Giu ll credito del professionista incaricato dal debitore di ausilio tecnico per l’accesso al concordato o il perfezionamento dei relativi atti è considerato prededucibile se la relativa prestazione sia stata funzionale alle finalità della procedura
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE - ORDINANZA 11 dicembre 2023 N. 34544
Massima
ll credito del professionista incaricato dal debitore di ausilio tecnico per l’accesso al concordato preventivo o il perfezionamento dei relativi atti è considerato prededucibile, anche nel successivo e consecutivo fallimento, se la relativa prestazione, anteriore o posteriore alla domanda di cui all’art.161 l.f., sia stata funzionale, ai sensi dell’art.111 co.2 l.f., alle finalità della prima procedura, contribuendo con inerenza necessaria, secondo un giudizio ex ante rimesso all’apprezzamento del giudice del merito, alla conservazione o all’incremento dei valori aziendali dell’impresa, sempre che il debitore venga ammesso alla procedura ai sensi dell’art.163 l.f., ciò permettendo istituzionalmente ai creditori, cui la proposta è rivolta, di potersi esprimere sulla stessa. (Sezioni Unite, sentenza n. 42093/2021)

Casus Decisus
Il Tribunale di Treviso, con decreto depositato il 10.2.2016, ha rigettato l’opposizione proposta ex art. 98 legge fall. da Paolo M. e Gabriele G. avverso il decreto con cui il G.D. del fallimento D. s.r.l. in liquidazione li aveva ammessi allo stato passivo, a titolo di corrispettivo per l’attività di assistenza dagli stessi svolta in relazione alla procedura di concordato preventivo, limitatamente agli importi di € 2.537,60 in prededuzione, € 16.000,00 in privilegio ex art. 2751 bis n. 2 cod. civ., con esclusione dell’importo di € 22.204,00 “in quanto credito non proporzionato all’attività svolta anche in ragione delle criticità rilevate nel ricorso di concordato e tenuto conto della dichiarazione di intervenuta inammissibilità della procedura ex art. 173 legge fall”. Il giudice di primo grado, per quanto rileva, nel negare il riconoscimento della prededuzione per il credito già ammesso dal G.D. in privilegio, ha, in primo luogo, evidenziato che il concetto di funzionalità implica un positivo giudizio di adeguatezza del mezzo utilizzato rispetto alle finalità cui è diretto, situazione che non ricorre ove la domanda sia fondata su piano non fattibile o proposta inammissibile. Inoltre, ha messo in luce che la presunzione di utilità del concordato, ritenuta da alcune pronunce di legittimità, poteva ritenersi superata, nel caso di specie, alla luce di diversi profili: 1) il piano presentato dal debitore era inidoneo ai fini dell’ammissione in quanto aveva valorizzato, ai fini della soddisfazione dei crediti, un credito di entità rilevante che sarebbe dovuto essere, invece, consistentemente svalutato (lo stesso decreto impugnato aveva messo in luce che tale credito, nei confronti di C., era stato contestato dal debitore, che si era affermato creditore di una maggiore somma, e lo stesso debitore si trovava in una grave crisi, tanto è vero che nello stesso periodo quest’ultimo aveva, a sua volta, depositato ricorso ex art. 161 comma 6° legge fall.); tali circostanze erano note agli opponenti, che avrebbero dovuto provvedere ad una consistente svalutazione della posta e, invece, predisposero una domanda di concordato sulla base di un piano che lo considerava interamente esigibile, mentre un’adeguata riduzione del credito avrebbe reso impossibile la presentazione del piano perché nulla sarebbe residuato per i creditori chirografari di D.; 2) l’attività dei ricorrenti non aveva consentito una tempestiva emersione della crisi; 3) la gran parte delle spese maturate a causa della procedura di concordato preventivo, stimate in € 214.927,86 (in prededuzione) nel piano presentato dalla stessa debitrice, aveva ingiustificatamente eroso l’attivo destinato ai creditori; infine, gli opponenti non avevano segnalato fatti specifici idonei a dimostrare che vi fosse stata una concreta utilità per i creditori. Avverso il decreto hanno proposto ricorso per cassazione Paolo M. e Gabriele G., affidandolo ad un unico articolato motivo. La curatela del fallimento D. s.r.l. in liquidazione ha resistito in giudizio con controricorso. Il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ..

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE - ORDINANZA 11 dicembre 2023 N. 34544 Ferro Massimo

1. È stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 comma 2° legge fall. per omesso riconoscimento della natura prededucibile del credito professionale. Lamentano i ricorrenti che il Tribunale di Treviso, nel ritenere imprescindibile, ai fini del riconoscimento della prededuzione, la “concreta utilità” e i “vantaggi” conseguiti dai creditori nonché una valutazione ex post del risultato conseguito, ha violato l’art. 111 comma 2° legge fall., che ha introdotto un’eccezione al principio della par condicio creditorum, estendendo la prededucibilità a tutti i crediti sorti in funzione di precedenti procedure concorsuali, tra i quali rientra, per definizione, l’attività professionale svolta per assistenza e consulenza nell’ambito di una proposta di concordato. Rilevano, inoltre, i ricorrenti che i concetti di “funzionalità” e “utilità concreta” non possono essere confusi, ed evidenziano che ritenere che l’utilità debba essere verificata ex post, ovvero tenendo conto dei risultati raggiunti, vuol dire rendere di fatto inapplicabile l’art. 111 comma 22° legge fall.. D’altra parte, la funzionalità delle prestazioni non può escludersi una volta che l’impresa sia stata ammessa al concordato. In ogni caso, evidenziano ancora i ricorrenti che la presentazione della domanda di concordato rappresenta un vantaggio di per sé per i creditori, e ciò in quanto, in caso di fallimento, l’efficacia della sentenza dichiarativa viene retrodatata alla data della presentazione del concordato. In conclusione, ad avviso dei ricorrenti, l’esigenza di favorire il ricorso a forme di soluzioni concordate della crisi giustifica di per sé l’eccezione alla par condicio creditorum e rende di per sé prededucibile il credito del professionista in quanto tale.

2. Il ricorso non è fondato.

Va osservato che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 42093/2021, hanno enunciato il seguente principio di diritto: “ll credito del professionista incaricato dal debitore di ausilio tecnico per l’accesso al concordato preventivo o il perfezionamento dei relativi atti è considerato prededucibile, anche nel successivo e consecutivo fallimento, se la relativa prestazione, anteriore o posteriore alla domanda di cui all’art.161 l.f., sia stata funzionale, ai sensi dell’art.111 co.2 l.f., alle finalità della prima procedura, contribuendo con inerenza necessaria, secondo un giudizio ex ante rimesso all’apprezzamento del giudice del merito, alla conservazione o all’incremento dei valori aziendali dell’impresa, sempre che il debitore venga ammesso alla procedura ai sensi dell’art.163 l.f., ciò permettendo istituzionalmente ai creditori, cui la proposta è rivolta, di potersi esprimere sulla stessa..”. In particolare, questa Corte ha evidenziato che affinché l’attività del professionista possa essere ritenuta “funzionale” ex art. 111 comma 2° legge fall. non è sufficiente l’accesso alla procedura di concordato preventivo, occorrendo quale necessario elemento integrativo, “..che il rapporto di inerenza alle finalità della procedura al cui vantaggio è stata rivolta trovi un apprezzamento anche nella transizione verso altra procedura che segua la prima, specie quando ne sia la conferma d’insuccesso del relativo progetto ristrutturativo; a tale requisito assolve la consecutività dei procedimenti, con l’avvertenza che il primo di essi, per quanto ad esito infausto, sia progredito oltre il mero accesso, raggiungendo almeno gli obiettivi minimali che lo caratterizzano tipologicamente, cioè possa dirsi, quanto al concordato, procedura concorsuale pervenuta alla fase di possibile coinvolgimento dei creditori…” (pag. 23 S.U. n. 42093/2021).

Le stesse Sezioni Unite, nella medesima prospettiva, hanno aggiunto che “non appare dunque sufficiente che, meccanicamente, l’apporto di terzi abbia permesso l’instaurazione in sé sola considerata della prima procedura se poi essa, interrotta giudizialmente o comunque non proseguita per scelta dello stesso debitore, non realizzi alcun integrale continuum con la procedura seguente….” ed hanno ribadito che la finalità essenziale della procedura di concordato preventivo “è quella di far decidere i creditori cui la proposta è diretta (come ripetono inequivocabilmente gli artt. 160 co. 1, 171 co.2, 175 co.1 (e co.5), 177 co.1, 178 (rubrica) l.f.) la convenienza o meno di una ristrutturazione fondata su un piano realizzabile….”(pag. 24 S.U. cit.). Infine, le Sezioni Unite, nell’affermare che la valutazione di funzionalità dell’attività del professionista debba avvenire sulla base di un giudizio ex ante e non ex post, hanno precisato che l’esclusione della prededuzione non discende in modo diretto dall’insuccesso della domanda, bensì dall’inidoneità causale dell’apporto del terzo alle finalità istituzionali della procedura, tra cui, come detto, rientra la necessità che il progetto di risanamento sia consegnato alle valutazioni dei creditori cui la proposta del debitore è diretta (S.U. cit. pag. 25).

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno quindi chiaramente affermato che, al fine di valutare la “funzionalità” della prestazione del professionista alla realizzazione della finalità della procedura concordataria, non è affatto sufficiente che l’apporto del terzo si sia fenomenicamente inserito nell’iter che ha condotto a tale procedura – è erroneo quindi esprimersi in termini di prededucibilità “de plano”, o per definizione, dell’attività professionale svolta per assistenza e consulenza nell’ambito di una proposta di concordato preventivo – ma occorre, quale elemento integrativo, l’adeguatezza della prestazione del professionista alla realizzazione delle finalità tipiche della procedura, tra cui rientra, in primo luogo, la necessità di consentire ai creditori, cui la proposta è diretta, di potersi esprimere su un piano che, oltre a determinare una ristrutturazione del passivo e individuare un progetto di soddisfazione dei medesimi, sia, innanzitutto, realizzabile. In relazione alla predetta esigenza, se è pur vero che le Sezioni Unite hanno ritenuto che, affinché la prestazione del professionista sia adeguata, occorre che sia stato almeno raggiunto il traguardo minimo dell’apertura della procedura concordataria, tuttavia, tale presupposto, costituisce condizione necessaria, ma non sufficiente. L’idoneità causale alla realizzazione degli obiettivi della procedura deve, infatti, ritenersi insussistente non solo in caso di mancata ammissione alla procedura, ma anche quando il concordato, pur aperto, si fondi su un piano inidoneo a relazionarsi con la causa concreta del concordato, circostanza che, una volta accertata dal Tribunale, determini l’interruzione repentina della procedura, prima del coinvolgimento dei creditori. Nel caso di specie, emerge dalla lettura degli atti (in primis dal decreto impugnato) che il Tribunale di Treviso aveva sì disposto, in data 23 gennaio 2015, l’ammissione (poi revocata il 27 marzo 2015) della società debitrice alla procedura concordataria, ma aveva imposto, concedendo apposito termine entro il 28.2.2015, che la stessa società proponente rilasciasse idonea garanzia fideiussoria, avendo verosimilmente colto le evidenti criticità – note ai due professionisti - legate alla riscossione di un credito consistente (che rappresentava l’unico attivo su cui potevano soddisfarsi i creditori chirografari), in relazione sia alla contestazione di tale credito, sia alla grave crisi aziendale del presunto debitore. In una situazione quale quella descritta dal decreto impugnato, la mera apertura della procedura concordataria (repentinamente naufragata solo due mesi dopo) non era certo sufficiente a far ritenere di per sé la “funzionalità” della prestazione dei professionisti, caratterizzata, invece, prima facie, in difetto del rilascio (poi non avvenuto) della garanzia fideiussoria, imposto dal Tribunale, proprio dalla sua inidoneità alla realizzazione delle finalità tipiche del concordato.

Va, inoltre, osservato che dalla lettura del decreto impugnato emerge che se è pur vero che il Tribunale di Treviso, nel proprio iter argomentativo, ha effettivamente richiamato precedenti di questa Corte che facevano riferimento al concetto di “utilità” per il ceto creditorio o ad una valutazione da effettuarsi “ex post”, tuttavia, in realtà, la valutazione in concreto seguita si è fondata, incontrovertibilmente, su un giudizio “ex ante” ed in termini di “funzionalità”. In particolare, il Tribunale di Treviso ha ritenuto la prestazione degli odierni ricorrenti non “funzionale” non sulla base della mancata “utilità” della stessa, per effetto dell’intervenuta revoca dell’ammissione alla procedura concordataria e del conseguente fallimento della società, ma perché, secondo un giudizio “ex ante”, sin dall’inizio (come già evidenziato in parte narrativa) “il piano presentato dal debitore era inidoneo ai fini dell’ammissione in quanto aveva valorizzato, ai fini della soddisfazione dei crediti, un credito di entità rilevante che avrebbe dovuto essere, invece consistentemente svalutato”, sia perché contestato, sia per la grave crisi aziendale del debitore, circostanze note ai ricorrenti.

Infine, non può neppure accogliersi la deduzione dei ricorrenti secondo cui l’accesso (su mera domanda) alla procedura di concordato, realizzi in quanto tale, sempre e comunque, un vantaggio per i creditori, “…apparendo fallace l’argomento della cristallizzazione della massa passiva e della retrodatazione del periodo sospetto, ove segua il fallimento (o equivalente procedura d’insolvenza) ai fini dell’esercizio delle azioni revocatorie; vale sul punto e piuttosto l’osservazione che anche la regola giuridica della continuità fra procedure non assicura alcuna portata preservativa, dal punto di vista economico, al valore dell’impresa debitrice in prospettiva liquidatoria, a fronte del differimento così ancora protratto del soddisfacimento dei creditori, cui si applica dalla domanda del debitore anche il blocco degli interessi ex art.55 l.f. mentre già dalla pubblicazione nel registro delle imprese essi perdono la possibilità di agire in executivis e per converso il rischio di devalorizzazione della stessa consistenza della massa attiva appare anzi crescere all’incremento di crediti prededuttivi che non trovino corrispettivo in altrettante addizioni patrimoniali…”(pag. 19, punto 24, sentenza S.U. sopra citata); 

In conclusione, alla luce delle sopra illustrate osservazione, il Tribunale di Treviso non è incorso nella violazione dell’art. 111 comma 2° legge fall. ed ha, invece, correttamente applicato i principi di diritto enunciati da questa Corte. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in € 3.600,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma il 21.11.2023