1. Con l’unico motivo di ricorso il B. denunzia ‹‹Nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione della legge n. 247 del 31.12.2012, in particolare dell’art. 13, 10° comma (spese generali o forfetarie), in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione di norma di diritto sostanziale, nonché in relazione all’art. 360 n. 5), c.p.c., per omesso esame, nonché per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, circa fatti decisivi per il giudizio, tutti oggetto di discussione tra le parti, che rende di difficile comprensione il processo logico/giuridico adottato››. Lamenta che la Corte territoriale, pur riconoscendo la debenza di I.V.A. e C.P.A., ha negato il rimborso delle spese generali, in palese contrasto con la giurisprudenza di legittimità che prevede, al contrario, che il rimborso delle spese generali spetta all’avvocato in via automatica e con determinazione ex lege, a prescindere da una esplicita menzione in sentenza.
2. La controricorrente, in via preliminare, ha chiesto dichiararsi l’intervenuta cessazione della materia del contendere e comunque la carenza di interesse ad agire dell’odierno ricorrente, rappresentando che la sentenza di primo grado pronunciata nell’ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è stata travolta dalla sentenza resa dalla Corte di appello di Roma n. 8018/2019, che ha revocato il decreto ingiuntivo opposto, condannandola al pagamento, in favore del B., della minor somma di euro 13.400,00, ‹‹oltre accessori di legge e rimborso forfettario››, e che tale pronuncia è ormai divenuta definitiva per essere stata dichiarata, con ordinanza n. 27844/2021, l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dal B. avverso la sentenza d’appello.
2.1. La questione che si pone, che attiene alla rilevanza della caducazione del titolo esecutivo giudiziale in corso del giudizio di opposizione all'esecuzione, ai fini della decisione da adottare e delle conseguenti ricadute in ordine alla liquidazione delle spese di lite, è stata affrontata e composta dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 25478 del 2021, con cui è stato enunciato il principio di diritto, secondo cui «in caso di esecuzione forzata intrapresa sulla base di un titolo giudiziale non definitivo, la sopravvenuta caducazione del titolo per effetto di una pronuncia del giudice della cognizione (nella specie: ordinanza di convalida di sfratto successivamente annullata in grado di appello) determina che il giudizio di opposizione all'esecuzione si debba concludere non con l'accoglimento dell'opposizione, bensì con una pronuncia di cessazione della materia del contendere; per cui il giudice di tale opposizione è tenuto a regolare le spese seguendo il criterio della soccombenza virtuale, da valutare in relazione ai soli motivi originari di opposizione».
2.2. Facendo applicazione di tale principio nel caso specifico, pare indubbia la ricorrenza della caducazione in separata sede del titolo esecutivo giudiziale provvisorio posto a base del precetto oggetto dell’opposizione definita con la sentenza gravata: pertanto, va dichiarata la cessazione della materia del contendere, restandone travolte le pronunce – nel presente giudizio succedutesi – sulle contestazioni all’esecuzione intrapresa con il titolo esecutivo ormai caducato; ma, al contempo, occorre valutare, ai fini della soccombenza virtuale, se fosse o meno fondato il motivo di opposizione con cui la odierna controricorrente ha dedotto l’erronea applicazione, sulla somma capitale portata dal decreto ingiuntivo, di I.V.A., C.P.A. e di spese generali.
La sentenza in questa sede impugnata ha ritenuto spettanti al B. le somme pretese a titolo di I.V.A. e C.P.A., sicché, in difetto di impugnazione di tale statuizione, il tema da considerare si restringe alla sola contestazione del rimborso delle spese generali. Anche sotto tale profilo, però, l’opposizione sarebbe stata sicuramente infondata, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello. Difatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il rimborso c.d. forfettario delle spese generali (nella specie ai sensi dell'art. 1, comma 2, del d.m. n. 140 del 2012) costituisce una componente delle spese giudiziali, la cui misura è predeterminata dalla legge, e compete automaticamente al difensore, anche in assenza di allegazione specifica e di apposita istanza, che deve ritenersi implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali che incombe sulla parte soccombente (Cass., sez. 1, n. 13693 del 30/05/2018; Cass., sez. 2, 04/04/2019, n. 9385; Cass., sez. 6 -2, 22/01/2021, n. 1421).
Discende dalle superiori considerazioni che, in ragione dell’integrale infondatezza dell’opposizione, l’odierno ricorrente debba essere reputato virtualmente vittorioso.
3. In definitiva, la causa può essere decisa nel merito con la declaratoria di cessazione della materia del contendere. Le spese, liquidate secondo il criterio della soccombenza virtuale, sono liquidate come in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte, pronunciando sul ricorso, dichiara cessata la materia del contendere. Condanna la controricorrente alla rifusione, in favore del ricorrente, delle spese di lite, che liquida, per il giudizio di primo grado, in euro 1.500,00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge; per il giudizio di secondo grado, in euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, e per il giudizio di legittimità in euro 1.500,00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione