Giu Non è impugnabile nei modi ordinari, ai fini della esclusiva riforma del capo sulle spese, un provvedimento giurisdizionale che abbia pronunciato soltanto sulla competenza e sulle spese di lite, se il motivo di censura si basi sulla competenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - ORDINANZA 25 gennaio 2024 N. 2424
Massima
Non è impugnabile nei modi ordinari, ai fini della esclusiva riforma del capo sulle spese, un provvedimento giurisdizionale che abbia pronunciato soltanto sulla competenza e sulle spese di lite, se il motivo di censura si basi sulla illegittimità della statuizione sulla competenza e non sul mancato rispetto della disciplina sulle spese processuali

Casus Decisus
Stefano M. e Marcello M. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Milano la Società M. - S.r.l., Alessandro M., Alessia M., Dante M., Salvatore Maria M., Edoardo B., Maria Antonietta Z. e Francesca M. chiedendo accertarsi che: Stefano M. era socio di M.; non erano più soci della società Alessandro M., Alessia M., Dante M., Salvatore Maria M.; gli attori avevano il diritto di sottoscrizione del capitale sociale; chiedevano altresì di nominare il curatore speciale per la società in sostituzione dell’avv. Edoardo B.. Il Tribunale adito, con sentenza di data 12 febbraio 2021, dichiarò la propria incompetenza, essendo competente il Tribunale di Ancona, sezione specializzata in materia di impresa, assegnando il termine di due mesi per la riassunzione della causa, e condannò gli attori al pagamento, in favore di ciascuno dei convenuti, delle spese processuali nella misura di Euro 3.410,00, oltre accessori, nonché al pagamento del medesimo importo ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. Stefano M. riassunse la causa innanzi al giudice dichiarato competente e con atto di citazione di data 31 agosto 2021 propose appello avverso la predetta sentenza. Con sentenza di data 2 febbraio 2020 la Corte d’appello di Milano dichiarò inammissibile l’appello, condannando l’appellante alla rifusione delle spese processuali nella misura di Euro 6.285,00, salvo per Dante M. e Mazia Z., in favore dei quali liquidò Euro 4.300,00, oltre accessori. Osservò la corte territoriale che i motivi di appello, ben lungi dal riguardare la sola statuizione sulle spese di lite, concernevano la statuizione sulla competenza, essendo motivi volti ad ottenere una modificazione della condanna alle spese in conseguenza delle dette censure. Precisò che presupposto della riforma era la ritualità dell’eccezione d’incompetenza, da cui si faceva discendere l’erroneità della condanna alle spese, per cui le censure dovevano essere fatte valere con regolamento necessario di competenza. Aggiunse, con riferimento alle denunciate violazioni procedimentali, che, quand’anche fosse ammissibile l’appello, non trattandosi di nullità implicante la rimessione della causa al primo giudice, l’appellante non aveva interesse a farla valere in assenza di contestazione sul merito. Osservò infine che le spese dovevano essere liquidate sulla base dei parametri minimi, applicando il coefficiente di aumento di cui all’art. 4 d.m. n. 55 del 2014. Ha proposto ricorso per cassazione Stefano M. sulla base di quattro motivi e resistono con unico controricorso Alessandro M., Salvatore Maria M., Alessia M.. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ.. Il pubblico ministero ha depositato le conclusioni scritte. E’ stata presentata memoria.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - ORDINANZA 25 gennaio 2024 N. 2424 Travaglino Giacomo

Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 42 e 112 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che, come si evince dalle conclusioni dell’atto di appello, la decisione è stata gravata al solo fine della modifica della condanna alle spese, nonché del capo relativo alla statuizione ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c.

Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 42, 91, 100 e 342 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la critica della statuizione del Tribunale anche sulla competenza è stata svolta al solo fine di ottenere la riforma della condanna alle spese di lite, dato che la statuizione sulla competenza fondava quella sulle spese. Aggiunge che, quando è stato proposto l’appello, il termine per proporre il regolamento necessario di competenza era già scaduto.

Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 42, 91, 100 cod. proc. civ., nonché omesso esame del fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che era stata denunciata con l’atto di appello anche la nullità del processo, sempre allo scopo della riforma della statuizione sulle spese, perché la società era rappresentata in giudizio dagli amministratori in conflitto di interessi con la medesima e perché altresì soci e società, parti in conflitto, erano difese dal medesimo difensore.

Aggiunge che, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, vi era interesse a proporre il motivo di appello in quanto funzionale alla riforma della statuizione sulle spese. I motivi dal primo al terzo, da trattare congiuntamente, sono infondati. Non è in discussione che la sentenza che abbia pronunciato soltanto sulla competenza e sulle spese di lite debba essere impugnata con istanza di regolamento (necessario) di competenza relativamente al primo capo della statuizione, mentre, se la parte intende impugnare il solo capo attinente alle spese, occorre un'impugnazione da proporre nei modi ordinari, e dunque l'appello nell'ipotesi di impugnazione di sentenza di primo grado ed il 5 ricorso per cassazione nell'ipotesi di sentenza di secondo grado (per tutte si veda Cass. Sez. U. n. 14205 del 2005).

Afferma il ricorrente che l’appello è stato proposto al solo fine di impugnare la statuizione sulle spese e che, se è pur vero sono state sollevate le censure in relazione alla statuizione sulla competenza, lo si è fatto al solo fine di conseguire la riforma del regolamento delle spese processuali. Non è necessario accertare se sia stato rispettato il criterio ermeneutico secondo cui l’effettivo contenuto dell'atto di appello deve avvenire non solo in base alla letterale formulazione delle conclusioni, ma anche tenendo conto delle sostanziali finalità che la parte intende perseguire, le quali, anche se non riportate nelle conclusioni, possono ricavarsi dai motivi di reclamo avverso la sentenza di primo grado emergenti dal complesso dell'atto (Cass. n. 10979 del 2003). Applicando tale criterio dovrebbe verificarsi se le censure relative alla statuizione sulla competenza, pur non richiamate nelle conclusioni, potessero costituire anch’esse motivo di appello. In ogni caso non potrebbe sfuggire che la prima conclusione dell’atto di appello è la dichiarazione di nullità del processo per la ragione di censura indicata nel terzo motivo dell’odierno ricorso. Trattasi di petitum che chiaramente trascende l’impugnazione del capo sulle spese processuali, ed in relazione al quale la corte territoriale, oltre la ragione assorbente della inammissibilità dell’appello, ha pure rilevato la carenza di interesse.

Come si è detto, non è necessario accedere al profilo ermeneutico dell’interpretazione dell’atto di appello perché, ai fini della infondatezza delle censure, è sufficiente poggiare proprio su quanto afferma il ricorrente, e cioè che è stata censurata la statuizione sulla competenza al fine di conseguire la riforma del regolamento sulle spese. Il significato dell’impugnazione ordinaria sul solo capo delle spese è che la relativa riforma è domandata a prescindere dalla questione della competenza e dunque per il mancato rispetto della disciplina sulle spese processuali, come quando si censura il mancato rispetto della regola sulla soccombenza o l’ammontare liquidato. Se invece si impugna il provvedimento sulle spese processuali non per la violazione della disciplina che le riguarda, ma censurando la statuizione sulla competenza, e dunque quale capo dipendente che dovrebbe cadere per effetto dell’accertamento sul capo da cui dipende (cfr. art. 336, comma 1, cod. proc. civ.), tutto ciò comporta che oggetto di accertamento, idoneo a costituire la cosa giudicata, sia la violazione della disciplina sulla competenza, sia pure non dichiarata in dispositivo, nonostante che non sia stato esperito il rimedio del regolamento necessario di competenza.

La dipendenza del capo sulle spese, prevista dall’art. 336, comma 1, cod. proc. civ., dimostra che la questione della competenza costituisce la pregiudiziale in senso logico del regolamento delle spese. Come non ha mancato di sottolineare autorevole e risalente dottrina, ciò che «fa stato», in relazione al disposto dell’art. 2909 cod. civ., non sono le disposizioni della sentenza passata in giudicato ma «l’accertamento» ivi contenuto.

Benché l’art. 2909 costituisca norma sul giudicato sul diritto sostanziale, il principio della separazione fra accertamento e disposizione opera anche nel caso di giudicato sul diritto processuale. Tutto questo vuol dire che l’efficacia del giudicato è un’efficacia distinta dagli effetti propri al provvedimento giurisdizionale, dichiarativo (della situazione sostanziale) o attributivo (del bene della vita), che pur fanno capo a quell’accertamento, e significa che ogni effetto giuridico del rapporto oggetto del giudicato trova la propria esclusiva disciplina nel giudicato medesimo. Riformare la pronuncia sulle spese a seguito di appello per la illegittimità della statuizione sulla competenza significa, pur non essendovi in dispositivo dichiarazioni sulla competenza, fare un accertamento sulla questione della competenza, suscettibile di passare in cosa giudicata, non solo senza esperire nel termine previsto il regolamento di competenza, ma anche per ipotesi contrastante con gli sviluppi del processo di merito.

Ciò che alla fine, infatti, può risultare è un provvedimento giurisdizionale reso da un giudice non competente in base all’accertamento sulla competenza, contenuto nella sentenza di appello, costituente giudicato, introducendo così un’intollerabile contraddizione nell’ordinamento. Quanto precede converge con quanto affermato da Cass. Sez. U. n. 14205 del 2005. Hanno affermato le sezioni unite che la sentenza dichiarativa di incompetenza può essere impugnata con un mezzo diverso dal regolamento di competenza, e cioè con il mezzo ordinario di impugnazione consentito avverso le sentenze del giudice che si è dichiarato incompetente (appello o ricorso ordinario per Cassazione) in due ipotesi: «la prima ipotesi è quella in cui il soccombente sulla questione di competenza non contesti la dichiarazione di incompetenza, ma si lamenti soltanto della pronunzia sulle spese, a cui pertanto limita le proprie censure (criticandone, per esempio, la liquidazione)»; la secondo ipotesi «è quella in cui la censura contro la pronunzia sulle spese (contenuta nella sentenza dichiarativa di incompetenza) sia proposta dalla parte che ha avuto ragione sulla questione di competenza (la quale, per esempio, si lamenti della loro liquidazione). Anche qui l'impugnante non pone alcuna questione di competenza, onde manca, nell'impugnazione, la funzione del regolamento di competenza». In questo quadro è stato successivamente affermato che dopo la modifica apportata all'art. 42 cod. proc. civ. dall'art. 45, comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69, l'ordinanza che ha pronunciato soltanto sulla competenza e sulle spese processuali deve essere impugnata con il mezzo ordinario di impugnazione previsto avverso le sentenze del giudice dichiaratosi incompetente, sia nel caso in cui la parte soccombente sulla questione di competenza intenda censurare esclusivamente il capo concernente le spese processuali, sia nel caso in cui la parte vittoriosa su detta questione lamenti l'erroneità della 8 statuizione sulle spese, trattandosi di provvedimento decisorio di merito in relazione al quale manca un'espressa previsione di non impugnabilità (Cass. n. 28156 del 2013, ove si legge che «l'istante censura il provvedimento, secondo quanto si legge in ricorso, in relazione alla mancata applicazione del disposto di cui all’art. 38 c.p.c., comma 2, alla conseguente condanna alle spese, all'entità delle stesse, e non in relazione alla competenza del Tribunale di Siena; quanto a quest'ultima, ribadisce di aver prestato adesione all'eccezione di incompetenza territoriale e di essere d'accordo nell'individuazione del Tribunale di Siena quale foro competente per territorio»).

Va in conclusione enunciato il seguente principio di diritto: “non è impugnabile nei modi ordinari, ai fini della esclusiva riforma del capo sulle spese, un provvedimento giurisdizionale che abbia pronunciato soltanto sulla competenza e sulle spese di lite, se il motivo di censura si basi sulla illegittimità della statuizione sulla competenza e non sul mancato rispetto della disciplina sulle spese processuali”.

Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 91 c.p.c. e 5 d.m. n. 55 del 2014. Osserva il ricorrente che, essendo stato proposto l’appello in relazione al capo sulle spese processuali, il valore della causa era l’importo riconosciuto, in favore di ciascuno dei convenuti, di Euro 3.410,00, per cui lo scaglione da applicare era quello da Euro 1.100,00 a Euro 5.200,00 e l’importo spettante, sulla base del valore minimo e dell’aumento per la difesa di più parti, previsto dall’art. 4 d.m. n. 55 del 2014, era di Euro 1.189,50 ed Euro 1.006,50. Il motivo è infondato.

La sentenza di primo grado ha condannato gli attori alla rifusione delle spese processuali, liquidando «per ciascuno» dei sette convenuti, l’importo di Euro 3.410,00, oltre accessori, nonché al pagamento del medesimo importo ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., sempre in favore di ciascuno dei convenuti. Come si legge nella motivazione della sentenza del Tribunale, le spese ammontano a complessivi Euro 23.870, importo che ascende ad Euro 9 47.740,00, avuto riguardo alla condanna ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c.

Lo scaglione applicabile, in relazione al valore della causa, era dunque quello da Euro 26.001 ad Euro 52.000 e non quello erroneamente richiamato dal ricorrente, dovendosi considerare non il parametro di liquidazione seguito a valere per ogni convenuto, ma il quantum complessivo che la parte attrice era stata condannata a rifondere e che intendeva porre nel nulla con l’impugnazione. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poiché il ricorso viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 - quater all'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali dell'obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma il giorno 18 dicembre 2023