1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 416 cpc e 421 cpc, in relazione agli artt. 115 e 116 cpc, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per avere la Corte distrettuale erroneamente ammesso, ex art. 421 cpc, la documentazione prodotta dalla società nel corso del giudizio, nonostante la stessa fosse già in suo possesso e pertanto, avrebbe potuto essere tranquillamente depositata con il ricorso.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cc e degli artt. 115 e 116 cpc, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale ritenuto provato il pagamento in via induttiva nonostante le dichiarazioni rese dal lavoratore in sede di interrogatorio che aveva negato di avere ricevuto tali somme.
4. I due motivi, da esaminare congiuntamente per connessione logicogiuridica, non sono meritevoli di accoglimento per le ragioni che seguono le quali, riguardando il merito della vicenda e la valutazione delle prove, con i connessi limiti del sindacato da svolgersi in sede di legittimità, escludono la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale tra la presente decisione ed altre, emesse da questa stessa Corte con esito diverso, in fattispecie analoghe.
5. Ciò premesso, in primo luogo nel rito del lavoro, l'acquisizione di nuovi documenti o l'ammissione di nuove prove da parte del giudice di appello rientra tra i poteri discrezionali allo stesso riconosciuti dagli artt. 421 e 437 cod. proc. civ., e tale esercizio è insindacabile in sede di legittimità anche quando manchi un'espressa motivazione in ordine alla indispensabilità o necessità del mezzo istruttorio ammesso, dovendosi la motivazione ritenere implicita nel provvedimento adottato (Cass. n. 209/2007; Cass. n, 26117/2016; Cass. n. 22630/2016).
6. In tema di ricorso per cassazione, poi, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014; Cass. n. 20867/2020, Cass. n. 6774/2022): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame.
7. Non meritevole di accoglimento è anche la asserita violazione dell’art 2697 cod. civ. che si ha, tecnicamente, solo nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull'esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all'art. 360, n. 5, cpc (Cass. n. 17313/2020).
8. E’ stato, inoltre, affermato (Cass. n. 22366/2021) che, con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., spetta al giudice di merito valutare l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all'utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l'ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l'assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo, e neppure occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile.
9. Nella fattispecie in esame, con le censure articolate il ricorrente si limita, invece, unicamente a prospettare una diversa ricostruzione della vicenda a fronte di una valutazione del materiale probatorio effettuata dalla Corte distrettuale con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 n. 5 cpc (nuova formulazione).
10. Nello specifico, poi, quanto al modello 770, va precisato che, secondo i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, l'interpretazione di un atto è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt.1362 e seguenti cod. civ. o di motivazione inadeguata ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. n. 22536/2007).
11. E’, infine, opportuno ribadire che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467/2017).
12. Le doglianze si risolvono, come detto, solo in una sollecitazione di una rivisitazione del merito della vicenda e in una contestazione della valutazione probatoria operata dalla Corte territoriale, sostanziante il suo accertamento in fatto, di esclusiva spettanza del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità (Cass. 27197/2011; Cass. n. 6288/2011; Cass. n. 16038/2013): ciò per la corretta argomentazione, senza alcun vizio logico nel ragionamento decisorio, delle ragioni per cui è stata ritenuta la prova dell’avvenuto pagamento, da parte della società, delle somme di cui chiede la restituzione.
13. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
14. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, in favore della controricorrente.
15.Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida, in favore della controricorrente, in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 1° marzo 2023