Giu L’efficacia della pronuncia di incostituzionalità trova ostacolo nei rapporti esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l'ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - SENTENZA 23 febbraio 2024 N. 4842
Massima
L’applicazione delle pronunce di illegittimità costituzionale ai rapporti in corso - conseguente al postulato secondo cui l’illegittimità costituzionale non è una forma di abrogazione, ma una conseguenza dell'invalidità della legge, che ne comporta l'efficacia retroattiva anche alle fattispecie anteriori alla pronuncia di incostituzionalità – va coordinata con i principi enunciati dagli artt. 136 Cost. e 30 legge 11 marzo 1953, n. 87, nonché con le regole che disciplinano il definitivo consolidamento dei rapporti giuridici e il graduale formarsi del giudicato e delle preclusioni nell'ambito del processo, secondo le quali l’efficacia della pronuncia di incostituzionalità trova ostacolo nei rapporti esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l'ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo (Cass. del 2.03.2022, n. 6940, in motiv.; Cass. 23.12.2020, n. 26555; Cass. 14 novembre 2003, n. 17184; Cass., Sez. U., 26 giugno 2003, n. 10163; Cass., Sez. U., 19 novembre 2001, n. 14541).

Casus Decisus
1.In data 26.11.2014 il notaio Giuseppe F. presentava istanza per ottenere il rimborso dell’imposta di registro versata sull’atto di trasferimento immobiliare del 5.07.2006 (rep. 200196) relativo ad immobile aggiudicato nella procedura di esecuzione immobiliare n. 48/2003 pendente dinanzi al tribunale di Bassano del Grappa; il decreto di aggiudicazione veniva registrato con il pagamento della somma di euro 147.500,00 calcolato sul valore dell’immobile indicato nell’atto, vale a dire sul prezzo di aggiudicazione, come previsto dall’art. 44 d.P.R. del 26 aprile 1986, n. 131. Il 23.01.2014, la Corte costituzionale dichiarava l’illegittimità dell’art. 1 comma 497 della legge 266/2005 nella parte in cui non prevedeva la facoltà per gli acquirenti degli immobili ad uso abitativo e relative pertinenze in sede di espropriazione forzata o a seguito di pubblico incanto di chiedere che la base imponibile su cui calcolare l’imposta di registro fosse costituita dal cd. Prezzo valore. L’ufficio respingeva l’istanza e il professionista proponeva ricorso avverso il diniego dinanzi alla CTP di di Vicenza che accoglieva il ricorso con sentenza che veniva gravata dall’Agenzia. La C.T.R. del Veneto, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava il decisum di primo grado sul rilievo che L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe sulla base di un unico motivo. Replica con controricorso il contribuente. Il P.G. ha concluso nel senso dell’accoglimento del ricorso.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - SENTENZA 23 febbraio 2024 N. 4842 STALLA GIACOMO MARIA

1.Con l’unico motivo, l’amministrazione finanziaria deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 77 d.P.R. 26 aprile 1986, n. n. 131, nonché dell’art. 2935 cod.civ. per avere il decidente erroneamente ritenuto la tempestività dell’istanza di rimborso dell’imposta di registro a causa della errata individuazione del dies a quo del termine di decorrenza triennale previsto dalla norma menzionata. Assume che la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 1 comma 497 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 non poteva trovare applicazione ai rapporti esauriti, inquadrandosi questi ultimi in quelli in cui sia intervenuta la sentenza passata in giudicato, l’atto amministrativo non più impugnabile ovvero altri fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale quali la prescrizione e la decadenza. Ad avviso dell’ufficio, i principi affermati dalla Corte negano efficacia retroattiva alla declaratoria di incostituzionalità ai rapporti esauriti, ipotizzabile anche allorquando sia maturata una causa di decadenza e prescrizione del diritto.

2.Il ricorso è fondato.

L’art. 136 Cost. dispone: . Questa disposizione è stata interpretata nel senso che le pronunce di accoglimento del giudice delle leggi, dichiarative di illegittimità costituzionale eliminano la norma con effetto "ex tunc", con la conseguenza che essa non è più applicabile, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione, perché l'illegittimità costituzionale ha per presupposto l'invalidità originaria della legge - sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale - per contrasto con un precetto costituzionale; gli effetti dell'incostituzionalità valgono erga omnes, non si estendono esclusivamente ai rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l'ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d'incostituzionalità (Cass. 20 novembre 2021 n. 20381). Unica eccezione alla efficacia retroattiva è quella delle sentenze irrevocabili di condanna penale che sono state già pronunciate sulla base di una norma poi dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte (cfr. art. 30, comma 4, l. 87/1953). Infatti, per evidenti ragioni di giustizia ed in applicazione del principio del favor rei (cfr. anche art. 25, comma 2, Cost.), cessa l’esecuzione di tali sentenze e tutti gli effetti penali.

3.Nel ribadire il predetto principio, questa Corte ha precisato che lo stesso trova applicazione anche in riferimento ai periodi anteriori alla sentenza della Corte costituzionale, richiamando il proprio consolidato orientamento, secondo cui la pregressa vigenza di una disposizione di legge di natura preclusiva od ostativa all'esercizio di un diritto, successivamente dichiarata incostituzionale, non può in alcun modo qualificarsi come impedimento giuridico all'esercizio del diritto medesimo, ma costituisce un mero ostacolo di fatto, ovviabile attraverso la proposizione dell'incidente di costituzionalità, idoneo, se del caso, a rimuoverlo: si è osservato al riguardo che il carattere retroattivo tipico delle pronunce di incostituzionalità ne comporta l'eliminazione dall'ordinamento giuridico con efficacia ex tunc, con la conseguenza che dalla data di pubblicazione della pronuncia della Corte costituzionale la norma illegittima non è più idonea a produrre, nè tanto meno a conservare, alcun effetto giuridico, neppure per il passato (fatta eccezione per i c.d. rapporti esauriti), e non può, pertanto, costituire la fonte normativa di un effetto impeditivo del decorso della prescrizione ai sensi dell'art. 2935 cod. civ. (cfr. Cass., Sez. Un., 5/02/1999, n. 27; Cass., Sez. lav., 20/08/2004, n. 16404; Cass., Sez. I, 11/08/1998, n. 7878).

3. La dichiarazione d'illegittimità costituzionale ha rimosso l'unico limite all'azionabilità di una pretesa che, in assenza dello stesso, avrebbe potuto essere fatta valere senza ulteriori ostacoli fin dal momento della maturazione del diritto, in applicazione delle altre disposizioni di legge all'epoca vigenti in tema di determinazione dell’imposta di registro. La situazione d'incertezza esistente in ordine alla possibilità di versare l’imposta di registro sulla base del prezzo valore nelle procedure esecutive, prima che il Giudice delle leggi ne accertasse formalmente l'incostituzionalità, non consente a sua volta d'invocare l'esigenza di tutela dell'affidamento riposto dall'interessato in ordine alla legittimità del proprio comportamento, in quanto tenuto in ossequio alla disciplina normativa all'epoca vigente.

E' pur vero, infatti, che in tema di modificazioni normative retroattive l'esigenza di tutelare l'affidamento del cittadino è stata espressamente riconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale, la quale, pur affermando in linea di principio che al legislatore non è preclusa l'emanazione di leggi retroattive (salvo che in materia penale, governata dal principio d'irretroattività sancito dall'art. 25 Cost.), sia innovative che interpretative, ha costantemente ribadito che tale scelta dev'essere giustificata sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato l'adozione ed i valori, costituzionalmente tutelati, della parità di trattamento e della coerenza e certezza dell'ordinamento giuridico (cfr. tra 9 le più recenti, Corte cost., sent. n. 149 del 2017; sent. n. 73 del 2017; sent. n. 216 del 2015). La medesima esigenza ha trovato uno specifico riconoscimento, in tema di prescrizione, nell'ambito della giurisprudenza comunitaria, la quale ha affermato che il relativo termine dev'essere fissato anticipatamente, e ciò al fine di garantire la certezza del diritto, la quale, pur non escludendo l'ammissibilità di modifiche normative, impone di tener conto, nell'adozione delle stesse, delle situazioni particolari degli operatori economici, prevedendo eventualmente adattamenti all'applicazione delle nuove norme giuridiche (cfr. Corte di Giustizia UE, 12/12/2013, in causa C362/12, Test Claimants in the Franked Investment Income Group Litigation).

In senso più ampio, la Corte di Giustizia UE e la Corte EDU hanno ripetutamente affermato che il giudice nazionale è tenuto a verificare che la normativa interna soddisfi gli obblighi derivanti dal principio di certezza del diritto, avente come corollario quello di tutela del legittimo affidamento, il quale impone da un lato che le norme di diritto siano chiare e precise nei loro effetti, in particolare quando possano avere conseguenze sfavorevoli nei confronti degl'individui e delle imprese, e dall'altro che la loro applicazione sia prevedibile per gli amministrati (cfr. Corte di Giustizia UE, 12/12/2013, in causa C362/12, cit.; 7/06/2005, in causa C-17/03, VEMW ed altri; 13/ 02/1996, in causa C-143/93, Van Es Douane Agenten; Corte EDU, 8/9/ 2015, Laurus Invest Hungary Kft e altri c. Ungheria).

L'applicazione di tali principi alla fattispecie in esame non può tuttavia prescindere dalla considerazione, avente portata risolutiva, che la modificazione normativa oltre a non riguardare specificamente il termine di prescrizione, non è stata determinata da un intervento del legislatore, ma da una pronuncia del Giudice delle leggi, alla cui portata retroattiva si è ritenuto, che non potessero essere apposti limiti o condizioni, a meno che l'incostituzionalità non dipendesse dal sopravvenire di nuove norme costituzionali o interposte. La stessa prescrizione, determinando l'estinzione del diritto in contestazione, costituisce d'altronde, secondo la giurisprudenza di questa Corte, un limite all'operatività degli effetti retroattivi delle pronunce d'incostituzionalità, i quali si estendono anche ai giudizi in corso, a meno che il rapporto non sia esaurito in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato un altro evento cui l'ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essere maturate preclusioni processuali o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia di incostituzionalità (cfr. ex plurimis, Cass. del 16/11/2018, n. 29609; Cass., del 27/07/2016, n. 15626; Cass. 20/11/2012, n. 20381; Cass. 18/07/2006, n. 16450).

4.Principio, questo, che discende dal superiore principio secondo cui l’applicazione delle pronunce di illegittimità costituzionale ai rapporti in corso - conseguente al postulato secondo cui l’illegittimità costituzionale non è una forma di abrogazione, ma una conseguenza dell'invalidità della legge, che ne comporta l'efficacia retroattiva anche alle fattispecie anteriori alla pronuncia di incostituzionalità – va coordinata con i principi enunciati dagli artt. 136 Cost. e 30 legge 11 marzo 1953, n. 87, nonché con le regole che disciplinano il definitivo consolidamento dei rapporti giuridici e il graduale formarsi del giudicato e delle preclusioni nell'ambito del processo, secondo le quali l’efficacia della pronuncia di incostituzionalità trova ostacolo nei rapporti esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l'ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo (Cass. del 2.03.2022, n. 6940, in motiv.; Cass. 23.12.2020, n. 26555; Cass. 14 novembre 2003, n. 17184; Cass., Sez. U., 26 giugno 2003, n. 10163; Cass., Sez. U., 19 novembre 2001, n. 14541).

Ciò comporta, nella specie, l'impossibilità di estendere gli effetti della sentenza n. 6 del 23 gennaio 2014 ai diritti di credito dovuti per le annualità maturate in epoca anteriore al triennio precedente la proposizione della domanda, indipendentemente dalla data in cui è intervenuta la predetta pronuncia, costituendo le stesse oggetto di rapporti esauriti per effetto della prescrizione, disciplinata da una norma diversa da quella investita dalla dichiarazione d'incostituzionalità. Invero, è principio pacifico in materia tributaria che il contribuente ha diritto al rimborso della somma pagata senza contestazioni a titolo di imposta, se presenti istanza nei termini previsti dalla legge a pena di decadenza, dovendo intendersi per rapporti esauriti quelli in relazione ai quali sia intervenuta una preclusione che li abbia resi irretrattabili, e quindi insensibili anche ad eventuali pronunce di illegittimità costituzionale, come quella conseguente al giudicato, ovvero alla prescrizione o alla decadenza, ed, in particolare, in materia tributaria, quelli in cui il pagamento dell'imposta sia stato eseguito e non sia stata presentata domanda di rimborso nel termine stabilito, a pena di decadenza, dalle singole leggi d'imposta o, in mancanza, dalla previsione residuale dell'art. 21 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 (ex plurimis: Cass., Sez. 5^, 24 febbraio 2012, n. 2822; Cass. del 30.03.2021, n. 8747).

5. Il ricorso va accolto, la sentenza gravata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dell’originario del ricorso del contribuente.

6.Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario del ricorso del contribuente; condanna il contribuente alla rifusione delle spese giudiziali di merito in favore della Agenzia liquidandole in euro 3.760,00 per il primo grado, euro 3.920,00 per l’appello ed euro 7.500,00, oltre spese prenotate a debito per il giudizio di legittimità. Così deciso all’udienza della Sezione tributaria della corte di Cassazione