Giu ove la vendita o altra allocazione sul mercato del bene concesso in leasing non avvenga, non vi può essere in concreto una locupletazione che eluda il limite ai vantaggi perseguiti e legittimamente conseguibili dal concedente in forza del contratto
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - ORDINANZA 15 febbraio 2024 N. 4236
Massima
Ove la vendita o altra allocazione sul mercato del bene concesso in leasing non avvenga, non vi può essere (come precisato da Cass. n. 15202 del 2018) “in concreto una locupletazione che eluda il limite ai vantaggi perseguiti e legittimamente conseguibili dal concedente in forza del contratto"

Casus Decisus
Pier Paolo B. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 340 del 2020 della Corte di appello di Milano, esponendo, per quanto qui ancora importa, che: - la S. Leasing s.p.a. aveva ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti del deducente fondato su contratto di locazione finanziaria avente per oggetto un’imbarcazione da diporto; - l’ingiunzione era stata accordata per il pagamento dei canoni scaduti e insoluti, nonché di quelli a scadere attualizzati al tasso negoziale, detratto l’importo ricavato dalla rivendita del bene; - il Tribunale aveva revocato l’ingiunzione condannando il deducente al pagamento della differenza tra i canoni, al netto degli interessi oltre l’accertata soglia usuraia, e il valore di mercato del bene quale verificato in sede peritale officiosa, maggiore di quello della rivendita, osservando che quest’ultima era stata effettuata a un prezzo significativamente inferiore, undici mesi dopo la restituzione, e senza assumere le iniziative opportune ed efficaci nell’attività di ricollocazione; - la Corte di appello aveva riformato la decisione osservando che: il contratto era stato qualificato come leasing traslativo senza la necessaria impugnazione incidentale da parte della società; non era applicabile né la disciplina settoriale dettata dall’art. 72-quater l.fall., trattandosi di soggetti “in bonis”, né quelle successive alla risoluzione dettate dalla legge n. 124 del 2017 e dalla legge n. 208 del 2015; la clausola penale, di cui era stata domandata l’applicazione sin dal ricorso per decreto ingiuntivo del quale poi si era chiesta la conferma, era legittima posta la prevista necessità di portare a deconto il ricavato dalla rivendita; era il prezzo di quest’ultima che doveva essere detratto e non quello di cui alla stima peritale poiché l’utilizzatore inadempiente non aveva provato come suo onere che la ricollocazione sul mercato era avvenuta per un valore inferiore a quello di eventuali altre offerte reperibili, come del resto sarebbe stato nell’interesse del concedente stesso, tenuto infine conto della circostanza per cui la stessa società era risultata aver richiesto all’ingiunto, senza esito, di trasmettere altre offerte di acquisito da parte di terzi di cui fosse stato a conoscenza; resiste con controricorso S. Leasing s.p.a. che ha depositato, altresì, memoria di mero richiamo alle difese svolte;

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - ORDINANZA 15 febbraio 2024 N. 4236 Scarano Luigi Alessandro

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112, e dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato pronunciando d’ufficio su eccezione che poteva essere sollevata solo dalla parte, rigettando la richiesta di restituzione dei canoni formulata a mente dell’art. 1526, primo comma, cod. civ., e applicando invece la clausola penale di cui al secondo comma dello stesso articolo, atteso che il deducente aveva invocato la generale ma diversa disciplina di cui all’art. 1458, cod. civ., al fine di ritenere i canoni già incassati; con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1526, primo comma, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato omettendo di rilevare che la clausola penale in parola era invalida, atteso che: prevedeva in termini di mera eventualità la vendita a terzi in relazione alla quale portare a deconto del dovuto il prezzo incassato; non prevedeva che la vendita dovesse avvenire a valori di mercato; non prevedeva obblighi di trasparenza, pubblicità e informazione in favore dell’utilizzatore; non prevedeva alcun obbligo di rendiconto delle operazioni di alienazione eseguite; non prevedeva alcun obbligo di riversare all’utilizzatore l’eventuale eccedenza ricavata dalla vendita; non prevedeva di portare a deconto il ricavato dalla vendita in linea capitale, essendo previsto il defalco, nell’ordine, di spese, canoni insoluti, maggiori danni, prezzo dell’opzione finale, interessi corrispettivi e moratori, in difformità dal paradigma della disciplina fallimentare di cui all’art. 72-quater l.fall., ovvero da quello poi generale di cui all’art. 138 e all’art. 139 della legge n. 124 de 2017; con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, cod. civ., 61, 116, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato nell’addossare all’utilizzatore l’onere di provare la congruità del prezzo di rivendita rispetto a quello di mercato, viceversa accertato, quest’ultimo, in maggior misura mediante consulenza tecnica officiosa, a fronte della quale non vi era stata alcuna dimostrazione di quella che avrebbe dovuto esser valutata quale speculare controeccezione;

Considerato che i motivi, da esaminare congiuntamente per evidente connessione, sono complessivamente infondati; le Sezioni Unite di questa Corte, in tema di leasing, hanno chiarito che, la disciplina di cui all'art. 1, commi 136-140, della legge n. 124 del 2017 non ha effetti retroattivi, sicché il comma 138 si applica alla risoluzione i cui presupposti si siano verificati dopo l'entrata in vigore della legge stessa; per i contratti anteriormente risolti resta valida, invece, la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, con conseguente applicazione analogica, a quest'ultima figura, della disciplina dell'art. 1526 cod. civ., e ciò anche se la risoluzione sia stata seguita dal fallimento dell'utilizzatore, non potendosi applicare analogicamente la disciplina settoriale dell'art. 72 quater l.fall. (Cass., Sez. U., 28/01/2021, n. 2061); le Sezioni Unite, una volta ribadita la collocazione delle vicende risolutive anteriori nell’ambito dell’art. 1526 cod. civ., hanno poi precisato quel segue ai fini della corretta lettura di questa norma;

«4.7.1. Il risarcimento del danno del concedente può, infatti, come nell’ipotesi qui in scrutinio, essere oggetto di determinazione anticipata attraverso una clausola penale ai sensi dell’art. 1382, cod. civ., e in questo senso si è dispiegata l’autonomia privata nella costruzione, in base a modelli standardizzati, del social-tipo “contratto di leasing”, come risulta dalla stessa casistica oggetto di cognizione giudiziale, anche da parte di questa Corte di legittimità. In tale contesto, quindi, si è fatta applicazione del secondo comma dell’art. 1526, cod. civ., e del principio, già contemplato dall’art. 1384 cod. civ. (di cui la prima disposizione è un portato specifico), della riduzione equitativa, ad opera del giudice, della penale che, sebbene comunque lecita, si palesi manifestamente eccessiva, così da ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela e riequilibrando, quindi, la posizione delle parti, avendo pur sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento integrale (Cass., S.U., 13 settembre 2005, n. 18128). Ecco, dunque, che la complessiva operazione - originatasi in seno all’autonomia privata e sussunta, attraverso l’analogia, nell’art. 1526 cod. civ. - trova la sua compiuta regolamentazione attraverso la peculiare rilevanza che viene ad assumere il comma secondo dello stesso art. 1526 cod. civ., ossia la norma che disciplina la clausola penale (c.d. clausola di confisca) e, quindi, il risarcimento del danno spettante in base ad essa al concedente in ipotesi di risoluzione del contratto di “leasing” traslativo per inadempimento dell’utilizzatore.

Ed è attraverso lo spettro filtrante di detta disposizione che la giurisprudenza di questa Corte ha potuto selezionare quale delle clausole standardizzate dall’autonomia privata fosse o meno meritevole di tutela alla luce della “ratio” di evitare indebite locupletazioni in capo al concedente e rispondente, quindi, ad un equilibrato assetto delle posizioni delle parti contrattuali. Pertanto, si è ritenuto manifestamente eccessiva la penale che, mantenendo in capo al concedente la proprietà del bene, gli consente di acquisire i canoni maturati fino al momento della risoluzione, ciò comportando un indebito vantaggio derivante dal cumulo della somma dei canoni e del residuo valore del bene (tra le molte, Cass., 27 settembre 2011, n. 19732, nonché … Cass. n. 1581 del 2020). E’ stata, invece, reputata coerente con la previsione contenuta nel secondo comma dell’art. 1526 cod. civ. la penale inserita nel contratto di leasing traslativo prevedente l’acquisizione dei canoni riscossi con detrazione, dalle somme dovute al concedente, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito (tra le altre … Cass. n. 15202 del 2018 e Cass. n. 1581 del 2020, nonché Cass., 28 agosto 2019, n. 21762 e Cass., 8 ottobre 2019, n. 25031).

Trattasi, dunque, di patto che, quale espressione di una razionalità propria della realtà socio-economica, ha trovato origine e sviluppo nell’ambito dell’autonomia privata, il cui regolamento è stato, per un verso, assunto dal legislatore a parametro di una disciplina dapprima solo settoriale e specifica (tra cui quella dettata dall’art. 72-quater l.fall.) e poi, da un dato momento in avanti, generale (con la legge n. 124 del 2017) e, per altro verso, dalla giurisprudenza a metro di rispondenza alla “ratio” della disciplina applicata analogicamente al contratto di leasing traslativo.

4.7.2. In tale prospettiva va allora considerato che, ove la vendita o altra allocazione sul mercato del bene concesso in leasing non avvenga, non vi può essere (come precisato da Cass. n. 15202 del 2018, citata) “in concreto una locupletazione che eluda il limite ... ai vantaggi perseguiti e legittimamente conseguibili dal concedente in forza del contratto”. Per cui resta fermo il diritto dell’utilizzatore “di ripetere l’eventuale maggior valore che dalla vendita del bene (a prezzo di mercato)” ricavi il concedente, “rispetto alle utilità che [quest’ultimo] ... avrebbe tratto dal contratto qualora finalizzato con il riscatto del bene” (quale tutela già settorialmente tipizzata legalmente, come detto, dallo stesso art. 72-quater l.f.). Con l’ulteriore puntualizzazione che, nel caso in cui la clausola penale non faccia riferimento ad una collocazione del bene a prezzi di mercato, essa “dovrà esser letta negli stessi termini alla luce del parametro della buona fede contrattuale, ex art. 1375 cod. civ.” (così ancora Cass. n. 15202 del 2018). Se, invece, il contratto preveda una clausola penale manifestamente eccessiva (acquisizione dei canoni riscossi e mantenimento della proprietà del bene: c.d. clausola di confisca), essa, ai sensi dell’art. 1526, secondo comma, cod. civ., andrà ridotta dal giudice, anche d’ufficio (ove, naturalmente, la penale stessa sia stata fatta oggetto di domanda ovvero dedotta in giudizio come eccezione - in senso stretto - nel rispetto delle preclusioni di rito: Cass., 12 settembre 2014, n. 19272), nell’esercizio del potere correttivo della volontà delle parti contrattuali affidatogli dalla legge, al fine di ristabilire in via equitativa un congruo contemperamento degli interessi contrapposti (Cass., S.U., n. 18128 del 2005, citata) e, quindi, nella specie dovendo operare una valutazione comparativa tra il vantaggio che la penale inserita nel contratto di leasing traslativo assicura al contraente adempiente e il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto (tra le altre, Cass. n. 4969 del 2007 … e Cass., 21 agosto 2018, n. 20840).

A tal riguardo, tenuto conto delle circostanze concrete del caso oggetto di sua cognizione, occorrerà che il giudice privilegi la soluzione innanzi evidenziata, e, quindi, ferma restando l’irripetibilità dei canoni già riscossi, provveda ad una stima del bene ai valori di mercato al momento della restituzione dello stesso (se il bene non sia stato venduto o altrimenti allocato e, dunque, in tale evenienza costituendosi a parametro i valori rispettivamente conseguiti) e, quindi, detragga il valore stimato dalle somme dovute al concedente …»; ora, nella fattispecie:

a) la clausola penale era stata resa oggetto di eccezione sin dalla comparsa di costituzione e risposta, come dimostrato in controricorso (pag. 11), in coerenza con la domanda di applicazione della disciplina contrattuale in deroga, nella misura ritenuta possibile, a quella codicistica, sin dall’inizio formulata con il ricorso per decreto ingiuntivo di cui, come ha sottolineato la Corte di appello (pag. 8), era stata chiesta la conferma;

b) la clausola penale in parola va letta dal giudice, come visto, alla luce del parametro della buona fede contrattuale di cui all’art. 1375, cod. civ., integrandone per questa via la disciplina, con la necessità di detrazione del valore di mercato residuo del bene dal complessivo vantaggio contrattuale legittimamente perseguito dal concedente, dunque correlato a quanto allo stesso dovuto in base al contratto;

c) nel caso di rivendita, il prezzo della stessa costituisce concretizzazione del valore da assumere a parametro; in ordine a questo terzo punto, è stato ribadito e precisato che, essendo di regola necessario, nel caso in cui la ricollocazione del bene sia già avvenuta, far riferimento non al valore di mercato, bensì al prezzo effettivamente incassato, spetta per converso all'utilizzatore dedurre e dimostrare che la liquidazione sia stata effettuata dall'impresa concedente in modo non diligente o abusivamente aggravando la posizione debitoria dell’utilizzatore (Cass., 12/06/2023, n. 16632); infatti, come del resto osservato pure dalla controricorrente, «il creditore ha interesse al miglior effettivo e immediato incasso dalla vendita, preferibile alla necessità di dover recuperare dall’utilizzatore…il residuo in sofferenza» (Cass., n. 16632 del 2023, cit., pag. 11); non si tratta, pertanto, di prescindere immotivatamente dalle risultanze peritali relative al maggior valore di mercato ipoteticamente ricostruito, né di addossare oneri della prova in contrasto con il principio di vicinanza, ovvero maggiore prossimità e quindi possibilità per una parte piuttosto che per l’altra di dimostrare l’incongruità del prezzo di vendita, bensì di considerare che, a fronte delle risultanze dell’alienazione, che debbono presumersi la migliore attestazione del valore ricercato, nel suo stesso interesse, dal creditore, nello specifico risulti una modalità liquidatoria non diligente o addirittura abusiva che, quale fatto che impedisce a quella presunzione di operare e fondare la pretesa creditoria nella misura corrispondente, dev’essere provato da chi lo allega, in uno, in tesi, alle risultanze peritali suddette ma non solo in base a quelle, quali smentite dalla constatata realtà delle descritte vicende venute in essere; nell’ipotesi, il Collegio di merito ha sul punto anche accertato che il concedente inviò una missiva all’utilizzatore chiedendo (il 23 novembre 2012) di trasmettere eventuali offerte di acquisto da parte di terzi, senza che vi fosse stata risposta di sorta prima della vendita (avvenuta il 25 ottobre 2013, pagg. 5, e 12-13 della sentenza gravata), sicché la conclusione della medesima Corte territoriale si rivela, in questa chiave, pienamente corretta; spese secondo soccombenza;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 7.800,00, oltre a 200,00 euro per esborsi, 15% di spese forfettarie e accessori legali, in favore di parte controricorrente. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 09/11/2023