1. Con il primo motivo di ricorso, Cosimo B. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 132 e 116 cod. proc. civ. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. ci.
Evidenzia che è rimasta incontestata la mancata nomina di un nuovo comandante della Polizia Municipale e lamenta che la Corte territoriale ha acriticamente acquisito solo una parte delle dichiarazioni del teste Mancarella, nonostante fossero contraddette dal complesso della sua deposizione e dal confronto con la documentazione in atti.
Argomenta che ai sensi del T.U. Enti
Locali il Segretario Comunale non può assumere di propria
iniziativa poteri sostitutivi, né può arrogarsi responsabilità
dirigenziali di un Settore nell’organizzazione comunale, tanto meno
di quello di Polizia Locale, lamentando l’attribuzione, da parte
del giudice di appello, di un erroneo significato e di inconferenti
finalità probatorie alla deposizione del teste Mancarella. Addebita
alla Corte territoriale un errore di motivazione in ordine ad un
fatto decisivo della controversia.
2. Con il secondo motivo, Cosimo B. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 9 e 10 del CCNL 2002-2005, nonché degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. e dell’art. 36 Cost, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. Richiama la normativa contrattuale sulla base della quale nei Comuni privi di dirigente la posizione organizzativa deve essere necessariamente conferita ai responsabili delle strutture apicali e torna a sostenere di avere di avere svolto le funzioni di comandante del Corpo dei vigili urbani sia prima che dopo il 2003 e di avere assunto le relative responsabilità; riporta la deposizione del teste Mancarella e richiama le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio dal Sindaco del Comune di C.. Argomenta che la sottrazione della responsabilità del Corpo al suo comandante è affetta da nullità perché in contrasto con i principi dettati dalla legge quadro n. 65/1986.
3. Con il terzo motivo, Cosimo B. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., motivazione incoerente ed errata. Lamenta che la Corte territoriale ha erroneamente regolato le spese del giudizio di primo grado, non avendo rilevato che in ordine a tale capo si era formato il giudicato, e che le spese del primo giudizio di appello e del giudizio di legittimità non potevano essere poste a suo carico, atteso che la sentenza di appello era stata cassata per la sua erroneità e che l’impugnazione era stata accolta dal giudice di legittimità.
4. Il primo motivo è inammissibile, in quanto tende ad ottenere una rivisitazione del fatto, attraverso una diversa valutazione delle risultanze istruttorie rispetto a quella effettuata dalla Corte territoriale, la quale ha ritenuto non provato lo svolgimento, da parte del B., di funzioni connesse alla posizione organizzativa rivendicata in periodi diversi da quello compreso fra il 5 febbraio al 31 dicembre 2003. Riguardo al periodo decorrente dal 1° gennaio 2004, la Corte territoriale ha in particolare accertato che la responsabilità dei servizi era stata trasferita dal B. al Segretario Generale, e che da tale epoca le determine dirigenziali erano state sottoscritte dal B. solo quale responsabile del procedimento, e firmate poi dal Segretario Generale, che se ne assumeva la responsabilità esterna. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
5. Il secondo motivo presenta profili di inammissibilità nella parte in cui continua a fare leva su una diversa ricostruzione dei fatti di causa rispetto a quella operata dalle Corte territoriale, che con accertamento di merito non sindacabile in questa sede ha escluso lo svolgimento, da parte del B., di funzioni connesse alla posizione organizzativa in periodi diversi da quello dell’incarico assegnatogli nel 2003; deve pertanto ritenersi inconferente il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte ed alle pronunce della Corte costituzionale sull’art. 2126 cod. civ., applicabile nei soli casi in cui la prestazione sia stata effettivamente resa, sia pure in forza di un titolo affetto da nullità. Nella restante parte il motivo è infondato. In tema di lavoro pubblico negli enti locali, è infatti consolidato l’orientamento di questa Corte secondo cui il conferimento di una posizione organizzativa non comporta l'inquadramento in una nuova categoria contrattuale, ma unicamente l'attribuzione di una posizione di responsabilità, con correlato beneficio economico; ne consegue in termini generali che la revoca di tale posizione non costituisce demansionamento e non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 2103 c.c. e del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, trovando applicazione il principio di turnazione degli incarichi, in forza del quale alla scadenza il dipendente resta inquadrato nella categoria di appartenenza, con il relativo trattamento economico (Cass. n. 22405/2020; Cass. n. 27384/2019; Cass. n. 18561/2019; Cass. n. 14881/2023 e Cass. n. 6367/2015). Anche le Sezioni Unite di questa Corte, ai fini del riparto di giurisdizione, hanno affermato che la posizione organizzativa non determina un mutamento di profilo professionale né un mutamento di area, ma solo un mutamento di funzioni, le quali cessano al cessare dell'incarico; per quanto riguarda il comparto delle autonomie locali, secondo la disciplina degli articoli 8 e 9 del CCNL stipulato il 31 marzo 1999, il conferimento dell'incarico di posizione organizzativa è possibile esclusivamente per situazioni tipizzate, descritte nel contratto, può essere concesso solo a termine ed è connotato da una specifica retribuzione variabile, in quanto sottoposta alla logica del programma da attuare e del risultato; è, infine, revocabile. (Cass. S.U. 14/04/2010, n.8836).
E’ stato dunque stato chiarito che il rinnovo delle posizioni organizzative costituisce una facoltà del datore di lavoro pubblico, che, se ritiene di provvedere in tal senso, deve parimenti disporlo con atto scritto e motivato; pertanto mentre l'eventuale revoca dell'incarico prima della scadenza richiede un atto scritto e motivato e può essere disposta soltanto in relazione a intervenuti mutamenti organizzativi o in conseguenza di uno specifico accertamento di risultati negativi, la cessazione dell'incarico conferito alla sua naturale scadenza non obbliga l'amministrazione ad una qualsivoglia motivata determinazione (Cass. n. 14472/2015; Cass. n. 22405/2020 cit. e Cass. n. 14761/2022).
Il ricorso argomenta sull’obbligo di conferire la posizione al responsabile del servizio in caso di Comune privo di dirigenti e sulla nullità del provvedimento che la posizione aveva attribuito al Segretario Generale, senza tuttavia considerare che nel caso di specie l’obbligo è stato adempiuto con l’attribuzione della responsabilità al Segretario Generale e che l’eventuale illegittimità del relativo provvedimento avrebbe potuto al più legittimare un’azione di risarcimento del danno non proposta nel presente giudizio, essendosi il ricorrente limitato a chiedere la corresponsione dell’indennità di posizione a titolo di differenze retributive.
Per quanto già detto sull’accertamento in fatto compiuto dal giudice d’appello, che ha escluso, per il periodo successivo al 31 dicembre 2003, l’asserita attribuzione al B. delle funzioni di Comandante del Corpo di Polizia Municipale, rimaste vacanti dopo il trasferimento del titolare, non è applicabile alla fattispecie il principio di diritto enunciato dalla recente Cass. n. 26227/2023, perché in quel caso si discuteva del riconoscimento della posizione organizzativa al soggetto formalmente preposto al Corpo della Polizia Municipale, istituito nel rispetto delle previsioni di cui alla legge n. 65/1986, e non era in discussione l’attribuzione delle relative responsabilità.
6. Il terzo motivo è infondato.
Il ricorrente non ha interesse a dolersi della pronuncia in relazione alle spese del giudizio di primo grado, in quanto la Corte non ha sul punto modificato la statuizione del Tribunale: ancorché il giudice del rinvio, pronunciando sull’appello originario, non potesse statuire sulle spese del giudizio di primo grado in assenza di un motivo di impugnazione e a fronte della conferma della pronuncia di rigetto, nondimeno va detto che la Corte territoriale ha ritenuto di «confermare la statuizione sulla compensazione delle spese del primo grado di giudizio» non modificando, nella sostanza, il regolamento delle spese, sicché il motivo sul punto si risolve in una mera richiesta di modifica della motivazione.
Ciò premesso, va richiamato il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui: «In tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all'esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all'esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione - e, tuttavia, complessivamente soccombente - al rimborso delle stesse in favore della controparte» (Cass., S.U. n. 32906/2022; Cass. n. 9448/2023).
Nel caso in cui la lite abbia percorso più fasi con alterne vicende per le parti non viola, pertanto, il criterio della soccombenza il giudice di rinvio che condanni alle spese del giudizio di cassazione il ricorrente vittorioso in considerazione della definitiva soccombenza del medesimo. Sulla base di tale principio, la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare anche al giudizio di cassazione la regola della soccombenza in relazione all’esito finale della lite. Considerazioni analoghe valgono quanto al primo giudizio di appello, in relazione al quale deve essere applicata la regola della soccombenza sulla base dell’esito finale della lite.
Il motivo è, dunque, sul punto infondato.
7. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
9. Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per il ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 3.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con distrazione in favore dell’Avv. Carmelo Molfetta; ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 5 ottobre 2023.