1. Va pregiudizialmente disattesa l’istanza di trattazione della presente controversia in pubblica udienza.
1.1. In adesione all'indirizzo espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell'esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass. S.U. n. 14437 del 05/06/2018), e non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass. S.U. n. 8093 del 23/04/2020).
1.2. In particolare, la sede dell'adunanza camerale non è incompatibile, di per sé, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo.
1.3. Nel caso in questione, il tema oggetto del giudizio è nuovo nella giurisprudenza di questa Corte, ma non è inedito, in quanto compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti, come si chiarirà nel prosieguo.
1.4. Quanto al profilo delle esigenze difensive va anzitutto sottolineato che, in conformità alla giurisprudenza sovranazionale, il principio di pubblicità dell'udienza, pur previsto dall'art. 6 CEDU e avente rilievo costituzionale, non riveste carattere assoluto e vi si può derogare in presenza di «particolari ragioni giustificative», ove «obiettive e razionali» (in particolare, Corte cost. n. 80 dell’11/03/2011); inoltre, dette esigenze sono in concreto presidiate, perché la parte istante ha illustrato le proprie posizioni depositando osservazioni scritte.
2. Con il primo motivo di ricorso R. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Testo unico delle leggi doganali - TULD), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto la responsabilità di R. sebbene quest’ultima abbia assolto all’obbligazione e sia vittima del comportamento fraudolento di un terzo soggetto, lo spedizioniere, così assumendo una decisione in violazione degli artt. 3, 53 e 97 Cost. In subordine si formula questione di legittimità costituzionale della disposizione richiamata.
2.1. Con il secondo motivo di ricorso si contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 82, § 2, del Regolamento CE n. 450 del 2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 (cd. Codice doganale aggiornato), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto che la società contribuente non possa essere esentata dal nuovo pagamento in ragione del principio del legittimo affidamento. In subordine, si formula questione pregiudiziale in ordine al contrasto dell’interpretazione propugnata dal giudice di appello con il principio del legittimo affidamento.
3. I due motivi, che vanno congiuntamente esaminati involgendo questioni connesse, sono infondati.
3.1. Preliminarmente, appare necessario ricostruire nel dettaglio il fatto, che, peraltro, risulta pacifico.
3.1.1. R. ha importato della merce dall’estero a mezzo lo spedizioniere Giuseppe F., il quale agisce altresì come rappresentante diretto dell’importatore. Come tale, quest’ultimo ha reso la dichiarazione in dogana per conto dell’importatore e ha provveduto al versamento di due assegni circolari in favore dell’Erario costituenti l’importo dovuto a titolo di IVA all’importazione.
3.1.2. F., peraltro, si è avvalso della facoltà di differire il pagamento dei tributi doganali ai sensi degli artt. 78 e 79 del TULD. Secondo le superiori disposizioni, coloro che effettuano con carattere di continuità operazioni doganali possono ottenere, previo rilascio di apposita cauzione, la libera disponibilità della merce senza il preventivo pagamento dei diritti liquidati, i quali sono annotati, per ciascun operatore, in apposito conto di debito ed assolti periodicamente dall’operatore doganale, normalmente entro trenta giorni.
3.2.2. Nel caso di specie, lo spedizioniere ha reso una dichiarazione infedele rispetto a quella concordata con l’importatore, ma ha comunque provveduto al versamento dell’intero importo dell’IVA dovuta, che è stata regolarmente incassata dall’Erario, peraltro, senza alcuno specifico riferimento all’obbligazione doganale concretamente assolta.
3.3. Orbene, in sede di rettifica, l’Amministrazione doganale, in ragione della dichiarazione, sia pure infedele, effettivamente presentata da F. per conto di R., ha chiesto all’importatore il pagamento del residuo debito d’imposta in quanto il pagamento effettuato da F. con assegni circolari è stato imputato, parzialmente, ad altri debiti di quest’ultimo, risultanti dal conto acceso presso l’Amministrazione doganale.
3.4. In altri termini, secondo la corretta prospettazione della CTR, il pagamento è confluito nel conto F. (di cui R. era a conoscenza, come evidenziato dal giudice di appello e non contestato dalla ricorrente) e, in ragione del meccanismo di funzionamento proprio di questo conto, non è stato imputato all’operazione doganale per la quale l’IVA doveva essere versata, ma, quanto meno parzialmente, alla pregressa esposizione dello spedizioniere, sicché non può dirsi che il debito IVA relativo all’operazione di importazione compiuta da R. sia stato assolto.
3.5. Sotto altro profilo, la falsa dichiarazione del rappresentante diretto è imputabile all’importatore che è, in questa fattispecie, il dichiarante. Come tale, dunque, egli non può che rispondere del comportamento del proprio rappresentante ed è tenuto ad assolvere l’obbligazione relativa al pagamento dell’IVA nei limiti di quanto l’Amministrazione doganale l’ha ritenuta non assolta.
3.6. In ipotesi non può nemmeno configurarsi la buona fede di R., come prospettato da parte ricorrente in ricorso.
3.6.1. Va prima di tutto precisato che la disposizione richiamata (l’art. 82, § 1, del Regolamento CE n. 450 del 2008) non è applicabile alla data dell’importazione, non essendo la stessa entrata in vigore (cfr. art. 188 del menzionato Regolamento) e trovando, invece, applicazione l’art. 220 del Regolamento 92/2913/CEE del Consiglio del 12 ottobre 1992 (cd. Codice doganale comunitario - CDC).
3.6.2. Orbene, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «lo stato soggettivo di buona fede dell'importatore, richiesto dall'art 220, comma 2, lett. b) del codice doganale comunitario ai fini dell'esenzione dalla contabilizzazione a posteriori, non ha valenza esimente "in re ipsa", ma solo in quanto sia riconducibile a una delle situazioni fattuali individuate dalla normativa comunitaria, tra le quali va annoverato anche l'errore incolpevole, ossia non rilevabile dal debitore di buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza: tale errore, tuttavia, per assumere rilievo esimente, deve essere in ogni caso imputabile a un comportamento attivo delle autorità doganali, non rientrandovi quello indotto da dichiarazioni inesatte dello stesso operatore o di altri soggetti in quanto l'Unione Europea non è tenuta a sopportare le conseguenze di comportamenti scorretti dei fornitori rientranti nel rischio dell'attività commerciale, contro cui gli operatori economici possono premunirsi solo nell'ambito dei loro rapporti negoziali (così, da ultimo ed ex multis, Cass. n. 18187 del 26/06/2023).
3.6.2. Applicando il principio di diritto al caso di specie, deve senz’altro escludersi lo stato soggettivo di buona fede dell’importatore: sia perché, come anticipato, R. era a conoscenza delle modalità con le quali operava il F., sicché ha accettato il rischio che i pagamenti effettuati potessero essere imputati ad altre pendenze; sia perché non è nemmeno configurabile un errore indotto dal comportamento attivo dell’Amministrazione doganale.
3.6.3. Sotto quest’ultimo profilo, la società ricorrente afferma che vi sarebbero numerosi elementi indiziari di tale comportamento attivo: a) l’incasso da parte di ADM dell’importo dovuto; b) l’errata imputazione delle somme riscosse dall’importatore; c) l’omessa attività di controllo dell’Amministrazione doganale; d) l’indebita concessione al F., in assenza dei requisiti previsti dalla legge, del beneficio del pagamento differito.
3.6.4. Orbene, si è già detto che le circostanze sub a) e b) erano a conoscenza di R., sicché l’eventuale comportamento attivo di ADM non avrebbe potuto indurre in errore la contribuente. Per quanto concerne, invece, le circostanze sub c) e d), la valutazione da parte di ADM sulla meritevolezza dell’attività del F. e l’esenzione concessa a quest’ultimo dalla garanzia (esenzione non illegittima in quanto prevista dall’art. 90 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, Testo unico delle leggi doganali – TULD) attiene all’esercizio ordinario dell’attività amministrativa, inidonea ad integrare quel comportamento attivo richiesto dalla legge, soprattutto in presenza della piena conoscenza, da parte della società contribuente, delle modalità con cui operava F..
3.7. In altri termini, la responsabilità dell’ammanco non può che ricadere sulla società per la quale F. operava, anche in ragione del fatto che le modalità con le quali egli operava (pagamento differito dei diritti doganali) erano pienamente a conoscenza di R.; la quale non può ribaltare sulla UE gli effetti di comportamenti scorretti dei propri rappresentanti doganali, trattandosi di un ordinario rischio di impresa che non può che gravare sull’importatore.
3.8. Va, quindi, enunciato il seguente principio di diritto: «L’importatore a conoscenza dell’ammissione del proprio spedizioniere e rappresentante doganale diretto al beneficio del pagamento differito dei diritti doganali ai sensi degli artt. 78 e 79 del TULD, risponde del comportamento fraudolento del rappresentante, che ha omesso l’ordinario versamento dei diritti doganali da lui dovuti nel termine previsto. Ne consegue che l’importatore è tenuto a versare nuovamente i diritti (nella specie IVA all’importazione) richiesti dall’Amministrazione doganale anche nel caso in cui ne abbia già effettuato – per il tramite del rappresentante – il pagamento, imputato legittimamente, proprio in ragione del peculiare meccanismo di funzionamento del conto di debito, a copertura totale o parziale di pregresse esposizioni dello spedizioniere».
3.9. In relazione alle considerazioni e ai principi sopra esposti vanno disattese le richieste di rimessione alla Corte costituzionale e di rinvio pregiudiziale ex 267 TFUE, di cui non sussistono i presupposti di ammissibilità e rilevanza.
4. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del principio comunitario di obbligatoria instaurazione del contraddittorio preventivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., avendo la CTR ritenuto legittima la rettifica pur in assenza dell’invito dell’importatore a dedurre in relazione alla contestazione mossagli.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, «in materia doganale, il principio del rispetto del contraddittorio anche nella fase amministrativa, pur non essendo esplicitamente richiamato dal CDC, si evince dalle espresse previsioni dell'art. 11 del d.lgs. n. 374 del 1990 e costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogni qualvolta l'Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto a esso lesivo (cfr. Corte di Giustizia, sentenza 18 dicembre 2008, in causa C-349/07). Ne deriva che la denuncia di vizi di attività dell'Ufficio capaci di inficiare il procedimento è destinata ad acquisire rilevanza soltanto se, e in quanto, l'inosservanza delle regole abbia determinato un concreto pregiudizio del diritto di difesa del contribuente, direttamente dipendente dalla violazione che si sia riverberata sui vizi del provvedimento finale» (Cass. n. 2612 del 05/02/2020).
4.3. Il principio è applicabile anche all’IVA all’importazione, come chiarito da Cass. n. 21659 del 29/07/2021, le cui considerazioni appare utile riportare di seguito.
4.3.1. «L’IVA all'importazione non è un diritto di confine ed “è estranea all'obbligazione doganale, pur condividendo con i dazi la caratteristica di trarre origine dall'importazione di beni nell'Unione Europea e dalla loro conseguente introduzione nel circuito economico degli Stati membri” (Cass. n. 7951 del 21/03/2019; Cass. n. 18652 del 13/07/2018; Cass. n. 8473 del 06/04/2018).
Ciò, peraltro, non esclude che, in ragione del richiamo contenuto nell'art. 70 del d.P.R. n. 633 del 1972, IVA all'importazione e diritti di confine (che sono di natura doganale) presentano, quanto a meccanismi applicativi, disciplina comune e, pur configurando tributi distinti e separatamente liquidati, sono resi oggetto di unico prelievo effettuato sulla bolletta doganale quale condizione per il rilascio della merce (così Cass. nn. 1574, 1575, 1576, 1577, 1578, 1579, 1580 e 1581 del 03/02/2012, in motivazione). In altri termini, l’IVA all'importazione condivide con i dazi la caratteristica di trarre origine dal fatto dell'importazione nell'Unione e della susseguente introduzione nel circuito economico degli Stati membri (CGUE 11 luglio 2013, in causa C-272/12, Harry Winston SA, punto 41) (cfr. Cass. n. 8473 del 2018, cit.). E poiché il fatto generatore e l'esigibilità dell'IVA all'importazione sono collegati a quelli dei dazi, ne consegue che la prima non possa che seguire le procedure singolari che caratterizzano i diritti di confine (Cass. n. 26311 del 16/12/2009)».
4.4. Ciò precisato, la sentenza della CTR deve ritenersi conforme ai superiori principi di diritto, avendo evidenziato che la società contribuente non ha ricevuto alcun concreto pregiudizio dalla violazione del contradditorio procedimentale, pregiudizio che, peraltro, non risulta nemmeno specificamente dedotto in appello.
4.5. In ogni caso, la semplice circostanza del pagamento non è idonea a consentire una diversa valutazione da parte di ADM, come più sopra evidenziato.
5. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, della l. 27 luglio 2000, n. 212, per non avere la CTR ritenuto l’illegittimità dell’atto impositivo per difetto di motivazione.
5.1. Il motivo è infondato.
5.2. Dalla trascrizione dell’atto impositivo contenuta in ricorso si evince che la ripresa è stata motivata in ragione della differenza tra la fattura allegata alla dichiarazione resa in dogana e quella in possesso di R..
5.3. Trattasi di motivazione idonea a fare comprendere le ragioni logico-giuridiche sottostanti alla pretesa, a nulla rilevando che la fattura contraffatta non sia stata prodotta in giudizio, non avendo tale circostanza attinenza alla motivazione dell’atto impositivo, ma semmai alla prova di quanto affermato dall’Amministrazione doganale.
6. In conclusione, il ricorso va rigettato.
6.1. La relativa novità della questione giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio. 6.2. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate tra le parti le spese del presente giudizio. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell'art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 23 giugno 2023.