Giu In caso di disconoscimento di costi e delle spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo, il giudice tributario non può accertare il delitto
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 19 marzo 2024 N. 7275
Massima
In caso di disconoscimento di costi e delle spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale, il giudice tributario non può accertare incidentalmente l’esistenza della fattispecie delittuosa, ma deve limitarsi a verificare che la condotta oggetto del giudizio penale sia riferibile a quella oggetto di contestazione nel giudizio tributario e deve accertare che i costi di produzione disconosciuti attengano alla fattispecie delittuosa contestata

Casus Decisus
1. La società contribuente S. S.r.l., esercente l’attività di commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi, ha separatamente impugnato tre avvisi di accertamento, relativi ai periodi di imposta 2011, 2012, 2013 con cui – a seguito di verifica e di PVC – venivano accertate maggiori IRES, IRAP e IVA, oltre sanzioni e accessori. Gli accertamenti facevano seguito ad attività investigativa in ambito penale, in esito alla quale veniva dapprima eseguito sequestro della documentazione contabile e successivamente redatto PVC, in forza del quale si accertava – come risulta dalla sentenza impugnata - la illecita cessione di gasolio agricolo a tassazione agevolata a soggetti che non ne avevano titolo. Gli avvisi procedevano – in particolare – a disconoscere la deducibilità dei costi riconducibili o direttamente utilizzati per il compimento di attività delittuosa. 2. La CTP di Salerno ha accolto i ricorsi riuniti. 3. La CTR della Campania, Sezione staccata di Salerno, con sentenza qui impugnata, ha rigettato l’appello dell’Ufficio, ritenendo che gli elementi valorizzati dall’Ufficio provenissero da documentazione falsificata U.M.A. (Utenti Motori Agricoli), non in possesso della società contribuente ed esibita al contribuente dai cessionari durante le vendite del carburante; pertanto, la sentenza impugnata – entrando nel merito degli addebiti – ha ritenuto che non sussistesse responsabilità della contribuente non essendo ad essa ascrivibile la falsificazione della documentazione U.M.A. 4. Propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a sei motivi, cui resiste la società contribuente con controricorso. 

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - ORDINANZA 19 marzo 2024 N. 7275 Bruschetta Ernestino Luigi

1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. «3 o 4» cod. proc. civ., nullità della sentenza per motivazione apparente in violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111, sesto comma, Cost., per avere la sentenza impugnata trascurato l’esame della documentazione prodotta dall’Ufficio a sostegno della sussistenza di proventi da reato e delle relative argomentazioni addotte in grado di appello dall’Ufficio. Osserva il ricorrente come la motivazione non dia conto del fatto che le riprese attengono a operazioni soggettivamente inesistenti, ovvero a ripresa a tassazione di proventi da reato.

2. Con il secondo e pluriarticolato motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione dell’art. 14, comma 4-bis l. 24 dicembre 1993, n. 537, come modificato dall’art. 8, comma 1, d.l. 2 marzo 2012, n. 16, dell’art. 115, primo comma, cod. proc. civ. Osserva parte ricorrente che la disciplina pro tempore prevede l’indeducibilità dei costi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo, limitando l’indeducibilità solo in relazione ai costi che si trovino in «connessione diretta» con il compimento dell’attività delittuosa e, quindi, «solo se riconducibili ad illeciti penalmente rilevanti». In particolare, il ricorrente deduce che l’ipotesi di reato per la quale è stata inoltrata la comunicazione della notizia di reato è quella di sottrazione all’accertamento o al pagamento dell’accisa su prodotti energetici, prevista dagli artt. 40, commi 1, lett. c) e 4 d. lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (TUA), per avere il contribuente destinato prodotti agricoli soggetti ad accisa agevolata a un uso soggetto a maggiore imposta. Osserva, in particolare, il ricorrente di avere fornito puntuali riferimenti alla indeducibilità dei costi direttamente utilizzati nell’attività delittuosa di sottrazione all’accertamento e al pagamento dell’accisa sui prodotti energetici, per avere il contribuente destinato il gasolio a soggetti fittiziamente intestatari di libretti U.M.A. Sotto questo profilo, il ricorrente evidenzia anche che la contestazione non riguardava il falso possesso dei requisiti formalmente indicati nei libretti U.M.A., bensì il fatto che i destinatari dei prodotti soggetti ad accisa fossero terzi rispetto ai cessionari indicati nei libretti U.M.A., destinatari sprovvisti dei requisiti per usufruire delle agevolazioni; deduce, pertanto, il ricorrente che la sentenza impugnata, entrando nel merito del capo di imputazione, ha distorto la ricostruzione della fattispecie delittuosa come impostata in sede penale. Riproduce, sotto questo profilo, alcune delle schede istruttorie poste a fondamento degli avvisi impugnati.

3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo, per essersi il giudice di appello soffermato unicamente sulla circostanza in fatto che la vendita di carburante dietro presentazione da parte degli acquirenti dei libretti U.M.A. formalmente regolari. Evidenzia parte ricorrente come l’allegato 1 al PVC evidenziasse come nei libretti U.M.A. erano indicati trattori con targhe inesistenti o intestati ad altre persone fisiche o sin anche a soggetti inesistenti.

4. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione dell’art. 2697 cod. civ. per avere la sentenza impugnata affermato che i giudici di primo grado avevano formulato all’Ufficio l’onere di deposito di documentazione al quale l’Ufficio non avrebbe ottemperato. Osserva parte ricorrente come nessun onere di deposito di documentazione incombesse all’Ufficio, per Corte di Cassazione - copia non ufficiale N. 21143/20 R.G. Est. F. D’Aquino 5 di 12 cui tale valutazione da parte del giudice di appello violerebbe le regole di distribuzione dell’onere della prova.

5. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 19 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nella parte in cui la sentenza impugnata ha negato la indetraibilità dell’IVA ove trattasi nella specie di fatture inerenti a operazioni soggettivamente inesistenti.

6. Con il sesto motivo si deduce nuovamente, in relazione all’art. 360, primo comma, n. «3 o 4» cod. proc. civ., nullità della sentenza per motivazione apparente in violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111, sesto comma, Cost., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che il contribuente avrebbe dato ampia giustificazione della fatturazione con destinazione diversa dalla sede dell’acquirente. Deduce il ricorrente che la sentenza impugnata non ha indicato le fonti di prova da cui ha tratto il proprio convincimento. Osserva il ricorrente come l’avviso impugnato avesse contestato la genericità delle fatture ove indicavano «destinazione diversa».

7. Va preliminarmente rigettata la preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso articolata dal controricorrente, essendo il ricorso sufficientemente ancorato ai fatti e ai documenti di causa.

8. Il primo motivo è infondato, posto che la nullità della sentenza per vizio di motivazione può essere predicata solo per inesistenza grafica o per incomprensibilità del percorso logico seguito dal giudice ai fini della decisione (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053). Percorso logico sintetico ma compiuto, avendo la sentenza impugnata ritenuto infondata la pretesa dell’Ufficio, in forza della ritenuta assenza di responsabilità della società contribuente per illecita cessione di gasolio agricolo a tassazione agevolata a soggetti che non ne avessero titolo, quale presupposto per le riprese impositive, in considerazione del fatto che la società contribuente non fosse responsabile della falsificazione dei libretti U.M.A. utilizzati per l’acquisto di carburante a uso agricolo.

9. Né il giudice di appello, ai fini di rendere una motivazione che rispetti il cd. minimo costituzionale, deve esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass., Sez. VI, 2 dicembre 2014, n. 25509; Cass., Sez. III, 20 novembre 2009, n. 24542), senza che sia necessaria l'analitica confutazione delle tesi non accolte o la disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi (Cass., Sez. V, 2 aprile 2020, n. 7662; Cass., Sez. V, 30 gennaio 2020, n. 2153).

10. Va, preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità del secondo motivo articolata dal controricorrente, in quanto non si verte in tema di revisione dell’accertamento in fatto. Come risulta dal ricorso, l’Ufficio ha contestato che la società contribuente acquistava prodotti petroliferi destinati ad aliquota agevolata e procacciava, ai fini della cessione dei prodotti, consumatori finali diversi da quelli indicati nei libretti UMA che non erano in possesso delle relative agevolazioni, così sottraendo ad imposta i prodotti acquistati e ha dedotto l’erronea o falsa applicazione della disciplina dell’indeducibilità dei costi da reato.

11. Il secondo motivo è fondato nei termini che seguono.

Dispone l’art. 14, comma 4-bis l. n. 537/1993, nella formulazione applicabile al periodo di imposta 2012, che «nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'articolo 157 del codice penale». La norma prosegue prevedendo che in caso di sentenza definitiva di assoluzione o di non doversi procedere ex art. 529 cod. proc. pen. o di non luogo a provvedere ex art. 425 cod. proc. pen. non fondata sulla causa di estinzione del reato ex art. 157 cod. pen. «compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi».

12. La norma, come rileva il ricorrente, è mutata in relazione alla formulazione di cui ai precedenti periodi di imposta, ove l’indeducibilità era riferita, più genericamente, ai costi «riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti». La norma disciplina, pertanto, l’indeducibilità di componenti negative che – come correttamente osserva il ricorrente - si trovino in «connessione diretta» con il compimento dell’attività delittuosa per il quale sia stata promossa l’azione penale.

13. Vi è, quindi, correlazione tra esercizio dell’azione penale per fatti costituenti delitto non colposo e quei costi di produzione che risultino direttamente connessi con la consumazione dell’attività delittuosa; nel qual caso, gli specifici costi di produzione che siano imputabili al compimento dell’attività penalmente rilevante, non sono deducibili, ciò comportando l’imposizione sull’ammontare dei ricavi lordi, anziché sul reddito netto. L’elemento differenziale di questo trattamento più gravoso risiede nell’aggancio del presupposto impositivo alla commissione di una azione delittuosa perseguita in sede penale, differenziandola dalla mera commissione un illecito civile amministrativo. La restrizione dell'area di indeducibilità ai soli componenti negativi di reddito (peraltro, non tutti ma solo quelli relativi a beni o prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo), per i quali sia possibile istituire un nesso diretto dei costi stessi con la realizzazione dell'atto o dell'attività che costituisce delitto non colposo, istituisce un più stringente rapporto tra l’esercizio dell’azione penale e i costi direttamente utilizzati per l’esecuzione di quella attività delittuosa per la quale sia stato promosso il giudizio penale.

14. La connessione diretta/nesso diretto tra costi e attività spiega, ulteriormente, la ragione per la quale l’accertamento dell’indeducibilità presuppone l’emissione del decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'art. 424 cod. proc. pen. (ovvero della sentenza di non luogo a procedere per sussistenza della causa di estinzione del reato ex art. 157 cod. pen.), laddove la precedente formulazione normativa lasciava incertezza sui presupposti della norma e sul dies a quo. L’esercizio dell’azione penale per quei fatti costituisce presupposto per l’accertamento dell’indeducibilità dei costi per i quali sia individuabile il nesso diretto con l’attività delittuosa.

15. La disposizione, nella formulazione suindicata, introdotta dall'art. 8, comma 1, del d.l. n. 16/2012, costituisce ius superveniens (come previsto dall’art. 8, comma 3, d.l. n. 16/2012: Corte cost., 16 luglio 2012, n. 190), astrattamente più favorevole al contribuente e, quindi, avente efficacia retroattiva, con l’effetto che – nell’interpretazione già data da questa Corte - l'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero, con la richiesta di rinvio a giudizio, è sufficiente a escludere la deducibilità dei costi e delle spese dei beni o delle prestazioni di servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo (Cass., Sez. V, 1° aprile 2021, n. 9077; Cass., Sez. V, 5 dicembre Corte di Cassazione - copia non ufficiale N. 21143/20 R.G. Est. F. D’Aquino 9 di 12 2019, n. 31789; Cass., Sez. V, 17 dicembre 2014, n. 26461; Cass., Sez. V, 6 luglio 2018, n. 17788).

16. L’esercizio dell’azione penale, essendo presupposto per l’accertamento dell’indeducibilità dei relativi costi (con l’effetto dell’assoggettamento a tassazione dei ricavi lordi anziché del reddito netto), costituisce elemento normativo esterno alla fattispecie tributaria, incentrata sull’accertamento dell’esistenza del nesso diretto dei costi utilizzati per la consumazione della fattispecie delittuosa. Ne consegue che, diversamente da quanto ritenuto da parte della dottrina, la norma esclude che il giudice tributario possa accertare incidentalmente l’esistenza del fatto costituente reato. L’oggetto dell’accertamento del giudice tributario è, invero, incentrato sull’individuazione di quali siano i costi che si pongano in connessione diretta con la consumazione della fattispecie delittuosa, la cui esistenza e i cui connotati sono riservati all’iniziativa del giudice ordinario.

17. Nella sostanza, la norma – da taluno vista come parziale ripristino della pregiudiziale penale - costituisce una norma di riparto di giurisdizione in ordine alla esistenza e ai contenuti della condotta tenuta dal contribuente ai fini della indeducibilità dei costi. Al giudice penale spetta l’accertamento della condotta delittuosa, la cui pendenza del relativo giudizio costituisce presupposto per l’accertamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria dei costi direttamente riferibili alla condotta, il cui accertamento compete al giudice tributario. Si tratta di una deroga o, per meglio dire, di una eccezione alla disposizione generale che prevede l’autonomia ricognitiva dei due plessi di giurisdizione, ordinaria penale e tributaria, salvi i casi di pregiudizialità espressamente previsti, come ad es. il giudizio di falso documentale. Al giudice tributario residua, in ogni caso, il controllo in ordine al fatto che la condotta oggetto del giudizio penale sia riferibile a quella oggetto di contestazione nel giudizio tributario ai fini dell’indeducibilità dei relativi costi di produzione.

18. Conferma questa lettura il correlativo riconoscimento del diritto del contribuente al rimborso delle maggiori imposte versate, ove risulti l’accertamento sopravvenuto del venir meno della fattispecie delittuosa in relazione alle «maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi». Anche in questo caso, ai fini della deducibilità dei costi (originariamente accertati come indeducibili), la pronuncia penale che esclude la sussistenza dei fatti di reato dai quali sia derivata la non deducibilità dei costi costituisce - a sua volta - presupposto per la domanda di rimborso delle maggiori imposte versate, o per il relativo intervento in autotutela. Anche in tal caso, il giudice tributario non può accertare incidentalmente e autonomamente se la fattispecie penale esista o meno, ma deve limitarsi ad accertare se la condotta oggetto del giudizio penale sia riferibile a quella oggetto del giudizio tributario (Cass., Sez. V, 29 settembre 2020, n. 20579).

19. Non contrasta con tale assunto il precedente di Cass., Sez. V, 4 aprile 2019, n. 9419, ove si è affermata la cognizione incidentale del giudice tributario in relazione alla fattispecie, in quanto in quel caso si poneva il tema della indeducibilità ipso iure dei costi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitti non colposi dalla declaratoria di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato, in un caso in cui il giudice del merito aveva sostenuto che in caso di declaratoria di prescrizione del reato i costi e le spese per attività qualificate come reato non fossero ipso iure ammessi in deduzione; in tal caso il giudice tributario non può limitarsi ad affermare l'inesistente effetto preclusivo della sentenza penale di proscioglimento per prescrizione (Cass., Sez. V, 21 ottobre 2021, n. 29400; Cass., Sez. V, 20 ottobre 2021, n. 29153), caso affatto diverso da quello in esame, ove l’indeducibilità dei costi discende dall’esercizio dell’azione penale.

20. La considerazione secondo cui l’art. 14, comma 4-bis, cit. si pone in controtendenza con il vigente principio di autonomia delle due giurisdizioni, penale e tributaria (ex multis Cass., Sez. V, 7 dicembre 2021, n. 38750), nella parte in cui nega al giudice tributario l’accertamento incidenter tantum del fatto costituente reato, appare peraltro coerente con l’evoluzione normativa, la quale si sta indirizzando verso un sostanziale ripristino della pregiudizialità penale (in relazione a quanto specificamente previsto dall’art. 20, comma 1, lett. a) n. 3 l. 9 agosto 2023, n. 111), in luogo del diverso principio della autonomia delle giurisdizioni.

21. Va, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto: «In caso di disconoscimento di costi e delle spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale, il giudice tributario non può accertare incidentalmente l’esistenza della fattispecie delittuosa, ma deve limitarsi a verificare che la condotta oggetto del giudizio penale sia riferibile a quella oggetto di contestazione nel giudizio tributario e deve accertare che i costi di produzione disconosciuti attengano alla fattispecie delittuosa contestata».

22. Nella specie, la sentenza impugnata non si è attenuta ai suddetti principi, in quanto è entrata nel merito dell’accertamento della fattispecie delittuosa (stravolgendo, in tesi, l’ipotesi accusatoria), avendo mandato esente da responsabilità la società contribuente per avere ascritto le violazioni alle false dichiarazioni contenute nei libretti UMA (Utenti Motori Agricoli), per cui va cassata con rinvio in relazione all’enunciato principio di diritto. E’ assorbito l’esame del terzo, del quarto e del sesto motivo.

23. Il quinto motivo è fondato. Il contribuente può dedurre ai fini delle imposte dirette i costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti a norma dell'art. 14, comma 4-bis, l. n. 537/1993, nella formulazione introdotta con l'art. 8, comma 1, d.l. n. 16/2012, a condizione che non siano direttamente utilizzati per commettere il delitto non colposo (Cass., Sez. V, 5 aprile 2022, n. 11020), ma non può detrarre l’IVA perché relativa a beni non effettivamente scambiati con il destinatario della fattura. Dovendo il giudice del rinvio rivalutare la deducibilità dei costi, terrà conto anche della relativa indetraibilità dell’IVA.

24. Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione al secondo e al quinto motivo, cassandosi la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania per nuovo esame, nonché per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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P. Q. M.

La Corte accoglie il secondo e il quinto motivo, rigetta il primo motivo, dichiara assorbiti gli ulteriori motivi; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, in data 14 febbraio 2024