui parte l'accertamento, ovvero: la discrasia, riscontrabile nelle fatture di vendita, tra il destinatario delle stesse (correttamente individuato nella società C.F.) e il numero di partita IVA (appartenente alla G.F.); la registrazione delle fatture medesime nei registri contabili della C.F. (e non già della G.F.); l'avvenuto pagamento delle forniture da parte della formale intestataria delle fatture e non già dell'appellante. Di fronte a questa mole di indizi, non poteva trincerarsi l'Amministrazione Finanziaria dietro il comodo argomento formale della diversa e prevalente indicazione del numero di partita IVA […], ma avrebbe dovuto verificare diversamente chi fosse il reale destinatario della merce, soggetto passivo dell'IVA. 4. Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con un motivo. Resiste la contribuente con controricorso.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 25 marzo 2024 N. 8020 FEDERICI FRANCESCO

1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia: “Violazione dell'art. 2729 c.c., dell'art. 2697 c.c. e dell'art. 115, comma 1, c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”.

1.1. “La sentenza della C.T.R. viola l'art. 2729 c.c. allorché nega valore di presunzione precisa, univoca e concordante, alla circostanza della indicazione del numero VAT 0381324065 riferibile alla G.F. srl (e non alla C.F. srl) sulle fatture emesse dall'operatore commerciale olandese S.. Al contrario, tale circostanza andava unita con l'altra, precisa e concordante, costituita dal fatto che il signor Antonio M. era anche il legale rappresentante della G.F. (cfr. pag. 1 del p.v.c. della Agenzia delle Dogane del 26.11.2012, prodotto dall'Ufficio con le controdeduzioni avanti alla C.T.P. di Salerno) e che le fatture prodotte dalla contribuente […] ed esaminate dalla C.T.R. erano tutte indirizzate a "Mr. A. M.", presso l'indirizzo di posta elettronica "toninoM. ...". “Il signor Antonio M., per le predette annualità[,] era stato il legale rapp[resentan]te della società G.F. s.r.l., società ricorrente, nonché titolare di una quota di partecipazione qualificata pari al 95%”. “Ed in tutte le fatture susseguitesi nei tre anni dal 2008 al 2010 il venditore olandese - che è un professionista esportatore - avrebbe sempre commesso l'errore di sbagliare il ‘VAT number’; tale tesi non è credibile dal momento che, se fosse stato vero che il reale acquirente era la C.F. srl, accortasi dell'errore[,] certamente quest'ultima lo avrebbe fatto correggere nelle fatture successive! Ma ciò non è stato, pur essendo il controllore di tali fatture il medesimo rappresentante legale sia della G.F. srl, che della C.F. srl”. “È proprio il numero VAT l'elemento che consente l'identificazione dell'operatore acquirente, qualunque possa essere la denominazione usata sulla fattura”.

2. Preliminarmente è a rilevarsi come il ricorso si sottragga ai rilievi di inammissibilità mossi in controricorso. Esso, infatti, contenendo essenziali, ma sufficienti, richiami agli atti del procedimento e del processo, individua con precisione le “rationes decidendi” ritenute non condivisibili ed articola le censure in diritto, con pertinente evocazione delle norme violate. Né, in particolare, corrisponde al vero che si sia in presenza di un ricorso inframmezzato da atti eterogenei: dopo lo svolgimento delle censure, e prima delle conclusioni, sono semplicemente fotoriprodotte alcune delle fatture ed il p.v.c.; tuttavia non v’è alcun rimando del tenore letterale del ricorso alle une ed all’altro, anzi di per sé descritti e riportati relativamente ai contenuti salienti; siffatta fotoriproduzione, piuttosto, pare rispondere all’intenzione di fornire visiva ed immediata evidenza dei documenti in parola (già pacificamente acquisiti agli atti dei precedenti gradi di giudizio).

3. Fermo quanto precede, il motivo è, tuttavia, infondato.

4. Occorre una breve ricostruzione diacronica del quadro normativo.

4.1. A termini dell’art. 226, nn. 3 e 4, Dir. 2006/112/CE, l’indicazione in fattura del “VAT number”, di cui al precedente art. 214, par. 1, costituisce bensì elemento precipuo di identificazione, tuttavia, di norma, non del cessionario, sibbene del cedente, salvo che il cessionario sia gravato del pagamento dell’imposta per effetto dell’applicazione del regime dell’inversione contabile ovvero benefici di esenzione. Un tanto emerge con chiarezza dal dettato dell’articolo in questione, a termini del quale, salv[e] le disposizioni speciali previste dalla presente direttiva, nelle fatture emesse a norma degli articoli 220 e 221 sono obbligatorie ai fini dell'IVA soltanto le indicazioni seguenti: 3) il numero di identificazione IVA, di cui all'articolo 214, con il quale il soggetto passivo ha effettuato la cessione di beni o la prestazione di servizi; 4) il numero d'identificazione IVA dell'acquirente o del destinatario, di cui all'articolo 214, con il quale ha ricevuto una cessione di beni o una prestazione di servizi per la quale è debitore dell'imposta o una cessione di beni di cui all'articolo 138 [in tema di esenzioni]. Diversamente, giusta il n. 5 dell’art. 226 medesimo, devono essere obbligatoriamente indicati 5) il nome e l'indirizzo completo del soggetto passivo e dell'acquirente o del destinatario.

4.2. Alla stregua di quanto innanzi, dunque, è sinteticamente a rilevarsi che, nel diritto unionale, il “VAT number” è elemento essenziale della fattura al fine dell’individuazione del soggetto debitore d’imposta.

4.3. In specifico riguardo alle cessioni intracomunitarie, quali quelle che vengono in rilievo nel presente giudizio, occorre distinguere tra la situazione successiva e quella anteriore al 1° gennaio 2020. 4.3.1. Successivamente al 1° gennaio 2020, infatti, per effetto delle modifiche alla Dir. 2006/112/CE apportate dalla Dir. 2018/1910/UE (e, per quanto di ragione, recepite in Italia dall’art. 1, comma 1, lett. b, D.Lgs. n. 192 del 2021, che ha introdotto il comma 2-ter nell’art. 41 d.l. n. 331 del 1993 conv. con mod. dalla l. n. 427 del 1993), il “VAT number” del cessionario assume espressamente rilevanza di condizione sostanziale per la tassazione nel Paese di destinazione. Infatti, l’art. 138, par. 1, Dir. 2006/112/CE, in tema di condizioni di esenzione delle cessioni intracomunitarie, è stato rivisto nel senso di prevedere che gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti/trasportati in altro Stato membro, non solo se i beni sono ceduti ad un altro soggetto passivo, o ad un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione/trasporto dei beni ha inizio, ma altresì se il soggetto passivo od un ente non soggetto passivo destinatario della cessione è identificato ai fini dell’IVA in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione/trasporto dei beni ha inizio e ha comunicato al cedente tale numero di identificazione. Peraltro, il novello par. 1-bis dell’art. 138 in disamina soggiunge che l’esenzione non si applica qualora il cedente non abbia rispettato l’obbligo di presentare l’elenco riepilogativo o l’elenco riepilogativo presentato non riporti le informazioni corrette riguardanti la cessione, salvo che possa debitamente giustificare la violazione secondo modalità ritenute soddisfacenti dalle Autorità competenti.

4.3.2. Anteriormente al 1° gennaio 2020, periodo rilevante ai fini del giudizio che ne occupa, ferma l’essenzialità dell’indicazione, nella fattura emessa per operazione intracomunitaria, del “VAT number” del cessionario sulla base dello stesso art. 226, n. 4, Dir. 2006/112/CE, tuttavia la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, pur in riferimento alle condizioni di esclusione del cedente dal beneficio dell’esenzione dall’IVA, era volta a sostenere che la prova della soggettività passiva del destinatario di beni trasportati o spediti da altro Stato membro non potesse dipendere solo dalla comunicazione del “VAT number” dal predetto effettuata al cedente in vista dell’emissione della fattura, dovendo accordarsi preminenza ai requisiti sostanziali dell’operazione.

4.3.2.1. Leggesi, ad es., in CGUE, 6 settembre 2012, in causa C-273/11, Mecsek-Gabona Kft, punti da 58 a 61. 58 Da una parte, la direttiva 2006/112 in forza del suo articolo 214, paragrafo 1, lettera b), impone agli Stati membri di prendere i provvedimenti necessari affinché ogni soggetto passivo che effettua acquisti intracomunitari sia identificato tramite un numero individuale. D’altra parte, tale direttiva impone, ai sensi del suo articolo 226, punto 4, che nella fattura, che deve sempre essere emessa nel caso di una cessione intracomunitaria, sia obbligatoriamente indicato il numero di identificazione IVA dell’acquirente, con il quale quest’ultimo ha ricevuto una cessione di beni prevista all’articolo 138 della direttiva di cui trattasi.

59 Tuttavia, né la formulazione dell’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva 2006/112 né la giurisprudenza […] indicano, tra le condizioni sostanziali di una cessione intracomunitaria tassativamente elencate, l’obbligo di disporre di un numero d’identificazione IVA.

60 Indubbiamente, l’attribuzione di un siffatto numero fornisce la prova dello status fiscale del soggetto passivo ai fini dell’applicazione dell’IVA e agevola il controllo tributario delle operazioni intracomunitarie. Tuttavia, si tratta di un requisito formale che non può mettere in discussione il diritto all’esenzione dall’IVA qualora ricorrano le condizioni sostanziali di una cessione intracomunitaria (v., per analogia, per quanto riguarda il diritto a detrazione, sentenze del 21 ottobre 2010, Nidera Handelscompagnie, C-385/09, Racc. pag. I-10385, punto 50, e del 22 dicembre 2010, Dankowski, C-438/09, Racc. pag. I-14009, punti 33 e 47).

4.3.2.2. Leggesi, ancor più eloquentemente, in CGUE, 27 settembre 2012, in causa C-587/10, Finanzamt Plauen, punti da 45 a 51:

45 [S]ubordinare essenzialmente il diritto all’esenzione dall’IVA di una cessione intracomunitaria al rispetto di obblighi di forma senza prendere in considerazione i requisiti sostanziali e, in particolare, senza porsi la questione se questi ultimi siano soddisfatti, eccederebbe quanto è necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta (v. sentenza Collée, cit., punto 29).

46 Infatti, il principio di neutralità fiscale esige che l’esenzione dall’IVA sia accordata se i requisiti sostanziali sono soddisfatti, anche se certi requisiti formali sono stati omessi da parte dei soggetti passivi, e la situazione sarebbe diversa solo se la violazione di requisiti formali siffatti avesse l’effetto di impedire la dimostrazione certa che i requisiti sostanziali sono stati soddisfatti (v. sentenza Collée, cit., punto 31), sempreché, tuttavia, il fornitore dei beni non abbia partecipato intenzionalmente ad una frode fiscale mettendo a repentaglio il corretto funzionamento del sistema comune dell’IVA. In quest’ultima ipotesi, infatti, la Corte ha dichiarato che il principio di neutralità fiscale non potrebbe essere validamente invocato da tale soggetto (v. sentenza R, cit., punto 54).

47 Sulla scorta di quanto precede risulta che gli Stati membri hanno la facoltà di esigere dai fornitori di beni di produrre la prova che l’acquirente è un soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato di partenza della spedizione o del trasporto dei beni di cui trattasi, purché i princìpi generali del diritto e, in particolare, il requisito di proporzionalità, siano rispettati.

48 […] 49 Tuttavia, tale prova non può dipendere in tutti i casi ed esclusivamente dalla comunicazione di detto numero, giacché la definizione del soggetto passivo, delineata dall’articolo 4, paragrafo 1, della sesta direttiva, si riferisce unicamente a chiunque eserciti in modo indipendente e in qualsiasi luogo una delle attività economiche di cui al paragrafo 2 di tale articolo, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività, senza subordinare tale status al fatto che il soggetto possieda un numero d’identificazione IVA. Risulta, inoltre, dalla giurisprudenza che il soggetto passivo agisce in questa qualità quando effettua operazioni nell’ambito della sua attività imponibile (v., in tal senso, sentenza del 12 gennaio 2006, Optigen e a., C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Racc. pag. I-483, punto 42).

50 Inoltre, non può escludersi che un fornitore non disponga, per una qualunque ragione, di detto numero, a fortiori dal momento che il rispetto di tale obbligo da parte del fornitore dipende dalle informazioni ricevute dall’acquirente. 51 Benché, quindi, il numero d’identificazione IVA fornisca la prova dello status fiscale del soggetto passivo ed agevoli il controllo delle operazioni intracomunitarie, si tratta tuttavia soltanto di un requisito formale che non può rimettere in discussione il diritto all’esenzione dall’IVA qualora ricorrano le condizioni sostanziali di una cessione intracomunitaria (v. sentenza del 6 settembre 2012, Mecsek-Gabona, C-273/11, punto 60).

4.3.2.3. Per completezza, rilevasi che la giurisprudenza unionale è ossequiata da quella interna (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 12455 del 28/05/2007, Rv. 599799-01, ripresa in motivazione da Sez. 8-5, Ordinanza n. 12455 del 28/05/2007 e da Sez. 5, Sentenza n. 26466 del 17/12/2014, secondo cui, in relazione a cessioni intracomunitarie, l’indicazione in fattura del codice identificativo del cessionario non è condizione della non imponibilità dell'operazione).

5. In definitiva, va enunciato il seguente principio di diritto: In tema di cessioni intracomunitarie, il “VAT number” del cessionario è sicuramente un elemento essenziale della fattura, ma, con riferimento alla normativa in vigore fino a tutto il 2019, prima, cioè, della Dir. 2018/1910/UE, l’assenza e “a fortiori” l’erroneità dell’indicazione del “VAT number” del cessionario in fattura non possono comunque impedire l’individuazione del (o di un diverso) cessionario effettivo, atteso che il “VAT number”, secondo gli insegnamenti della Corte di giustizia dell’Unione europea, rappresenta soltanto un requisito formale, subvalente rispetto all’accertamento (che integra un giudizio di fatto rimesso all’esclusiva competenza del giudizio di merito) della sussistenza dei requisiti sostanziali.

6. Nel caso di specie, la CTR si è attenuta ai superiori insegnamenti.

6.1. Essa – in fattispecie, rammentasi, anteriore al 1° gennaio 2020 – ha appurato l’effettiva identità della controparte della fornitrice olandese, che ha ritenuto di individuare in C.F. s.r.l., rilevando come il pagamento e la contabilizzazione delle fatture siano stati effettuati proprio da questa, altresì espressamente indicata come destinataria nelle fatture stesse, pur con il “VAT number” (perciò ritenuto erroneo) della contribuente: circostanze, quelle valutate dalla CTR, non illogicamente vocate a dimostrare la coincidenza tra la committenza (stante “a monte” l’indicazione della corretta denominazione sociale della destinataria nelle fatture) e l’assolvimento degli obblighi documentali ed economici (stanti “a valle” gli adempimenti successivi curati proprio dalla predetta).

6.2. A fronte di ciò, non ha pregio la doglianza dell’Agenzia circa il non aver la CTR soppesato l’intero apparato degli indizi acquisiti, compresi quelli offerti dall’Agenzia medesima, che aveva rilevato in contrario come il “dominus” delle due società (la contribuente e C.F. s.r.l.) coincidesse nella persona di un unico amministratore e come il preteso errore dell’emittente olandese della fattura si sia protratto per anni. Infatti, una tale censura, che non introduce elementi di per sé, in difetto di ulteriore contestualizzazione, indicativi di una frode, impinge su valutazioni esclusivamente fattuali, indeducibili nel giudizio di cassazione, quale momento di controllo della mera legalità degli atti impugnati.

7. Il ricorso va pertanto respinto, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle entrate a rifondere a G.F. s.r.l. le spese di lite, liquidate in euro 8.000, oltre euro 200 per esborsi, contributo forfettario in ragione del 15% ed accessori, se ed in quanto dovuti. Così deciso a Roma, lì 5 ottobre 2023.