3.Il primo motivo del ricorso di Silvia C. e Filippo B. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. Si ribadisce che l’impugnazione ex art. 1137 c.c. contestava all’assemblea di aver esercitato un potere non riconosciutele per legge (ossia deliberare se autorizzare o meno l’installazione di un impianto fotovoltaico), con correlato interesse attuale e concreto ad agire per la declaratoria di nullità o di annullabilità della delibera. Si richiamano anche i vizi della delibera inerenti al quorum costitutivo, alla mancata indicazione dei millesimi dei condomini intervenuti ed alla verbalizzazione dell’allontanamento di alcuni. Il secondo motivo di ricorso deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., giacché era stato impugnato l’eccesso di potere addebitabile all’assemblea in ordine al punto n. 9 della delibera del 15 marzo 2018, in quanto “nessun altro condomino aveva mai manifestato alcun interesse a fare analogo utilizzo della cosa comune”. Si aggiunge: “ciò che si impugna quindi è l’omesso esame della delibera”. Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 1122 bis c.c., essendo la “fattispecie in esame, ossia installazione di impianto fotovoltaico su parte comune condominiale, (..) disciplinata dall’art. 1122 bis comma 3 c.c. e non già dall’art. 1122 bis comma 2 c.c. richiamato dal Giudice di secondo grado”. Dal dato testuale della norma emerge che “l’interessato ha diritto di procedere all’installazione dell’impianto fotovoltaico su parti comuni condominiali ma che in tale evenienza ne deve dare comunicazione all’amministratore. Lo stesso articolo, nel contempo, non prevede in alcun modo che l’assemblea possa esprimere parere contrario rispetto all’installazione”. 4.Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente defínibilità nelle forme di cui all'art. 380-bis c.p.c., in relazione all'art. 375, comma 1, n. 1), c.p.c., il presidente ha fissato l'adunanza della camera di consiglio.
4.1. I ricorrenti hanno presentato memoria.
4.1.1. Nella memoria presentata ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c., i ricorrenti hanno ribadito che la delibera del 15 marzo 2018, con riferimento al punto n. 9 dell’ordine del giorno, relativa alla “richiesta del condomino sig. B. di installazione di un impianto fotovoltaico sulle parti comuni a servizio della propria unità immobiliare”, riferiva che “risultano a favore a tale installazione i condomini signori: C., De F., A., B. mentre esprimono voto contrario ad approvare l’attuale progetto, presentato dal sig. B., gli altri condomini, ancora presenti in assemblea, in quanto la installazione pregiudica agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto”. Per i ricorrenti, tale delibera dell’assemblea esprimeva, dunque “un diniego” illegittimo, il che, non di meno, li aveva “convinti che prima di poter legittimamente esercitare il proprio diritto e quindi disattendere una delibera e procedere all’installazione dell’impianto fotovoltaico, avessero la necessità di rimuovere l’ostacolo consistente nell’esistenza della delibera del 15 marzo 2018”.
Con la memoria, dunque, “ci si chiede quale siano gli indici rivelatori che potrebbero aiutare un condomino a ritenere una delibera non come espressione del metodo collegiale, ma come manifestazione da riferirsi ai singoli condomini”.
È del tutto priva di fondamento l’eccezione pregiudiziale del controricorrente circa l’‹‹acquiescenza del signor B. alla sentenza della Corte d’Appello di Milano››, non avendo lo stesso formulato conclusioni “in proprio”, pur figurando il suo nome “in epigrafe all’atto e successivamente prima della formulazione delle conclusioni”. L’aver omesso nelle conclusioni del ricorso il nome di uno dei ricorrenti, che risulta invece indicato nell'epigrafe dell’atto e nel contesto dello stesso, non può far in alcun modo desumere l'acquiescenza alla sentenza impugnata, e, cioè, l'accettazione della decisione, e quindi la manifestazione di volontà del soccombente di rinunciare all’ impugnazione.
6.I tre motivi di ricorso, da valutare unitariamente perché connessi, sono inammissibili in quanto denotano carenza di specifica riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata (art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.).
6.1. L’art. 1122 bis. c.c., introdotto dalla legge n. 220 del 2012, (rubricato “Impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili), prevede, al comma 2, che “[è] consentita l'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell'interessato, mentre, al comma 3, afferma: “[q]ualora si rendano necessarie modificazioni delle parti comuni, l'interessato ne dà comunicazione all'amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi. L'assemblea può prescrivere, con la maggioranza di cui al quinto comma 6 dell'articolo 1136, adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell'edificio e, ai fini dell'installazione degli impianti di cui al secondo comma, provvede, a richiesta degli interessati, a ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto. L'assemblea, con la medesima maggioranza, può altresì subordinare l'esecuzione alla prestazione, da parte dell'interessato, di idonea garanzia per i danni eventuali”. Il quarto comma del medesimo art. 1122 bis c.c. precisa, infine, che non sono soggetti ad autorizzazione gli impianti destinati alle singole unità abitative. Resta inteso che l’installazione dell’impianto al servizio della singola unità immobiliare debba avvenire nel rispetto della destinazione delle cose comuni, della tutela del diritto d'uso di ciascun condomino, del minor pregiudizio per le parti condominiali o individuali, della salvaguardia della stabilità, della sicurezza e del decoro architettonico dell'edificio. Condizione normativa perché, dunque, possano venire in rilievo attribuzioni dell’assemblea in ordine alla installazione, da parte di un singolo condomino, di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, è che l’intervento renda “necessarie modificazioni delle parti comuni”, nel qual caso, similmente a quanto dispone l’art. 1122, comma 2, c.c., è stabilito che l’interessato ne dia comunicazione all’amministratore, il quale possa così riferirne in assemblea perché siano adottate le eventuali iniziative conservative volte a preservare l’integrità delle cose comuni.
6.2. Nel caso in esame, la Corte d’appello di Milano ha dato per accertato che, al fine di realizzare il progetto di installazione di dodici pannelli fotovoltaici ad opera dei condomini Silvia C. e Filippo B., non risultava alcuna necessità di modificare le parti comuni, né quindi c’era possibilità per l’assemblea di prescrivere specifiche modalità esecutive. In tal senso, la stessa assemblea si sarebbe limitata, giacché sollecitata, ad esprimere un “parere” contrario al progetto in questione, ravvisandovi un pregiudizio al pari uso della parte comune.
6.2.1. Va evidenziato che le determinazioni prese dai condomini in assemblea sono considerate, a tutti gli effetti, come veri e propri atti negoziali, sicché l’interpretazione del contenuto delle delibere condominiali viene regolata secondo i canoni ermeneutici stabiliti dagli artt. 1362 e seguenti c.c. e il relativo compito è assegnato ai giudici del merito, costituendo tale valutazione apprezzamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità ove sorretto da congrua motivazione immune da vizi logici e giuridici. (Cass. Sez. 2, 28/02/2006, n. 4501; Cass. Sez. 2, 27/08/2002, n. 12556). Non possono perciò condividersi le critiche che i ricorrenti rivolgono alla sentenza impugnata in ordine all’esito interpretativo cui la stessa è pervenuta, nel senso di intendere la decisione del 15 marzo 2018 non come manifestazione di un “parere” avverso al progetto di installazione dell’impianto espresso dai condomini, diversi dai signori C., DeF., A. e B., “ancora presenti in assemblea”, quanto come formale frapposizione di un “diniego” ostativo all’iniziativa dei richiedenti.
6.3. L’istallazione su una superficie comune di un impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinato al servizio 8 di una unità immobiliare, che non renda necessaria la modificazione delle parti condominiali, per quanto già affermato, può, dunque, essere apportata dal singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, senza richiedere alcuna preventiva autorizzazione dell’assemblea (salvo che tale autorizzazione non sia imposta da una convenzione contrattuale approvata dai condomini nell’interesse comune, mediante esercizio dell’autonomia privata: ad esempio, Cass. Sez. 2, 21/05/1997, n. 4509). Alla eventuale autorizzazione alla installazione di un tale impianto concessa dall'assemblea, ovvero al parere contrario espresso dalla stessa, può, quindi, attribuirsi soltanto il valore di mero riconoscimento dell'inesistenza, o, viceversa, dell’esistenza, di un interesse e di concrete pretese degli altri condomini rispetto alla utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante (Cass. Sez. 2, 20/02/1997, n. 1554). Il condomino che intenda procedere alla istallazione su una superficie comune di un impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinato al servizio di una unità immobiliare, che non renda necessaria la modificazione delle parti condominiali, non ha dunque interesse ad agire per l’impugnazione della deliberazione dell’assemblea che abbia espresso un parere contrario all’intervento, non generando la stessa alcun concreto pregiudizio ai suoi diritti, tale da legittimare la pretesa ad un diverso contenuto dell’assetto organizzativo della materia regolata dalla maggioranza assembleare.
6.3.1. Si ha qui riguardo, del resto, ad una azione di impugnazione di deliberazione dell’assemblea di condominio, ai sensi dell’art. 1137 c.c., la quale ha espresso “voto contrario” ad 9 approvare un progetto di installazione di dodici pannelli fotovoltaici su parte comune, comunicato dai condomini B. e C. all’amministratore. In tema di impugnazione della deliberazione dell’assemblea condominiale, l'onere di provare il vizio di contrarietà alla legge o al regolamento di condominio, da cui deriva l'invalidità della stessa, grava sul condomino che la impugna (arg. da Cass. Sez. 1, 19/02/2018, n. 3946; Cass. Sez. 1, 10/11/2005, n. 21831). La contrarietà alla legge della impugnata deliberazione discenderebbe soltanto dalla constatazione che l’assemblea avesse deciso di denegare l’installazione dell’impianto per la produzione di energia da fonte rinnovabile destinata al servizio dell’unità immobiliare dei ricorrenti, opponendosi alla concreta utilizzazione del bene comune che vogliano farne i singoli partecipanti, così adottando un provvedimento non previsto dalla legge o dal regolamento, ove la volontà collettiva non fosse giustificata dalla tutela delle esigenze conservative dei diritti inerenti alle parti condominiali. Un siffatto diniego di autorizzazione non è stato però colto dalla Corte d’appello nel testo della delibera del 15 marzo 2018, essendo la stessa apparsa, con interpretazione plausibile, preferita rispetta alle altre pur possibili, come una mera manifestazione maggioritaria dell’interesse contrario di altri condomini alla installazione dell’impianto.
6.4. Va pertanto enunciato il seguente principio di diritto: l’istallazione su una superficie comune di un impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinato al servizio di una unità immobiliare, ai sensi dell’art. 1122 bis. c.c., che non renda necessaria la modificazione delle parti condominiali, può essere eseguita dal singolo condomino senza alcuna preventiva autorizzazione dell’assemblea. Ne consegue che all’eventuale parere contrario alla installazione di un tale impianto espresso dall'assemblea deve attribuirsi soltanto il valore di mero riconoscimento dell’esistenza di concrete pretese degli altri condomini rispetto alla utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante, con riferimento al quale non sussiste l’interesse ad agire per l’impugnazione della deliberazione ai sensi dell’art. 1137 c.c.
6.5. In ordine al primo motivo di ricorso, si consideri poi che è comunque incomprensibile il riferimento all’eccesso di potere assembleare, consistente nella carenza di un’adeguata istruttoria necessaria all’appalto dei lavori di manutenzione condominiale. Il vizio dell’eccesso di potere suppone, in realtà, un grave pregiudizio alla cosa comune, ex art. 1109, n. 1, c.c., stimato sulla base di accertamento di fatto rimesso al giudice di merito e tale da consentire l’invalidazione della decisione approvata dalla maggioranza (Cass. Sez. 2, 14/10/2008, n. 25128; Cass. Sez. 2, 05/11/1990, n. 10611).
6.6. Quanto invece al secondo motivo, opera la previsione d'inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all'art. 348 ter, comma 5, c.p.c., che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. la sentenza di appello "che conferma la decisione di primo grado" e che, come nella specie, risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cd. doppia conforme).
7. Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile e i ricorrenti vanno condannati in solido a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione. Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 11 -, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 1.500,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 - 2 Sezione