Giu La valutazione dell'operazione economica "in base al valore normale" prescinde dalla capacità originaria dell'operazione di produrre reddito e, quindi, da qualsivoglia obbligo negoziale delle parti attinente al pagamento del corrispettivo
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - SENTENZA 19 marzo 2024 N. 7361
Massima
«la valutazione "in base al valore normale" prescinde dalla capacità originaria dell'operazione di produrre reddito
e, quindi, da qualsivoglia obbligo negoziale delle parti attinente al pagamento del corrispettivo (cfr. Linee guida OCSE sui prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le amministrazioni fiscali, paragrafo 1.2). Si tratta, infatti, di esaminare la sostanza economica dell'operazione intervenuta e confrontarla con analoghe operazioni realizzate, in circostanze comparabili, in condizioni di libero mercato tra soggetti indipendenti e valutarne la conformità a queste

Casus Decisus
1. S. Holding s.r.l., G.M. S. s.r.l., S.C. s.r.l. – nelle rispettive qualità la prima di controllante e le altre di controllate – ricorrono, con separati ricorsi ma di identico tenore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe. Con quest’ultima la C.t.r. ha rigettato l’appello dei contribuenti avverso la sentenza della C.t.p. di Milano che, previa riunione, aveva, a propri volta, rigettato i ricorsi proposti dalle tre società avverso gli avvisi di accertamento con i quali, per l’anno di imposta 2013, era stato accertato un maggior imponibile ai fini Ires. 2. L’Ufficio riteneva che nel rapporto di finanziamento intercorso tra le società controllate e le collegate estere – Polena s.a. con sede in Lussemburgo e S.C. n.v. con sede in Belgio – le prime avessero applicato tassi di interesse non rispondenti al valore normale di cui all’art. 9, comma 3, t.u.i.r. Per l’effetto, con separati avvisi di accertamento, recuperava a tassazione, per l’anno 2013, le maggiori somme imputate a titolo di interessi attivi astrattamente maturati sul capitale dato a credito, applicando un tasso medio del 3,83 per cento sui finanziamenti e del 5,32 per cento su prestiti obbligazionari. 3. La C.t.p., riuniti i ricorsi della controllante e delle controllate li rigettava con sentenza confermata in appello.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - SENTENZA 19 marzo 2024 N. 7361 CIRILLO ETTORE

1. Con il primo motivo, pregiudiziale, le società ricorrenti deducono il contrasto dell’art. 110, comma 7, t.u.i.r. con gli art. 49, 54 e 63 T.F.U.E. e, per l’effetto, chiedono il rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Rilevano che l‘art. 110, comma 7, t.u.i.r. prevede un’imposta sul reddito della controllante nell’ipotesi di finanziamento in favore delle controllate (nella specie con sede in Belgio e Lussemburgo), anche laddove ne abbiano pattuito in forma scritta l’infruttuosità, parametrato sul presunto reddito da interessi attivi secondo il valore normale; che, invece, l’art. 89 t.u.i.r., per la società controllante di società residenti, esclude la presunzione di fruttuosità se il carattere infruttifero del finanziamento viene pattuito per iscritto e, in caso di mancata pattuizione scritta, prevede che l’imposta venga applicata sugli interessi computati applicando il saggio legale. Osservano, pertanto che la questione di diritto controversa riguarda la conformità alle norme unionali di un atto impositivo che determina una maggiore imposta sul reddito per il mero trasferimento di risorse finanziarie da una controllante residente in Italia a una controllata residente in altro Stato membro.

2. Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 53, comma, 1 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 Censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto formatosi il giudicato interno su quanto oggetto del quarto motivo del ricorso in primo grado assumendo la mancanza di specifica censura.

In particolare, deducono che avevano contestato, con il citato quarto motivo, che l’Ufficio aveva presunto il reddito facendo applicazione di un diverso tasso di interesse, sebbene le condizioni prese in considerazione non fossero paragonabili con la reale situazione del gruppo; che in appello avevano lamentato (come rilevato dalla stessa C.t.r. in sentenza) che i giudici di primo grado non avevano analizzato le condizioni generali e specifiche in relazione alle quali erano stati erogati i finanziamenti; che la C.t.r., dopo aver affermato che il giudice del primo grado aveva valutato la situazione concreta delle società – ed, infatti, aveva precisato che se le società controllate erano in crisi di solvibilità avrebbero potuto contrarre mutuo con società indipendenti a tassi più elevati – aveva erroneamente ritenuto che sul punto si fosse formato il giudicato interno in assenza di specifica contestazione. Deducono che la decisione gravata, oltre che contraddittoria, si pone in contrasto con il principio secondo il quale la struttura del motivo di impugnazione non deve essere ancorata a rigidi formalismi.

3. Con il terzo motivo denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 89, comma 5, 110, comma 7, t.u.i.r. e dell’art. 1815 cod. civ. Censurano la sentenza impugnata per non aver applicato alla fattispecie in esame l’art. 89, comma 5, t.u.i.r., sebbene norma speciale rispetto all’art. 110, comma 7, t.u.i.r., e per aver ritenuto detta ultima norma conforme ai principi del diritto unionale.

4. Con il quarto motivo denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’ art. 110, comma, 7 t.u.i.r. comma, degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., degli artt. 49 e 54 T.F.U.E. Le ricorrente censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che fossero «prive di rilevanza» le contestazioni mosse alla sentenza di primo grado per non aver analizzato le condizioni generali e specifiche in relazione alle quali erano stati erogati i finanziamenti, e nella parte in cui ha ritenuto che spettasse al contribuente fornire la prova che il corrispettivo convenuto corrispondesse «ai valori economici che il mercato attribuisce a tali operazioni». In primo luogo assumono la violazione delle regole in tema di riparto dell’onere della prova; in secondo luogo si dolgono della mancata valutazione dei riscontri probatori; assumono, altresì, che l’Ufficio aveva preso a riferimento un tasso di mercato estraneo alla fattispecie in esame in quanto applicabile alla diversa fattispecie dei finanziamenti da istituti finanziari ad imprese industriali mentre avrebbe dovuto ricercare un banchmark relativo a finanziamenti infragruppo delle imprese industriali. Aggiungono che avevano sottoposto al giudice del merito, al fine di determinare in concreto le condizioni del finanziamento, alcuni elementi idonei a giustificare lo scostamento dal valore normale e, precisamente a) la postergazione ex lege dei finanziamenti b) la durata, c) l’assenza di merito creditizio, d) l’esercizio indiretto dell’attività per il tramite delle controllate; che, ciononostante, la C.t.r. non aveva valutato le ragioni economiche e commerciali dedotte.

5. Con il quinto motivo denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, comma 5, legge 18 dicembre 1997, n. 472. Censurano la sentenza impugnata per non aver applicato il cumulo giuridico delle sanzioni relative agli analoghi accertamenti elevati per le precedenti annualità 2011 e 2012, posto che l’Ufficio per detta ultima aveva ritenuto di applicare il cumulo in presenza di identica contestazione per il 2011.

6. Il secondo motivo, preliminare in quanto prospetta un error in iudicando, è fondato

6.1. La mancata impugnazione di una o più affermazioni contenute nella sentenza può dare luogo alla formazione del giudicato interno soltanto se le stesse siano configurabili come capi completamente autonomi, risolutivi di questioni controverse che, dotate di propria individualità ed autonomia, integrino una decisione del tutto indipendente, e non anche quando si tratti di mere argomentazioni, oppure della valutazione di presupposti necessari di fatto che, unitamente agli altri, concorrano a formare un capo unico della decisione (Cass. 15/12/2021, n. 40276).

6.2. Nella fattispecie in esame deve escludersi che si fosse formato il giudicato interno in quanto le società, con l’appello, avevano integralmente contestato, la sussistenza dei presupposti per la tassazione di un maggior reddito. E’ escluso, pertanto, che la mancanza di specifica contestazione su uno degli argomenti spesi dalla C.t.p. possa aver determinato il giudicato

6.3. Va rilevato, tuttavia, che la C.t.r., se pure ha ritenuto che sulla questione fosse sceso il giudicato, ha comunque motivato nel merito. Questa Corte ha chiarito che il giudice, decidendo su una questione che, benché logicamente pregiudiziale sulle altre, attiene al merito della causa, a differenza di quanto avviene qualora dichiari l'inammissibilità della domanda o il suo difetto di giurisdizione, o competenza, non si priva della potestas iudicandi in relazione alle ulteriori questioni di merito, sicché, ove si pronunci anche su di esse, le relative decisioni non configurano obiter dicta, ma ulteriori rationes decidendi, che la parte ha l'interesse e l'onere d'impugnare, in quanto da sole idonee a sostenere il decisum (Cass. 11/03/2019, n. 6985). L’insussistenza del giudicato, pertanto, non assorbe gli ulteriori motivi di ricorso che attingono la sentenza quanto all’ulteriore ratio decidendi. 

7. Il terzo motivo va affrontato prima dell’esame della richiesta di rinvio pregiudiziale; il medesimo, infatti, attinge l’interpretazione delle norme che le ricorrenti assumono in violazione del Trattato e per le quali prospettano – dando prevalenza, secondo il principio di specialità, al disposto di cui all’art. 89 t.u.i.r. rispetto all’art. 110 t.u.i.r. – una lettura che, uniformando, per i finanziamenti a società controllate, la disciplina applicabile alle società non residenti a quelle residenti, escluda in radice la disparità di trattamento posta a fondamento dell’istanza di cui al primo motivo. Il motivo è infondato.

7.1. L’art. 89 t.u.i.r. fissa la regola generale per la quale gli interessi attivi concorrono alla formazione del reddito di impresa secondo la remunerazione pattuita tra le parti del contratto di finanziamento. Soltanto nel caso in cui la misura della remunerazione non sia pattuita in forma scritta, gli interessi attivi si computano al saggio legale, a norma del comma 5.

Dunque, ai fini della determinazione del tasso di interesse rilevante nell’ambito del reddito di impresa assumono piena rilevanza le pattuizioni contrattuali purché risultanti per iscritto. Nel caso opposto, si presume, senza possibilità di fornire prova contraria, che il rapporto finanziario sia fruttifero sulla base del tasso di interesse legale. Questa Corte sul punto ha precisato che, in ragione del comma 5 dell’art. 89, la formalizzazione scritta, idonea ad escludere il calcolo degli interessi al tasso legale, è necessaria non solo con riguardo alle ipotesi di pattuizione di un saggio diverso da quello legale, ma anche in relazione alla ipotesi in cui le parti abbiano inteso convenire che il tasso di interesse sia pari a zero.

Pertanto, affinché non operi la presunzione di fruttuosità, è necessario che, da idonea documentazione, risulti che le parti abbiano convenuto la natura non fruttifera del finanziamento (Cass. 07/07/2020, n. 14051).

7.2. L'art. 110, comma 7, t.u.i.r., sul c.d. transfer pricing, nella versione applicabile alla fattispecie, ovvero prima della modifica di cui alla novella del 2017, così statuisce: « I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva aumento del reddito»; il comma 2 richiama l'art. 9 del t.u.i.r., il quale, al comma 3, dispone che «Per valore normale, salvo quanto stabilito nel comma 4 per i beni ivi considerati, si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d'uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore».

7.3. L’art. 110, comma 7, t.u.i.r. deroga al principio per cui la valutazione della rilevanza reddituale delle componenti positive e negative originate da una determinata operazione economica è eseguita avuto riguardo alla misura del corrispettivo pattuito. La base imponibile delle operazioni tra soggetti appartenenti al gruppo internazionale deve essere apprezzata alla luce del valore ivi individuato, indipendentemente dall’effettività del corrispettivo convenuto tra la società residente e la controllata non residente. La disposizione, infatti non riguarda operazioni inesistenti, ma operazioni in cui il prezzo pattuito è quello effettivamente voluto, ma inferiore al valore normale. Il rapporto tra le due norme, diversamente da quanto supposto dalle ricorrenti, pone l’art. 110 t.u.i.r. in rapporto di specialità rispetto all’art. 89 t.u.i.r. nel senso che, laddove il finanziamento sia concesso dalla controllante alla controllata non residente, viene in rilievo la disciplina del c.d. transfer pricing, sicché la tassazione del reddito derivante dagli interessi attivi avviene secondo la disciplina ivi prevista. L'elemento specializzante è rappresentato proprio dalla circostanza per cui uno dei due soggetti coinvolti nell'operazione di finanziamento, appartenenti entrambi al medesimo gruppo societario, ha sede al di fuori del territorio dello StatoPertanto, in tema di transfer pricing, non solo non è applicabile l’art. 89, comma 5, t.u.i.r. ma non può nemmeno ritenersi che l’art. 110, comma 7, t.u.i.r. debba essere interpretato conformemente al primo, sì da ritenere che, ove gli interessi o la gratuità del finanziamento siano stati pattuiti in forma scritta, prevalga sul disposto normativo la volontà negoziale. Quella prospettata con la censura in esame è un’interpretazione sostanzialmente abrogativa dell’art. 110, comma 7, t.u.i.r. che, invece, detta una norma in ragione della quale deve ritenersi che la qualificazione di infruttuosità del finanziamento, eventualmente operata dalle parti, così come la pattuizioni di interessi attivi inferiori a valori normali, è ininfluente, essendo di per sé inidonea ad escludere l'applicazione del criterio di valutazione del reddito ivi contemplato.

7.4. Che l’art. 110, comma 7, t.u.i.r si ponga in rapporto di specialità con l’art. 89, comma 5, t.u.i.r., e non viceversa, trova ulteriore conferma in ragione di quanto previsto dall’art. 5 d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147, emanato in attuazione della legge 11 marzo 2014, n. 23. Il legislatore, con detta disposizione, ha introdotto una Corte di Cassazione - copia non ufficiale 10 norma di interpretazione autentica volta a chiarire che la disciplina contenuta nel comma 7 dell’art. 110 non ha valenza per le operazioni che intercorrono tra soggetti residenti o localizzati nel territorio dello Stato. E’ stato escluso, pertanto, il c.d. transfer pricing domestico. 7.5. La C.t.r., ritenendo applicabile l’art. 110 cit. alla fattispecie in esame, che riguarda pacificamente un finanziamento oneroso in favore di società controllata non residente pattuito in forma scritta, si è attenuta a questi principi. 8. La richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE di cui al primo motivo va disattesa. Le ricorrenti dubitano della compatibilità di tale disciplina con il diritto unionale ravvisando, in sostanza, una disparità di trattamento con il trasnfer pricing domestico che, come si è detto, è escluso dal perimetro dell’art. 110, comma 7, t.u.i.r. per espressa disposizione normativa.

8.1. Questa Corte ha precisato che la disciplina di cui all’art. 110 t.u.i.r. «non integra una disciplina antielusiva in senso proprio, ma è finalizzata alla repressione del fenomeno economico del transfer pricing (spostamento d'imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti) in sé considerato. (Cass. 20/05/2021, n. 13850 Cass. 15/04/2016, n. 7493). 8.2. La questione preliminare della legittimità della legislazione di uno Stato membro che impedisce a una società residente di spostare la realizzazione di profitti al di fuori della propria giurisdizione, imponendo che essi siano realizzati sulla base delle normali condizioni di mercato è stata già sottoposta al vaglio della Corte di Giustizia la quale ha rilevato che: i) la legislazione di uno Stato membro che discrimina la tassazione delle transazioni infragruppo internazionali Corte di Cassazione - copia non ufficiale 11 rispetto a quelle nazionali è suscettibile di costituire un ostacolo alle libertà fondamentali dell’Unione (par. 35); ii) tale restrizione è però giustificata da ragioni imperative di interesse generale, e in particolare, dalla necessità di assicurare un’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri (par. 43-47); iii) tuttavia, la disciplina relativa ai prezzi di trasferimento non si applica alle prestazioni infragruppo quando le stesse siano giustificate da un interesse della capogruppo al successo economico delle varie entità del gruppo ( Corte giustizia 31/05/2018, causa C-382/16 Hornbach-Baumarkt). In senso conforme, ha successivamente ribadito che la normativa sul transfer pricing di uno Stato dell’Unione comporterebbe, almeno in teoria, una limitazione delle libertà fondamentali così come definite dal T.F.U.E. laddove questa sia applicabile solamente alle transazioni con imprese non residenti; tale limitazione però può essere giustificata nell’ottica di garantire la corretta ripartizione del potere impositivo tra i membri dell’Unione, a condizione che essa sia proporzionata al perseguimento di tale fine e purché il contribuente sia messo nelle condizioni di giustificare le eventuali ragioni commerciali interne al gruppo che soggiacciono alla determinazione della transazione infragruppo (sentenza della Corte giustizia 08/10/2020, causa C-558/19 Pizzrotti)

8.3. Tale interpretazione è sorretta dalla giurisprudenza di legittimità che, pertanto, ha reso conforme la disciplina del transfer pricing al diritto unionale. Infatti, resta comunque fermo che un finanziamento infruttifero, o a tasso non di mercato, non può essere sindacato in sé, essendo possibile per il contribuente dimostrare le ragioni economiche che hanno portato a finanziare con le specifiche modalità adottate la propria partecipata. La ratio della normativa va ravvisata nel principio di libera concorrenza enunciato nell'art. 9 del Modello di Convenzione OCSE che prevede la possibilità di sottoporre a tassazione gli utili derivanti da operazioni infragruppo che siano state regolate da condizioni diverse da quelle che sarebbero state convenute tra imprese indipendenti in transazioni comparabili effettuate sul libero mercato.

Da tale nucleo concettuale deriva che «la valutazione "in base al valore normale" prescinde dalla capacità originaria dell'operazione di produrre reddito e, quindi, da qualsivoglia obbligo negoziale delle parti attinente al pagamento del corrispettivo (cfr. Linee guida OCSE sui prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le amministrazioni fiscali, paragrafo 1.2). Si tratta, infatti, di esaminare la sostanza economica dell'operazione intervenuta e confrontarla con analoghe operazioni realizzate, in circostanze comparabili, in condizioni di libero mercato tra soggetti indipendenti e valutarne la conformità a queste (Cass. 20/05/2021, n. 13850 Cass. 15/04/2016, n. 749)

Non si esclude, inoltre, che i finanziamenti gratuiti infragruppo possano avere cittadinanza nell'ordinamento laddove sia dimostrabile che lo scostamento rispetto al principio di libera concorrenza sia dipeso da ragioni commerciali interne al gruppo, connesse al ruolo che la controllante assume a sostegno delle altre società del gruppo Cass. 20/05/2021, n. 13850).

8.4. Deve aggiungersi che per la giurisprudenza di questa Corte la parte non ha diritto all’automatico rinvio pregiudiziale ogniqualvolta la Corte di cassazione non ne condivida le tesi difensive, bastando che le ragioni del diniego siano espresse, ovvero anche implicite laddove la questione pregiudiziale sia manifestamente inammissibile o manifestamente infondata, ovverosia quando l'interpretazione della norma e del caso siano evidenti (Cass., Sez. U., 08/07/2016, n. 14043, Cass. Sez. U., 19/06/2018, n. 16157; nello stesso senso, tra le tante, Cass. 20/12/2023, n. 35633, Cass. 07/06/2018, n. 14828; Cass. 16/06/2017, n. 15041, secondo cui il rinvio pregiudiziale alla Corte di Corte di Cassazione - copia non ufficiale 13 giustizia dell’Unione Europea presuppone il dubbio interpretativo su una norma comunitaria, che non ricorre allorché l’interpretazione sia auto-evidente oppure il senso della norma sia già stato chiarito da precedenti pronunce della Corte, non rilevando, peraltro, il profilo applicativo di fatto, che è rimesso al giudice nazionale). Anche la Corte costituzionale (sentenza n. 28 del 2010, in motivazione) ha ritenuto che sia da escludere il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, non «necessario quando il significato della norma comunitaria sia evidente, anche per essere stato chiarito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia». A queste considerazioni si aggiunga che, sempre secondo la Corte di giustizia – c.d. teoria dell’acte clair – viene meno l’obbligo di rinvio pregiudiziale allorquando la corretta applicazione del diritto dell’Unione europea si imponga con una evidenza tale da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da fornire alla questione sollevata (Corte giustizia, 06/10/1983, Cilift e a., C-283/81; Corte giustizia, 05/04/2016, C-689/13, Puligienica Facility Esco. Nello stesso senso, cfr. Corte giustizia, 28/07/2016, C-379/15, Association France Nature Environnement; Corte. giustizia, 06/10/2021, C-561/19).

9. Il quarto motivo è fondato, restando assorbito il quinto.

9.1. L'art. 110, comma 7, t.u.i.r, è stato modificato dall’art. 59, comma 1, d.l. 24 aprile 2017, n. 50 (entrato in vigore il 4 giugno 2017) convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96), stabilendosi, quindi, nella sua formulazione, che «(i) componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne Corte di Cassazione - copia non ufficiale 14 deriva un aumento del reddito. La medesima disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, secondo le modalità e alle condizioni di cui all'art. 31-quater del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 29 settembre 1973, Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, possono essere determinate, sulla base delle migliori pratiche internazionali, le linee guida per l'applicazione del presente comma». La disciplina primaria è stata quindi integrata dal D.M. n. 14 maggio 2018, che ha dettato le linee guida per l'applicazione delle nuove disposizioni di cui all'art. 110, comma 7, TUIR. L'art. 4 del succitato decreto ministeriale, in particolare, delinea e definisce cinque metodi per la valorizzazione di un'operazione controllata in base al principio di libera concorrenza, premettendo che detta valorizzazione è determinata applicando il metodo più appropriato alle circostanze del caso.

9.2. Sebbene la modifica legislativa sia stata finalizzata all'esigenza di adeguamento dell'ordinamento giuridico nazionale ai criteri d'individuazione dei prezzi di trasferimento tra imprese multinazionali delineati dall'OCSE, già in precedenza la prospettiva interpretativa si era evoluta in linea con il principio di libera concorrenza quale enunciato nell'art. 9 del Modello di Convenzione OCSE, che prevede la possibilità di sottoporre a tassazione gli utili derivanti da operazioni infragruppo che siano state regolate da condizioni diverse da quelle che sarebbero state convenute tra imprese indipendenti, in transazioni comparabili effettuate sul libero mercato, dovendosi rilevare come già le Linee Guida OCSE del 1995 (OECD, Guidelines, 1995) prevedessero che «La selezione di un metodo di determinazione dei prezzi di trasferimento si pone sempre l'obiettivo di trovare il metodo più appropriato ad un particolare caso. A questo scopo, nel processo di selezione andrebbero presi in considerazione: i rispettivi vantaggi e svantaggi dei metodi riconosciuti dall'OCSE; la coerenza del metodo considerato con la natura della transazione controllata, determinata in particolar modo attraverso l'analisi funzionale; la disponibilità di informazioni affidabili (in particolar modo sugli elementi comparabili indipendenti) necessaria all'applicazione del metodo selezionato e/o degli altri metodi; il grado di comparabilità tra transazioni controllate e transazioni tra imprese indipendenti, compresa l'affidabilità degli aggiustamenti di comparabilità che siano necessari per eliminare le differenze significative tra di loro. Nessun metodo è utilizzabile in tutte le eventualità e non è necessario dimostrare la non applicabilità di un dato metodo alle circostanze del caso concreto"»

9.3. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno riconosciuto la natura di soft law propria delle raccomandazioni contenute nel Commentario OCSE (cfr. Cass. Sez. U. 25/03 2021, n. 8500 in motivazione). Nel report dell'OCSE pubblicato 1'11/02/2020, sulle transazioni finanziarie, si ribadisce (come già affermato nel Commentario OCSE all'art. 9 del Modello di Convenzione) che, nelle operazioni di finanziamento intercompany, la corretta applicazione del principio di libera concorrenza è rilevante non soltanto nella determinazione del valore di mercato dei tassi di interesse applicati, ma anche per valutare se un'operazione di finanziamento debba essere effettivamente considerata un prestito o, in alternativa, un apporto di capitale proprio. Si sottolinea altresì che, al fine di distinguere un finanziamento dall'apporto di capitale, tra gli altri utili indicatori, assume autonoma rilevanza l'obbligo di pagare gli interessi. Con riferimento all'Italia, comunque, in base alla prassi applicativa dell'Agenzia delle entrate (circolare 30 marzo 2016, n. 6/E, in tema di leveraged buy-out), la riqualificazione del debito (o di parte di esso) in apporto di capitale dovrebbe rappresentare una misura eccezionale. Non si esclude, inoltre, che i finanziamenti gratuiti infragruppo possano avere cittadinanza nell'ordinamento laddove sia dimostrabile che lo scostamento rispetto al principio di libera concorrenza sia dipeso da ragioni commerciali interne al gruppo, connesse al ruolo che la controllante assume a sostegno delle altre società del gruppo. La stessa Agenzia delle Entrate, già con la circolare n. 42/IIDD/1981, aveva precisato che l'adeguatezza di un metodo di determinazione dei prezzi di trasferimento si deve valutare caso per caso.

9.4. Questa Corte, dopo ave evidenziato, come già detto, che la disciplina di cui all’art. 110, comma 7, t.u.i.r. non ha natura antielusiva, ha chiarito che la prova gravante sull'Amministrazione finanziaria riguarda – non il concreto vantaggio fiscale, che potrebbe essere anche inesistente – bensì l'esistenza di transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale; incombe, invece, sul contribuente, giusta le regole ordinarie di vicinanza della prova ex art. 2697 cod. civ. ed in materia di deduzioni fiscali, l'onere di dimostrare che tali transazioni siano intervenute per valori di mercato da considerarsi normali alla stregua di quanto specificamente previsto dal citato art. 9, comma 3, t.u.i.r. (Cass. 30/01/2023, n. 2689, Cass. 20/05/2021, n. 13850, Cass. 15/04/2016, n. 7493)

9.5. La giurisprudenza successiva, che si è occupata del transfer pricing internazionale in materia di mutui, ha rafforzato tale approdo nomofilattico. Si è precisato che la disciplina in materia del transfer pricing internazionale deve trovare applicazione sia quando il prezzo pattuito sia inferiore a quello mediamente praticato nel comparto economico di riferimento, sia quando sia nullo (Cass. 30/06/2016, n. 13387); che sono soggetti alla medesima disciplina i finanziamenti infruttiferi internazionali tra imprese controllate e controllanti, attesa l'esigenza, in funzione dell'unitaria ratio dell'istituto, di oggettivare il valore delle operazioni ai soli fini fiscali, senza che ne siano alterati gli equilibri civilistici tra i contraenti (Cass. 15/11/2017, n. 27018); che detta disciplina opera anche nell'ipotesi di prestito ad una società del gruppo, fattispecie nella quale, essendo il costo rappresentato dal saggio di interesse, questo deve essere determinato in relazione al prezzo normale di mercato, ossia al tasso mediamente praticato nel tempo e nel luogo dell'operazione (Cass. 29/01/2019, n. 2387).

9.6. Tutto ciò premesso, questa Corte ha chiarito che , lo scrutinio del giudice di merito deve orientarsi lungo due direttrici: in primo luogo deve verificare se l'ufficio abbia o meno fornito la prova, ad esso spettante, che la controllante italiana ha compiuto un'operazione di finanziamento a favore della controllata estera, quale legittimo presupposto della ripresa a tassazione degli interessi attivi del mutuo, in base al tasso di mercato osservabile in relazione a finanziamenti aventi caratteristiche sufficientemente comparabili ed erogati a soggetti con il medesimo credit rating dell'impresa debitrice associata (cfr. report dell'OCSE 2020): detta determinazione è quaestio facti rimessa al giudice di merito. In secondo luogo, una volta acclarato tale profilo preliminare, anche in base al principio di non contestazione, deve verificare se, dal canto suo, la società abbia dimostrato che il finanziamento infruttifero era dovuto a ragioni commerciali interne al gruppo, o comunque era coerente con le normali condizioni di mercato o se, al contrario, risultasse che quel tipo di transazione (cioè il prestito di denaro) tra imprese indipendenti operanti nel libero mercato sarebbe avvenuta a condizioni diverse. (Cass. 10/01/2024, nn. 995, 996, 998, 1001, Cass. 20/05/2021, n. 13850).

9.7. La C.t.r., pur avendo richiamato correttamente la giurisprudenza di legittimità, quanto all'oggetto della prova ed al criterio di ripartizione dell'onere, tra fisco e contribuente, in tema di transfer price internazionale, non ne ha fatto puntuale applicazione. Infatti, lungi dal compiere l’accertamento in fatto demandatole, richiamando quanto già esposto dalla C.t.p, nel prendere in considerazione quanto allegato dalle contribuenti a sostegno della comparabilità delle condizioni pattuite con quelle di mercato, ha rilevato che si trattava di argomenti privi di rilevanza in quanto proprio in ragione dei problemi di solvibilità delle controllate doveva ritenersi che le medesime sul mercato avrebbero potuto ottenere finanziamenti solo ricorrendo al credito bancario ed ad un tasso più elevato rispetto al tasso normale.

La sentenza impugnata si limita ad affermare che, in caso di finanziamento di società all’interno del gruppo con problemi di solvibilità, le condizioni comparabili sul mercato vadano rinvenute necessariamente in «finanziamenti con imprese indipendenti, dietro garanzia della Capogruppo e, in ogni caso, ad un tasso in interesse «elevato»; invece, con giudizio in fatto ad essa demandato, avrebbe dovuto, in primo luogo, verificare se il tasso di interesse preso in considerazione dall’Ufficio fosse quello riscontrabile in relazione a finanziamenti aventi caratteristiche sufficientemente comparabili, erogabili a soggetti aventi il medesimo credit rating dell'impresa debitrice associata; di seguito, avrebbe dovuto valutare la prova contraria offerta dalle contribuenti al fine di dimostrare che nel libero mercato si sarebbero rinvenute le stesse condizioni finanziarie, e le eventuali ragioni commerciali interne al gruppo da queste ultime addotte.

10. In conclusione, vanno accolti il secondo ed il quarto motivo di ricorso, assorbito il quinto, rigettati gli ulteriori; la sentenza impugnata va cassata con riferimento al motivo accolto con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, che si pronuncerà anche sulle spese del giudizio di legittimità. 

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo ed il quarto motivo di ricorso, assorbito il quinto, rigettati gli ulteriori; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, 6 febbraio 2024.