Giu In caso di contitolarità del diritto di enfiteusi, un coenfiteuta non può far valere in proprio favore e a danno degli altri coenfiteuti la prescrizione estintiva per non uso ai sensi dell'art. 970 c.c.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE - SENTENZA 01 marzo 2023 N. 6127
Massima
In caso di contitolarità del diritto di enfiteusi, un coenfiteuta non può far valere in proprio favore e a danno degli altri coenfiteuti la prescrizione estintiva per non uso ai sensi dell'art. 970 c.c., avendo questa lo scopo di riespandere il diritto del concedente da nuda proprietà a proprietà piena. Il coenfiteuta che deduca di aver manifestato un possesso corrispondente all'esercizio del diritto esclusivo di enfiteusi sul fondo, incompatibile con il possesso degli altri coenfiteuti, può invece domandare che sia accertato in suo favore l'acquisto per usucapione dell'enfiteusi, che si sostituisce all'iniziale coenfiteusi.

Casus Decisus
Assunta D., Alessio D., Valentina Aurora D., Sara D., Claudia Ilaria D., Danila Roberta D., Roberto D., Veronica D. e Alessia D., eredi di Giuseppe D., hanno proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia n. 764/2019, pubblicata il 26 marzo 2019. Resistono con controricorso Maria Silvana D., Giuseppe D. e Valentino D.. La Corte d'appello di Brescia ha rigettato l'appello proposto da Giuseppe D. avverso la sentenza del Tribunale di Brescia, sezione distaccata di Breno, n. 40 del 2013, che aveva, fra l'altro, respinto la domanda proposta da Giuseppe D. volta ad accertare che non sussisteva alcun diritto di Maria Silvana D., Giuseppe D. e Valentino D. sui fondi siti in località Volano del Comune di Cimbergo, già oggetto di coenfiteusi, essendosi estinto per prescrizione dovuta a non uso ventennale il diritto di enfiteusi degli stessi. La Corte di Brescia ha affermato che l'unica questione ancora in discussione concerneva, appunto, il rigetto della domanda di accertamento dell'estinzione del diritto di enfiteusi in capo a Maria Silvana, Giuseppe e Valentino D. in ragione dell'asserito mancato utilizzo dei beni, che risultavano occupati dal solo appellante Giuseppe D. a far tempo dal 1982. Tale ultima circostanza, ovvero il godimento del fondo da parte del solo Giuseppe D. sin dal 1982, è data per certa dalla Corte di Brescia; tuttavia, la sentenza impugnata ha affermato che la consegna spontanea del godimento dell'immobile da parte degli appellati al congiunto (a seguito di sua richiesta e dopo che la madre dei medesimi appellati aveva esercitato sui fondi l'azienda alberghiera) non poteva essere interpretata come rinuncia al diritto di enfiteusi, ovvero come indizio dell'esistenza di un esercizio esclusivo ed escludente altri dei diritti di coenfiteusi. La Corte di Brescia ha ritenuto inapplicabile l'art. 970 c.c., in quanto norma che regola i rapporti fra concedente ed enfiteusi e non rilevante nei rapporti fra coenfiteuti. Per la Corte d'appello, la questione in esame concerneva, piuttosto, la possibilità che il diritto reale parziale di un contitolare si estenda in danno degli altri contitolari, pur mantenendo la stessa estensione nei confronti del proprietario. La sentenza impugnata ha precisato che non poteva essere messa in dubbio la natura comune del diritto di enfiteusi, essendovi stata acquiescenza sulla statuizione di primo grado che aveva negato ogni valore all'atto di divisione dei fondi, e che la consegna del bene a Giuseppe D. da parte degli altri coenfiteuti aveva costituito soltanto un riconoscimento al diritto di esercitare nei confronti del proprietario i poteri nascenti dalla enfiteusi, e non una dismissione dei loro diritti. Neppure risultava che Giuseppe D. avesse compiuto, ai sensi dell'art. 1102 c.c., un atto di interversione idoneo a mutare il titolo del suo possesso. D'altro canto, l'esercizio del diritto di affrancazione nel maggio 1998 ad opera dei coenfiteuti, ben prima del compimento di ogni termine prescrizionale, configurava utile esercizio del diritto di enfiteusi. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all'art. 380-bis c.p.c., in relazione all'art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., venne fissata l'adunanza della camera di consiglio in data 11 novembre 2020. Il Collegio affermò, tuttavia, che non ricorresse l'ipotesi prevista dall'art. 375, comma 1, numero 3, c.p.c. La causa, perciò, con ordinanza interlocutoria n. 10133/2021, venne rimessa alla pubblica udienza della sezione semplice e rinviata a nuovo ruolo. Il ricorso è stato quindi deciso in camera di consiglio procedendo nelle forme di cui all'art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. Le parti hanno presentato memorie.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE - SENTENZA 01 marzo 2023 N. 6127 D'ASCOLA PASQUALE

1. Il primo motivo del ricorso di Assunta D., Alessio D., Valentina Aurora D., Sara D., Claudia Ilaria D., Danila Roberta D., Roberto D., Veronica D. e Alessia D., eredi di Giuseppe D., deducono la violazione o falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., per l'accoglimento dell'eccezione di parte sulla inapplicabilità dell'art. 970 c.c., giacché regolante i soli rapporti fra concedente ed enfiteuta, proposta dagli appellati per la prima volta nel giudizio di appello, in sede di comparsa di costituzione del 15 ottobre 2014, sebbene l'eccezione di prescrizione per non uso fosse stata sollevata da Giuseppe D. già nella comparsa di risposta del giudizio di primo grado. Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione o falsa applicazione dell'art. 970 c.c. in ordine alla ritenuta applicabilità di tale norma ai soli rapporti fra concedente ed enfiteuta e non anche ai rapporti fra coenfiteuti.

Ad avviso dei ricorrenti, il tenore letterale dell'art. 970 c.c. non porta a tale conclusione, né rileverebbe nella presente lite il diverso principio dettato dall'art. 1073, comma 5, c.c., in tema di servitù. Peraltro, l'art. 2939 c.c. legittima ad opporre la prescrizione anche i terzi che ne abbiano interesse. Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in ordine alla errata qualificazione della domanda giudiziale, ed ancora la violazione o falsa applicazione dell'art. 970 c.c. in ordine al ritenuto mancato compimento da parte di Giuseppe D. di atti idonei a mutare il suo possesso in esercizio esclusivo dell'enfiteusi. I ricorrenti precisano che l'unica domanda proposta dal loro dante causa atteneva alla prescrizione per non uso ventennale del diritto dei coenfiteuti, ai sensi dell'art. 970 c.c., emergendo peraltro il non uso dal 1982 come fatto pacifico e non sussistendo idonei atti interruttivi di tale termine prescrizionale.

2. Sono superabili le eccezioni dei controricorrenti in ordine alla inammissibilità dei motivi di ricorso, quanto all'osservanza dei requisiti di contenuto-forma di cui all'art. 366, comma 1, c.p.c., facendo le censure indicazione degli atti e dei documenti sui quali si fondano e recando con sufficiente specificità le relative ragioni. I tre motivi di ricorso vanno, poi, esaminati congiuntamente, giacché connessi, e risultano infondati.

2.1. L'art. 970 c.c. (Prescrizione del diritto dell'enfiteuta), secondo il quale il diritto dell'enfiteuta si prescrive per effetto del non uso protratto per venti anni, costituisce applicazione del generale istituto della prescrizione, sicché tornano applicabili anche tutte le norme dettate negli artt. 2934 e ss. c.c., purché compatibili con la natura di diritto reale dell'enfiteusi.

2.2. Nel codice civile del 1942, come già nel codice civile del 1865, l'enfiteusi si configura, infatti, come un diritto reale di godimento su cosa altrui a favore del concessionario o utilista del fondo, che rimane di proprietà del concedente. Pertanto, mentre è possibile la prescrizione per non uso del diritto del concessionario, il diritto del concedente è imprescrittibile. La proprietà, naturalmente, può essere acquistata da chiunque con il possesso ad usucapionem protratto per il termine di legge, ma l'enfiteuta, proprio perché il suo possesso corrisponde all'esercizio di un diritto reale su cosa altrui, non può - per il chiaro disposto dell'art 1164 c.c. - usucapire la proprietà se il titolo del suo possesso non sia mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario (Cass. Sez. 2, 15/11/1976, n. 4231; Cass. Sez. 2, 02/02/1973, n. 323; Cass. Sez. 2, 10/10/1962, n. 2904).

2.3. Il non uso consiste nell'oggettiva mancanza di esercizio dei poteri inerenti all'enfiteusi ex art. 959 c.c. L'uso che impedisce la prescrizione del diritto, ai sensi dell'art. 970 c.c., ricorre, peraltro, non solo se il fondo sia coltivato dall'enfiteuta, direttamente o tramite suoi dipendenti, ma anche in ipotesi di utilizzazione ad opera di terzi insediati dall'enfiteuta (o, come avvenuto nella specie, secondo quanto accertato in fatto dalla Corte d'appello, ad opera di uno solo dei coenfiteuti, al quale i restanti avevano concesso a titolo precario il godimento esclusivo). Si ha invece non uso solo se vi sia stato un abbandono totale del fondo o una radicale dismissione del suo godimento, da ravvisarsi anche quando il terzo che coltivi il fondo sia un occupante abusivo ed abbia agito senza o contro la volontà dell'utilista, il quale sia rimasto inerte di fronte all'illegittima occupazione (così Cass, Sez. 2, 08/02/1989, n. 782).

2.4. Venendo alle peculiarità della fattispecie in esame, deve considerarsi che nell'ipotesi in cui l'enfiteusi spetta in comune a più contitolari non si hanno tanti autonomi diritti di enfiteusi a favore di ciascuno dei coenfiteuti, ma va ravvisata una sola enfiteusi comune a tutti e da tutti esercitata indistintamente, sicché neppure è concepibile una estinzione "pro quota" per prescrizione della stessa.

2.5. In forza del principio dispositivo della prescrizione (art. 2938 c.c.), la prescrizione per non uso dell'enfiteusi non può pertanto essere fatta valere che dal concedente, a vantaggio del quale essa opera ove l'enfiteuta non eserciti il suo diritto. D'altro canto, la prescrizione per non uso del diritto dell'enfiteuta, ex art. 970 c.c., è espressione di una causa generale di estinzione dei iura in re aliena, in quanto questi limitano e comprimono la proprietà, e lo scopo della prescrizione (la quale opera sul presupposto che manchi l'esercizio effettivo di quel diritto e sia perciò venuta meno anche la ragionevolezza di quella limitazione) è il riespandersi del diritto del concedente da nuda proprietà a proprietà piena, in forza del principio dell'elasticità del dominio.

Al fine di sostenere, come chiedono i ricorrenti, che un coenfiteuta possa fare valere la prescrizione per non uso in danno degli altri coenfiteuti, non viene in gioco nemmeno la legittimazione surrogatoria all'opponibilità della prescrizione di cui all'art. 2939 c.c., in quanto tale norma riconosce che la prescrizione possa essere opposta, oltre che dai creditori, da chiunque altro abbia interesse in luogo della parte che non la faccia valere o che vi abbia rinunziato, ma sempre che si tratti di un interesse giuridico inerente a specifici rapporti fra la parte ed il terzo interessato, e comunque comporta soltanto l'effetto di estinguere ogni pretesa del titolare del diritto inesercitato nei confronti del terzo eccipiente, senza incidere nel rapporto tra soggetto attivo e soggetto passivo surrogato (Cass. Sez. 3, 20/02/1976, n. 567; Cass. Sez. 3, 04/03/1977, n. 893; Cass. Sez. 3, 09/04/2001, n. 5262).

2.6. Come limpidamente affermato in dottrina, pertanto, è estranea all'ambito di applicabilità dell'art. 970 c.c., sulla prescrizione del diritto dell'enfiteuta, la prescrizione (quale quella invocata da Giuseppe D.) invocata a favore di un coenfiteuta e a danno di altri coenfiteuti, giacché in tal caso non si ha estinzione della (unica) enfiteusi comune, ma, al più, una eventuale sostituzione di una enfiteusi ad una coenfiteusi o la concentrazione di più quote di coenfiteusi in un unico oggetto.

2.7. Affinché nel caso in esame si pervenisse ad affermare che alla coenfiteusi si fosse "sostituita" una enfiteusi spettante al Giuseppe D., era quindi necessario che questi avesse manifestato un possesso corrispondente all'esercizio del diritto esclusivo di enfiteusi sul fondo attraverso un'attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso degli altri coenfiteuti, e non invece conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte di costoro (come la Corte d'appello ha ritenuto verificatosi nella specie per effetto della consegna del bene), in quanto tale suscettibile di condurre all'acquisto per usucapione di tale diritto (arg. da Cass. Sez. 2, 05/12/1992, n. 12964).

2.8. Nella memoria presentata ai sensi dell'art. 378 c.p.c., i ricorrenti, allo scopo di contrastare le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, affermano che "il coenfiteuta che, per un ventennio, rimanga inerte davanti all'utilizzo esclusivo e animo proprio della cosa da parte di un co-enfiteuta subisce la prescrizione acquisitiva del diritto a favore del contitolare ex art. 1102 c.c.", e obiettano che non si comprenderebbe "per quale ragione, la medesima situazione (possessi° ad excludendum e utilizzo animo proprio della cosa) che può dar luogo a prescrizione acquisitiva a favore del coenfiteuta che usa la cosa non possa, invece, dar luogo a prescrizione estintiva in danno al contitolare che non usa la cosa e rimane inerte a fronte delle pretese di esclusività altrui". Sennonché, è facile considerare che l'usucapione, o prescrizione acquisitiva, e la prescrizione estintiva (nella specie, per non uso dei diritti reali parziali) configurano domande o eccezioni diverse, sia nei presupposti che nelle finalità (cfr. Cass. Sez. 2, 16/02/1978, n. 74; Cass. Sez. 2, 07/09/1977, n. 3890; Cass. Sez. 2, 27/05/1966, n. 1379): dunque, riconoscere al coenfiteuta Giuseppe D. la legittimazione far valere l'usucapione dell'enfiteusi per il possesso esclusivo avutone non equivale a riconoscere la legittimazione dello stesso a far valere la prescrizione per non uso del diritto spettantr agli altri coenfiteuti. La prescrizione acquisitiva o usucapione è un modo d'acquisto a titolo originario della proprietà o di altro diritto reale di godimento, effetto del possesso continuato nel tempo e non dell'inerzia o della negligenza del proprietario. La prescrizione estintiva, esattamente al contrario, è un modo di estinzione del diritto conseguenza dell'inerzia del suo titolare, e non dell'esercizio di fatto che altri ne abbia svolto.

3. Va pertanto enunciato il seguente principio: in caso di contitolarità del diritto di enfiteusi, un coenfiteuta non può far valere in proprio favore e a danno degli altri coenfiteuti la prescrizione estintiva per non uso ai sensi dell'art. 970 c.c., avendo questa lo scopo di riespandere il diritto del concedente da nuda proprietà a proprietà piena. Il coenfiteuta che deduca di aver manifestato un possesso corrispondente all'esercizio del diritto esclusivo di enfiteusi sul fondo, incompatibile con il possesso degli altri coenfiteuti, può invece domandare che sia accertato in suo favore l'acquisto per usucapione dell'enfiteusi, che si sostituisce all'iniziale coenfiteusi.

3.1. Alla luce di tale principio, si giustifica il rigetto dei tre motivi di ricorso.

3.1.1. E' infondato il primo motivo, in quanto non introduce una nuova eccezione, vietata dall'art. 345, comma 2, c.p.c., l'appellato che deduca che un coenfiteuta non può far valere in danno degli altri coenfiteuti la prescrizione estintiva per non uso ai sensi dell'art. 970 c.c., trattandosi di mera argomentazione difensiva volta unicamente a prospettare una corretta qualificazione giuridica del diritto azionato dalla controparte. 3.2. E' infondato il secondo motivo di ricorso, avendo la Corte d'appello di Brescia correttamente ritenuto estranea all'ambito di applicabilità dell'art. 970 c.c. la prescrizione invocata a favore di un coenfiteuta e a danno di altri coenfiteuti.

3.3. Deve essere comunque respinto il terzo motivo di ricorso. Gli stessi ricorrenti deducono che l'unica domanda proposta dal loro dante causa atteneva alla prescrizione per non uso ventennale del diritto dei coenfiteuti, ai sensi dell'art. 970 c.c.; di ciò, invero, si mostra consapevole anche la sentenza della Corte di Brescia, affermando in premessa che l'unica questione ancora in discussione concerneva, appunto, il rigetto della domanda di accertamento dell'estinzione del diritto di enfiteusi in capo a Maria Silvana, Giuseppe e Valentino D. in ragione dell'asserito mancato utilizzo dei beni, che risultavano occupati dal solo appellante Giuseppe D. a far tempo dal 1982. Erano dunque estranei al "thema decidendum" su cui i giudici di secondo grado erano chiamati a pronunziarsi, determinato dalle questioni effettivamente devolute, le considerazioni svolte in sentenza in relazione ai limiti di cui all'art. 1102 c.c. e alla prova del mutamento del titolo del possesso, non essendo stata proposta una domanda di accertamento dell'usucapione. Il terzo motivo di ricorso va comunque ritenuto inammissibile, in parte qua, per difetto di interesse all'impugnazione, in quanto censura per vizio di ultrapetizione un argomento in sé del tutto superfluo, che i giudici di appello, confermando la sentenza impugnata per ragioni di per sé sufficienti al rigetto del gravame, hanno ritenuto di aggiungere. Nonostante l'effetto sostitutivo della sentenza d'appello, il riferimento all'art. 1102 c.c. e all'interversione del possesso non riveste alcuna influenza sulla pronuncia adottata, e, in quanto considerazione fatta in via di abbondanza, resta un obiter dictum (cfr. Cass. Sez. L, 07/06/1995, n. 6397; Cass. Sez. 2, 13/11/2020, n. 25790). Sono invece del tutto carenti di decisività, per quanto finora spiegato, le allegazioni contenute nel terzo motivo di ricorso circa il fatto che i beni oggetto di causa erano stati goduti unicamente da Giuseppe D. o circa la mancanza di atti di interruzione della prescrizione.

4. Il ricorso va perciò rigettato, con condanna in solido dei ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione. Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi C 3.200,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 14 dicembre 2022.