1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell'art. 53 del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all'art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c., "per contrasto con l'interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità". In particolare, il ricorrente deduce che la CTR avrebbe errato nel ritenere inammissibili i motivi di appello per il solo fatto che gli stessi si limitavano a riprodurre quelli già proposti in primo grado.
1.1. Il motivo è fondato.
La specificità dei motivi di appello (finalizzata ad evitare un ricorso generalizzato e poco meditato al giudice di seconda istanza) esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell'appellante, volte ad incrinare il fondamento logico giuridico delle prime, ragion per cui alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Tale esigenza, tuttavia, non può impedire che il dissenso della parte soccombente investa la decisione impugnata nella sua interezza e che esso si sostanzi proprio in quelle argomentazioni che suffragavano la domanda disattesa dal primo giudice, essendo innegabile che, in tal caso, sottoponendo al giudice d'appello dette argomentazioni - perché ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere -, si adempia pienamente all'onere di specificità dei motivi (cfr., in tal senso, Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 14908 del 01/07/2014; conf. Sez. 5, Sentenza n. 16163 del 03/08/2016). Ciò ricorre nel caso in esame. Va, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto: "Nel processo tributario, la riproposizione in appello delle stesse argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado - in quanto ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere - assolve l'onere di specificità dei motivi di impugnazione imposto dall'art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ben potendo il dissenso della parte soccombente investire la decisione impugnata nella sua interezza".
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell'art. 2909 c.c., in relazione all'art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR, con riferimento all'unico motivo reputato ammissibile, considerato che l'avviso di accertamento oggetto del giudizio rappresentava una pedissequa riproposizione di quello per l'anno 1999, in relazione al quale si era formato un giudicato esterno favorevole al contribuente all'esito delle sentenze emesse dalla CTR Campania nei confronti sia del Comune di C. che dell'UTE competente.
2.1. Il motivo è inammissibile. Invero, a fronte del rilievo formulato dalla CTR (secondo cui, mentre la sentenza n. 271/2007 della CTR di Napoli concerneva una fattispecie diversa - essendo contestata l'attribuzione della rendita catastale ad altro soggetto - e non era inerente alla contestazione in esame, la sentenza n. 250/2006 annullava si l'avviso di accertamento, ma nulla diceva relativamente alla nullità delle rendite), il ricorrente si è limitato a sostenere la medesimezza del rapporto giuridico, senza trascrivere, almeno nei loro passaggi essenziali, le due pronunce invocate a sostegno della propria tesi, onde porre questa Corte nelle condizioni di verificare la fondatezza del suo assunto. Il tutto in palese violazione del principio di autosufficienza stabilito dall'art. 366, co. 1, n. 6), c.p.c.
L'unico stralcio decontestualizzato della sentenza n. 250/2006 trascritto a pagina 11 del ricorso (alla cui stregua nell'avviso di accertamento relativo all'annualità ICI 1999 non sarebbero state precisate le consistenze catastali dei cespiti ed allo stesso avviso non risulterebbe allegata la delibera di applicazione dell'ICI, come, invece, prescritto dall'art. 7 della I. n. 212/2000) non comporta di per sé che il Comune sia incorso nelle medesime manchevolezze con riferimento all'avviso di accertamento per l'anno 2007, fermo restando che sui detti profili dovrà pronunciarsi la CTR di Napoli (rientrando tra i motivi di gravame dalla stessa non presi in considerazione).
Inoltre, la doglianza non coglie la ratio decidendi sottesa alla pronuncia impugnata, se solo si considera che la CTR non ha negato l'avvenuta formazione della cosa giudicata sulle due sentenze indicate dal contribuente, ma ha escluso che dalle stesse potesse desumersi quanto da lui dedotto relativamente ad una presunta nullità delle rendite. Senza tralasciare che la pronuncia di una sentenza che dichiari la nullità dell'avviso di accertamento per motivi di forma, sia o meno passata in giudicato, non preclude la possibilità (ma, anzi, impone) all'Amministrazione finanziaria di emettere un nuovo avviso (Sez. 5, Sentenza n. 10376 del 12/05/2011; conf. Sez. 5, Ordinanza n. 23675 del 01/10/2018 e Sez. 5, Ordinanza n. 22336 del 13/09/2018).
4. In definitiva, il ricorso merita di essere accolto limitatamente al primo motivo.
La sentenza va, pertanto, cassata con riferimento al motivo accolto e la causa va rinviata, anche per le spese del presente grado di giudizio, alla CTR Campania in diversa composizione.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo motivo, dichiara inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente grado di giudizio, alla CTR Campania in diversa composizione. Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 26.2.2019.