Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 2719 e 2697, c.c., lamentando che la Corte d’appello non ha tenuto conto del fatto che i titoli cambiari erano stati disconosciuti in maniera generica e, dunque, inammissibile, nell’ambito del giudizi di opposizione a precetto, conclusosi con la citata sentenza del 2009. Al riguardo, i ricorrenti, premesso che i 29 titoli cambiari prodotti in copia erano identici, circa la morfologia della firma riferita al F., a quelli descritti nell’atto di opposizione a precetto notificato il 29.12.91, deducono che tali titoli rappresentavano una promessa di pagamento, ex art. 1988 c.c., e che la relativa presunzione del credito non era stata superata dalla controparte, sia per il giudicato sull’insussistenza di cause estintive del credito, sia perché quest’ultima aveva sempre riconosciuto il debito sotteso all’emissione dei predetti titoli.
Il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 66 l.c., per aver la Corte d’appello accolto erroneamente l’eccezione degli eredi F. in ordine all’applicazione della suddetta norma, secondo la quale costituisce condizione di procedibilità dell’azione causale la previa offerta di restituzione degli originali dei titoli cambiari e il loro deposito in cancelleria, non sussistendo la relativa ratio (evitare che il debitore sia esposto sia all’azione causale che a quella cambiaria), posto che essi erano rimasti depositati nel fascicolo del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ormai prescritti e privi di efficacia cambiaria.
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 132, c.2, n. 4, c.p.c., 2909 c.c., per motivazione apparente e contraddittoria, in quanto la sentenza del 2009 non riguardò l’azione cambiaria, ma quella causale in senso negativo, e considerando che entrambe le cause, pur presentando finalità diverse, avevano un presupposto comune, cioè la sussistenza del credito sostanziale, relativo allo stesso rapporto.
Pertanto, i ricorrenti si dolgono che la Corte territoriale non abbia valorizzato il giudicato, accogliendo l’impugnativa, affermando invece che l’accertamento negativo concerneva l’azione cambiaria, e non lo stesso rapporto, e comunque non l’azione causale, avendo in realtà la stessa Corte ignorato che il F. aveva spiegato domanda d’accertamento negativo riguardo al rapporto sottostante, e non riguardo alle cambiali. I ricorrenti adducono, dunque, a sostegno del motivo, ancora la questione dell’inefficacia dei titoli cambiari accertata dal Tribunale nel giudizio d’opposizione a precetto (poi deciso con la suddetta sentenza definitiva del 2009), sulla scorta dell’ammissione del creditore sull’intervenuta prescrizione cambiaria, con relativa delimitazione dell’oggetto del giudizio all’accertamento negativo del credito sottostante all’emissione dei detti titoli (come peraltro confermato dallo stesso opponente, a verbale, in ordine al fatto di non aver più interesse all’opposizione cambiaria).
Dalle ragioni esposte i ricorrenti deducono che la sentenza della Corte d’appello del 2009 aveva costituito giudicato esterno espansivo sul rapporto giuridico oggetto del giudizio in questione, con riferimento, appunto, alla sola questione della sussistenza del credito sottostante all’emissione dei titoli (riguardante una fornitura di merce).
Il primo motivo è inammissibile. La Corte d’appello ha escluso che la sentenza definitiva, emessa nel 2009, possa esplicare effetti di giudicato espansivo sull’inesistenza della prescrizione (ordinaria) del credito e dell’estinzione dello stesso per pagamento; tale sentenza, pronunciata sull’opposizione a precetto cambiario promossa da Mario F., ha accertato la prescrizione dell’azione cambiaria- i titoli risalivano al 1991-, ma ha infatti escluso l’accertamento negativo del debito, sotteso alle cambiali.
Al riguardo, la Corte territoriale ha argomentato che il Tribunale aveva correttamente escluso il giudicato per la diversità delle azioni esercitate nei due giudizi (azione cambiaria nel giudizio conclusosi con la sentenza del 2009, e azione causale nel giudizio in questione), considerate le differenti causae petendi.
Ora, va osservato che l'interpretazione e l'applicazione del giudicato esterno con l'individuazione del suo contenuto e della sua portata, desumibile dal dispositivo e dai motivi che ne costituiscono il presupposto necessario, spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se la motivazione è corretta, sufficiente e coerente, ed esente da vizi logico – giuridici (Cass., n. 13749 del 09/12/1999; n. 16959/03). Inoltre, il giudicato va assimilato agli elementi normativi, sicché la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell'esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, e gli eventuali errori interpretativi sono sindacabili sotto il profilo della violazione di legge; ne consegue che l'accertamento del giudicato può essere effettuato dal giudice anche d'ufficio e pure in grado di appello (Cass., n, 15339/18).
Nel caso concreto, è da ritenere che la Corte d’appello abbia correttamente delineato ed interpretato il giudicato esterno rappresentato dalla citata sentenza del 2009, sulla scorta delle diversità della causa petendi dei due giudizi e dei relativi fatti costitutivi, in conformità del principio secondo il quale l'autorità del giudicato sostanziale opera, infatti, solo entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell'azione e presuppone che tra la precedente causa e quella in atto vi sia identità, non solo di parti, ma anche di petitum e di causa petendi(Cass., n. 19048/21).
Al riguardo, non si ravvisano nella sentenza impugnata, correttamente argomentata, le lamentate violazioni di legge, avendo la Corte territoriale chiaramente evidenziato la diversità dei due giudizi in questione. Inoltre, se è vero che la sentenza del 2009 aveva statuito sull’accertamento negativo del credito fatto valere dal possessore dei titoli cambiari, in un giudizio promosso come opposizione a precetto, nel corso del quale le parti avevano escluso l’efficacia cambiaria dei titoli prodotti poiché prescritti, è altresì vero che tale condotta processuale non ha implicato, come invocano i ricorrenti, la commutazione dell’azione cambiaria in azione causale- non essendo variati i fatti materiali che giustificavano la pretesa creditoria- e, di conseguenza, la formazione del giudicato esterno che sarebbe stato preclusivo della successiva azione causale.
Il secondo motivo, circa la corretta applicazione dell’art. 66 l.c., è da ritenere assorbito dall’inammissibilità del primo motivo, sulla scorta della ritenuta diversità dei due giudizi.
Il terzo motivo è invece inammissibile perché denuncia vizio di motivazione, ovvero motivazione apparente, mentre la sentenza impugnata contiene, come detto, una chiara esposizione argomentativa sull’insussistenza del giudicato esterno invocato dai ricorrenti. Nulla per le spese, attesa la mancata difesa delle parti intimate.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, del d.p.r. n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, ove dovuto. Così deciso nella camera di consiglio dell’11 gennaio 2024.