1. il primo motivo di ricorso - “Violazione e/o falsa applicazione di norme ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 24 4 cost., nonché 81 e 100 c.p.c.” - è basato sulla constatazione che l’attrice, durante l’intero giudizio, si è qualificata come “titolare e gestore del Camping Lido”, senza dimostrare quale fosse il titolo che la legittimava all’esercizio dell’azione. Su tale premessa, la ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere dichiarato il difetto di legittimazione attiva dell’attrice appellata;
1.1. il motivo è infondato;
1.2. va data continuità al principio di diritto, ripetutamente enunciato da questa Corte di legittimità (cfr., tra le tante, Sez. 2, Sentenza n. 14177 del 27/06/2011, Rv. 618438 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 14468 del 30/05/2008, Rv. 603170 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 11284 del 10/05/2010, Rv. 613149 - 01), secondo cui la legittimazione ad agire costituisce una condizione dell’azione diretta all’ottenimento, da parte del giudice, di una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’azione, prescindendo, quindi, dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa che si riferisce al merito della causa, investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza.
Nella fattispecie concreta in esame, la sentenza impugnata ha riconosciuto la legittimazione ad agire della sig.ra G., la quale ha svolto domanda di usucapione della proprietà delle particelle intestate alla convenuta, prospettando di avere esercitato uti domina il possesso (ultra)ventennale sui terreni di proprietà della R. S.r.l. Nessuna incidenza ai fini della legittimazione ad agire assume la circostanza che l’attrice si sia qualificata come “titolare e gestore” della Camping Lido di Salerno, posto che, come dianzi accennato, ai fini della verifica della titolarità in capo all’attrice della prerogativa di promuovere l’azione di usucapione rileva esclusivamente la prospettazione di quest’ultima di avere acquistato a titolo originario il compendio immobiliare;
2. il secondo motivo – “Violazione e/o falsa applicazione di norme ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 1158, 1163, 1167, 2943 e [2697] c.c., nonché 115 c.p.c.” – ascrive alla Corte di Salerno l’erronea applicazione delle norme in materia di usucapione, in tema di riparto dell’onere della prova e l’erronea valutazione delle risultanze probatorie che - questa la tesi della ricorrente - se bene interpretate, avrebbero attestato l’assenza, in capo alla sig.ra G., del possesso ventennale, continuo, non interrotto, pacifico e pubblico, necessario ai fini dell’usucapione;
2.1. il motivo è inammissibile;
2.2. a proposito delle censure di cui agli artt. 115, cod. proc. civ., 2697, cod. civ., è il caso di ricordare l’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. U., 30/09/2020, n. 20867, che menziona: Cass. Sez. U., 05/08/2016, n. 16598; Cass. Sez. U., 27/12/2019, n. 34474, con richiami pure a Cass. 19/06/2014, n. 13960, e a Cass. 20/12/2007, n. 26965), per il quale «[i]n tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.» (in senso conforme, ex multis, Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass. 11/10/2016, n. 20382; Cass. 28/02/2018, n. 4699; Cass. 03/11/2020, n. 24395; Cass. 26/10/2021, n. 30173);
2.3. inoltre, l’art. 2697, cod. civ., viene in considerazione solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in base alla scissione della fattispecie in fatti costitutivi e mere eccezioni. Nel caso concreto, la Corte di merito, attenendosi alla regola di riparto dell’onere della prova, ha valutato le risultanze istruttorie e, con apprezzamento logicamente motivato, incensurabile in cassazione, ha ritenuto provato da parte dell’attrice l’acquisto a titolo originario, per usucapione ventennale, dei terreni intestati alla convenuta. È chiaro che la ricorrente, che pure lamenta un error in iudicando, in realtà intende ottenere una diversa ricostruzione dei fatti di causa, censurando l’accertamento di fatto operato dal giudice di merito. Si tratta di una critica inammissibile giacché l’ipotetica erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa, non integra il vizio di violazione di legge;
3. il terzo motivo – “Violazione e/o falsa applicazione di norme ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 948 c.c. e ss.” – censura la sentenza impugnata per avere ritenuto assorbita la domanda riconvenzionale di rivendicazione proposta dalla società R. s.r.l.;
3.1. il motivo è infondato;
3.2. la Corte d’appello, nel disattendere uno specifico rilievo dell’appellante (quinto motivo di gravame), ha correttamente statuito (cfr. pag. 12 della sentenza) che «la domanda riconvenzionale di rivendicazione avanzata dalla società R. s.r.l. deve ritenersi assorbita […] dalla conferma del riconosciuto acquisto per usucapione in favore di G. Lucia delle particelle rivendicate», il che significa che l’accoglimento della domanda principale di usucapione comporta l’implicito rigetto della domanda riconvenzionale di rivendicazione del medesimo compendio immobiliare;
4. il quarto motivo – “Violazione e/o falsa applicazione di norme ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c.” - , censura la sentenza impugnata per avere omesso di motivare sulla domanda, proposta dalla società R. S.r.l. nell’atto di appello, secondo cui la sig.ra G., a tutto concedere, non avrebbe usucapito il diritto di proprietà, ma un diritto reale differenze come, ad esempio, il diritto di superficie;
4.1. il motivo è infondato;
4.2. in disparte la prospettabile inammissibilità della doglianza riconducibile a ciò, che la violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., integra un error in procedendo che la parte ha erroneamente sussunto entro il parametro dell’error in iudicando di cui al n. 3 del primo comma dell’art. 360, cod. proc. civ., in ogni caso il rilievo critico è privo di pregio. Detto che la Corte d’appello ha pronunciato, accogliendola, sulla domanda di usucapione del diritto di proprietà prospettata dell’attrice, a prescindere dal riferimento all’art. 112, cod. proc. civ., come si desume dal testo del ricorso per cassazione – nel quale (pag. 48) si stigmatizza «il difetto di motivazione sul punto inerente la natura del diritto usucapito» -, il fulcro del rilievo della ricorrente riguarda il fatto che la Corte di merito non ha illustrato per quale ragione l’attrice avrebbe usucapito il diritto di proprietà sulle indicate particelle piuttosto che il diritto di superficie sugli immobili abusivi costruiti nel corso degli anni sugli appezzamenti di terreno di proprietà della convenuta.
Al riguardo questa Corte rileva che l’oggetto della domanda è l’usucapione del diritto di proprietà dei terreni e non l’usucapione della proprietà superficiaria degli immobili abusivi; i giudici di merito, sulla scorta di un accertamento di fatto incensurabile in questa sede, hanno riconosciuto nel comportamento dell’attrice i tratti tipici della possessio ad usucapionem del diritto di proprietà dei terreni, la cui manifestazione può senz’altro consistere nell’esercizio dello ius aedificandi che – è bene ricordarlo - trova fonte nel diritto di proprietà, del quale rappresenta una facoltà ex art. 832, cod. civ. (Sez. 2, Sentenza n. 23130 del 12/11/2015, Rv. 637159 - 01);
5. il quinto motivo – “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. in relazione alla natura del diritto usucapito” – ascrive alla sentenza impugnata di non avere esaminato un fatto decisivo, e cioè che non è stata acquisita la prova che l’attrice abbia esercitato prerogative dominicali per intero sulle particelle in contestazione, dato che la medesima attività dalla stessa posta in essere consisterebbe nell’invasione di una piccola parte degli appezzamenti di terreno di proprietà della società R. s.r.l. con manufatti abusivi. Con la precisazione che le Sezioni Unite (sentenza n. 3873/2018) hanno chiarito che, concettualmente e giuridicamente, la costruzione realizzata su un bene altrui produce, alternativamente, l’accessione oppure, in casi particolari, l’usucapione non dell’intero terreno gravato dal manufatto, bensì della sola proprietà superficiaria della medesima costruzione;
5.1. il motivo è inammissibile;
5.2. opera, infatti, la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348-ter, quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis), che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” e che risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cd. doppia conforme). La ricorrente non indica, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., sotto quale aspetto siano tra loro diverse le ragioni di fatto su cui si fondano, rispettivamente, la sentenza di primo grado e la sentenza di rigetto dell’appello (ex multis, Cass. n. 5947 del 2023);
6. in conclusione, rigettati il primo, il terzo e il quarto motivo, dichiarati inammissibili il secondo e il quinto motivo, il ricorso è rigettato; 7
. le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e si liquidano con distrazione, come richiesto in memoria;
8. poiché il ricorso è deciso in conformità della proposta formulata ai sensi dell’art. 380-bis, cod. proc. civ., vanno applicati – come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis, cod. proc. civ. – il terzo e il quarto comma dell’art. 96, cod. proc. civ., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro nei limiti di legge (non inferiore ad € 500 e non superiore a € 5.000. Cfr. Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023, Rv. 668909 – 01; Sez. U, Ordinanza n. 27195 del 22/09/2023, Rv. 668850 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 27947 del 04/10/2023, Rv. 669107 – 01); 9. ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto;
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 4.800,00, più € 200,00, per esborsi, oltre al 15 per cento per il rimborso delle spese generali, e agli accessori di legge, con distrazione a favore dell’avv. Giovanni R. dichiaratosi anticipatario. Condanna la ricorrente al pagamento della somma di € 4.800,00, in favore della controricorrente e di un’ulteriore somma di € 3.000,00, in favore della Cassa delle Ammende. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 6 febbraio 2024.