1.1. Con il primo motivo, l’Agenzia delle entrate denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 19, 22, 27 e 57 d.lgs. 31 dicembre 1992, n.546, in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 4, del codice di procedura civile, nonché la violazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 3, del codice di procedura civile. Secondo la ricorrente, la C.t.r. avrebbe omesso di rilevare l’inammissibilità del ricorso per l’omessa allegazione all’istanza di rimborso di documentazione attestante la prova dei versamenti per i quali veniva chiesto il rimborso.
1.2. Il motivo è infondato e va rigettato.
Questa Corte ha già enunciato il principio secondo cui <<Le domande di rimborso, prive delle indicazioni inerenti gli estremi di versamento e gli importi relativi all'ammontare delle ritenute IRPEF, nonché della indicazione degli importi chiesti in restituzione, non possono considerarsi giuridicamente valide e non sono, dunque, idonee alla formazione del silenzio-rifiuto impugnabile, in quanto non consentono di valutare la fondatezza o meno della richiesta; né tale vizio è sanabile con il successivo deposito di documenti, atti a colmare le lacune predette, deposito che è comunque tardivo, in quanto intervenuto nel corso di un procedimento che non avrebbe dovuto neppure essere iniziato >>(Cass. n.4565/2020).
Tuttavia il motivo di ricorso denunzia la mancata allegazione, all’istanza di rimborso, della documentazione attestante l’avvenuto versamento e non un difetto di specificità nelle indicazioni contenute nelle istanze di rimborso, confondendo il piano probatorio, che deve essere oggetto di accertamento da parte del giudice, con il profilo dell’ammissibilità del ricorso avverso il silenzio rifiuto formatosi sulla proposizione delle istanze.
2.1. Con il secondo motivo, l’Agenzia delle entrate denunzia la violazione dell’art.2697 cod. civ., in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 3, del codice di procedura civile, nonché la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 4, del codice di procedura civile. Secondo la ricorrente la C.t.r. avrebbe male applicato le norme in tema di ripartizione dell’onere probatorio, gravante sul contribuente, attore in senso sostanziale.
2.2. Con il terzo motivo, l’Agenzia delle entrate denunzia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n.289; dell'articolo 1, comma 665, della legge 23 dicembre 2014, n.190, e successive modifiche e integrazioni; dell'articolo 112 del codice di procedura civile; degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea; dei principi stabiliti dalla Commissione Europea con Decisione (UE) 2016/195, notificata con il n. C (2015) 5549 final, in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 3, del codice di procedura civile. Denunzia, inoltre, la violazione dell’art. 112 del codice di procedura civile, in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 4, del codice di procedura civile.
2.3. I motivi secondo e terzo, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono fondati e vanno accolti. L’art. 138 legge 23 dicembre 2000, n. 388 individua i soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990 ammessi ai benefici ivi previsti facendo riferimento all'art. 3 dell'ordinanza del 21 dicembre 1990, n. 2057. Quest’ultima, a propria volta, contempla tra i beneficiari delle agevolazioni i soggetti residenti nei Comuni interessati dal sisma (primo comma) ma anche i soggetti che svolgono nell’area di detti comuni la loro attività industriale, commerciale, artigiana ed agricola (secondo comma). La Decisione della Commissione UE del 14/08/2015, C (2015) 5549 final, stabilisce all'art. 1 che «Le misure di aiuto di Stato in oggetto (L. 27 dicembre 2012, n. 289, art. 9, comma 17, e successive modifiche e integrazioni; L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 4, comma 90, e successive modifiche e integrazioni; L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 363, e successive modifiche e integrazioni; L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 1011, e successive modifiche e integrazioni; L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 109, e successive modifiche e integrazioni; D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6, colma 4-bis e 4-ter, e successive modifiche e integrazioni; L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 33, comma 28, e successive modifiche e integrazioni; e tutti gli atti esecutivi pertinenti previsti dalle leggi sopraccitate), che riducono tributi e contributi dovuti da imprese in aree colpite da calamità naturali in Italia dal 1990 e cui l'Italia ha dato effetto in maniera illegale in violazione dell'art.108, Par. 3, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, sono incompatibili con il mercato interno».
La medesima decisione, tuttavia, ha fatta salva l'ipotesi in cui si tratti di un «aiuto individuale» che «al momento sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento (CE) n. 1407/2013 o dal regolamento (CE) n. 717/2014», ovvero dai regolamenti che prevedono gli aiuti c.d. de minimis (art. 2 dec. cit.). Ove, come nel caso di specie, sia pacifico lo svolgimento di un'attività`` economica da parte del contribuente, il giudice di merito e` tenuto a verificare in concreto che il beneficio individuale sia in linea con il regolamento de minimis applicabile (artt. 2 e 3 dec. cit.), «tenendo conto, in specie, che la regola, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 92, n. 1, TFUE, può`` considerarsi inapplicabile, costituisce un'eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, sicché quando la soglia dell'irrilevanza dovesse essere superata, il beneficio deve essere negato nella sua interezza» (tra le più recenti Cass. 10/10/2022, n. 29503).
In difetto, il giudice di merito deve valutare la sussistenza delle condizioni che, secondo la ridetta decisione della Commissione UE, fanno ritenere comunque compatibili gli aiuti in esame con il mercato interno, ai sensi dell'art. 107, par. 2, lett. b), TFUE, ovvero che si tratti di «aiuti destinati a compensare i danni causati da una calamità naturale» (§ 150, lett. b, dec. cit.), sempre che sussista «un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dalla singola impresa in seguito alle calamità naturali in oggetto e l'aiuto di Stato concesso a norma delle misure in esame» (§ 136 dec. cit.).
Il che presuppone necessariamente (ma non unicamente) che il beneficiario abbia sede operativa nell'area colpita dalla calamità naturale al momento dell'evento, e che sia evitata una sovra-compensazione rispetto ai danni subiti dall’impresa, scorporando dal danno accertato l'importo compensato da altre fonti (assicurative o da altre misure di aiuto:§ 148 dec cit.). Per il rispetto del principio de minimis, non basta che l'importo chiesto in rimborso ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla soglia fissata del diritto dell'UE, dovendo invece la relativa prova riguardare l'ammontare massimo totale dell'aiuto rientrante nella categoria de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo.
Le decisioni adottate dalla Commissione UE, nell'ambito delle funzioni ad essa conferite dal Trattato CE sull'attuazione e lo sviluppo della politica della concorrenza nell'interesse comunitario, ancorché prive dei requisiti della generalità``e dell'astrattezza, costituiscono fonte di produzione di diritto comunitario, anche con specifico riguardo alla materia degli aiuti di Stato, e quindi vincolano il giudice nazionale nell'ambito dei giudizi portati alla sua cognizione, obbligandolo a dare attuazione al diritto comunitario, se necessario anche attraverso la disapplicazione delle norme interne che siano in contrasto con esso (Cass. 26/09/2017, n. 22377, in motivazione, ex plurimis).
Nel caso di specie, il giudice, ha omesso qualsiasi verifica sui presupposti di applicazione dell’agevolazione richiesta e del rimborso del 90 per cento dei tributi versati negli anni 1991 e 1992; pertanto, in accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di S., che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di S., in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma in data 10 ottobre 2023