Giu Il terzo che adempia l’obbligazione può agire per l’ingiustificato arricchimento nei confronti del debitore se l’adempimento è avvenuto spontaneamente e senza che il medesimo adempimento costituisca attuazione di un negozio
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - ORDINANZA 21 agosto 2023 N. 24871
Massima
Il terzo che adempia l’obbligazione può agire per l’ingiustificato arricchimento nei confronti del debitore se l’adempimento è avvenuto spontaneamente e senza che il medesimo adempimento costituisca attuazione di un negozio, del quale dovrebbe peraltro presumersi la gratuità in mancanza di un interesse economicamente apprezzabile del terzo all’adempimento

Casus Decisus
G.F. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Lecce Andrea M. chiedendo la condanna al pagamento della somma di Euro 15.268,35 sulla base di quattro fatture emesse quale commercialista, in via subordinata a titolo di ingiustificato arricchimento. Il Tribunale adito rigettò la domanda. Avverso detta sentenza proposero appello Salvatora Muci, nella qualità di erede di Gianmario G.F., ed appello incidentale il M.. Con sentenza di data 2 febbraio 2021 la Corte d’appello di Lecce accolse l’appello, condannando l’appellato al pagamento della somma di Euro 15.268,35 oltre interessi, e rigettò l’appello incidentale. Premise la corte territoriale che non risultava che l’attore avesse espressamente qualificato la propria azione, essendosi limitato a dedurre di avere pagato spontaneamente i debiti dell’amico, su sollecitazione dello stesso che aveva promesso di rimborsarlo in un breve lasso di tempo, senza avere fatto valere alcun titolo fondante lo spostamento patrimoniale, e così palesando l’assenza di un titolo giustificativo dei pagamenti effettuati, e che in presenza della prestazione senza causa spettava l’azione generale di arricchimento ingiustificato, derivando il risparmio di spesa dell’un soggetto ed il depauperamento dell’altro da un unico fatto costitutivo ed essendo entrambi privi di causa giustificatrice. Aggiunse che era provata l’estinzione di varie posizioni debitorie del M. (nei confronti di Equitalia, E.A. e del geom. Ma.), sia mediante le ricevute in originale dei pagamenti effettuati, sia mediante la testimonianza del Ma., il quale aveva confermato non solo il pagamento in suo favore, ma anche l’estinzione da parte del professionista dell’esposizione debitoria del M. nei confronti dell’esattoria. Osservò infine che l’appellato non aveva supportato con alcuna prova documentale e/o orale l’allegata estinzione con denaro proprio dei debiti in questione, direttamente oppure fornendo il G.F. della relativa provvista. Ha proposto ricorso per cassazione Andrea M. sulla base di cinque motivi e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ..

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - ORDINANZA 21 agosto 2023 N. 24871 Travaglino Giacomo

Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 2907 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la domanda restitutoria risulta basata su quattro fatture per prestazioni professionali, ossia sull’attività di consulenza entro la quale si sarebbero verificate le anticipazioni di denaro di cui si chiede il pagamento, come comprovato dalle conclusioni della comparsa conclusionale di secondo grado, e che la corte territoriale ha violato il principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, sostituendo l’azione proposta con una diversa. Aggiunge che illegittima è la modificazione della qualificazione giuridica della domanda operata dal Tribunale, anche per violazione del giudicato interno formatosi per la mancata impugnazione da parte dell’appellante. Il motivo è inammissibile.

La censura si basa in primo luogo sul contenuto dell’atto introduttivo del giudizio e poi anche sulla motivazione della sentenza di primo grado. In violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ. non risulta indicato in modo specifico il contenuto rilevante di tali atti.

Quanto alla domanda si fa riferimento espresso solo alla comparsa conclusionale di secondo grado. Peraltro in sede di sommaria esposizione dei fatti di causa (pag. 3 del ricorso), si dice che «nulla specificava quindi l’attore in ordine alla causa petendi», richiamando solo l’allegazione delle fatture emesse quale 4 commercialista. L’indicazione in ricorso pare quindi contraddire il denunciato contrasto fra il contenuto della citazione e la qualificazione operata dalla corte territoriale. Non risulta indicato poi neanche lo specifico contenuto della motivazione della sentenza rilevante sotto il profilo della qualificazione della domanda e per il quale sarebbe intervenuto un giudicato interno. A pag. 5 del ricorso si legge solo che il Tribunale ha affermato che «il convenuto avrebbe dovuto provare la natura onerosa della causa petendi», ma trattasi di motivazione neutrale in relazione alla questione della qualificazione della domanda. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 2041 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Premesso che il rimedio di cui all’art. 2041 non può essere adoperato quando la domanda principale sia stata rigettata per difetto di prova, osserva la parte ricorrente che il giudice di appello ha omesso di esaminare i documenti che comprovano l’esecuzione dei pagamenti con denaro del M.. Aggiunge che non c’è prova del fatto costitutivo dell’art. 2041 (mancanza di giusta causa, sussistenza di nesso causale fra impoverimento e arricchimento) e che ha colto nel segno il Tribunale laddove ha valorizzato il “rapporto di amicizia” riferito dal medesimo attore per identificare una giusta causa. Il motivo è inammissibile. In primo luogo la censura è eccentrica rispetto alla ratio decidendi, e pertanto priva di decisività, perché non si coglie nella decisione di appello un preliminare rigetto di domanda principale, ma direttamente l’accoglimento della domanda per ingiustificato arricchimento, la quale ha costituito per la corte territoriale la primaria qualificazione della domanda. Vi è poi un riferimento a documenti che comproverebbero l’esecuzione dei pagamenti con denaro del M., ma nulla, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., è indicato specificatamente al riguardo. Infine il motivo refluisce nella confutazione della valutazione della prova, che è sfera riservata al giudice del merito e non sindacabile in quanto tale nella presente sede di legittimità. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 1180 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente in primo luogo che la domanda è carente dell’indicazione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda. Aggiunge quindi, richiamando Cass. n. 6538 del 2010, che l’adempimento da parte del terzo si presume eseguito a titolo gratuito e che nella specie non è dato conoscere quale sia stato il rapporto sottostante che abbia giustificato il pagamento e che possa giustificare l’azione di regresso nei confronti del debitore. Il motivo è infondato. Esso contiene due censure. La prima censura è di nullità dell’originario atto introduttivo del giudizio per mancanza di causa petendi. Deve qui rammentarsi che la regola dettata dall'art. 157, comma 3, c.p.c., secondo cui la parte che ha determinato la nullità non può farla valere, non opera quando si tratti di una nullità rilevabile anche d'ufficio, ma tale inoperatività è correlata alla durata del potere ufficioso del giudice, sicché una volta che quest'ultimo abbia deciso la causa omettendo di rilevare la nullità, la regola si riespande, con la conseguenza che la parte che vi ha dato causa con il suo comportamento, ed anche quella che, omettendo di rilevarla, abbia contribuito al permanere della stessa, non possono dedurla come motivo di nullità della sentenza, a meno che si tratti di una nullità per cui la legge prevede il rilievo officioso ad iniziativa del giudice anche nel grado di giudizio successivo (Cass. n. 21381 del 2018). Il ricorrente, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., non ha specificatamente indicato di avere eccepito in primo grado la nullità della domanda per mancanza dell’esposizione dei fatti di cui al n. 4) dell’art. 163 cod. proc. civ.. Anche reputando assolto tale onere, non risulta indicato se l’appello incidentale sia stato proposto 6 per denunciare tale specifico vizio, perché a pag. 12 del ricorso vi è menzione dell’appello incidentale volto esclusivamente alla dichiarazione della «inesistenza dell’atto di citazione» - ma non si comprende per quale causa - e alla «estinzione del giudizio ex art. 307 c.p.c.».

La seconda censura attiene ad un’asserita incompatibilità fra adempimento del terzo (art. 1180) ed ingiustificato arricchimento (art. 2041). E’ pur vero che, come affermato da Cass. Sez. U. n. 6538 del 2010, nell'adempimento del debito altrui da parte del terzo, mancando nello schema causale tipico la controprestazione in favore del disponente, si presume che l'atto sia stato compiuto gratuitamente, pagando il terzo, per definizione, un debito non proprio e non prevedendo la struttura del negozio nessuna controprestazione in suo favore (da cui, secondo la Corte, la conseguenza che nel giudizio avente ad oggetto la dichiarazione di inefficacia di tale atto, ai sensi dell'art. 64 della legge fall., incombe al creditore beneficiario l'onere di provare, con ogni mezzo previsto dall'ordinamento, che il disponente abbia ricevuto un vantaggio in seguito all'atto che ha posto in essere, in quanto questo perseguiva un suo interesse economicamente apprezzabile). Tale principio di diritto presuppone però che il pagamento abbia un significato negoziale e che quindi rinvii ad un negozio (a titolo gratuito) fra il debitore ed il terzo che adempie il debito del primo.

Se l’adempimento ha carattere spontaneo – come nel caso di specie accertato dal giudice del merito -, e non può esservi pertanto attribuito significato negoziale, viene in rilievo un altro principio di diritto, sempre enunciato dalle Sezioni Unite: l'adempimento spontaneo di un'obbligazione da parte del terzo, ai sensi dell'art. 1180 cod. civ., determina l'estinzione dell'obbligazione, anche contro la volontà del creditore, ma non attribuisce automaticamente al terzo un titolo per agire direttamente nei confronti del debitore, non essendo in tal caso configurabili né la surrogazione per volontà del creditore, prevista dall'art. 1201 cod. civ., né quella per volontà del debitore, prevista dall'art. 1202 cod. civ., né quella legale di cui all'art. 1203 n. 3 cod. civ., la quale presuppone che il terzo che adempie sia tenuto con altri o per altri al pagamento del debito; la consapevolezza da parte del terzo di adempiere un debito altrui esclude inoltre la surrogazione legale di cui agli artt. 1203 n. 5 e 2036, terzo comma, cod. civ., la quale, postulando che il pagamento sia riconducibile all'indebito soggettivo "ex latere solventis", ma non sussistano le condizioni per la ripetizione, presuppone nel terzo la coscienza e la volontà di adempiere un debito proprio; pertanto, il terzo che abbia pagato sapendo di non essere debitore può agire unicamente per ottenere l'indennizzo per l'ingiustificato arricchimento, stante l'indubbio vantaggio economico ricevuto dal debitore (Cass. Sez. U. n. 9946 del 2009).

A tale principio di diritto il Collegio intende dare continuità: al terzo non restava che agire per ingiustificato arricchimento.

Va in conclusione enunciato il seguente principio di diritto: “il terzo che adempia l’obbligazione può agire per l’ingiustificato arricchimento nei confronti del debitore se l’adempimento è avvenuto spontaneamente e senza che il medesimo adempimento costituisca attuazione di un negozio, del quale dovrebbe peraltro presumersi la gratuità in mancanza di un interesse economicamente apprezzabile del terzo all’adempimento”.

Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 111 Cost., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la motivazione è apparente perché la corte territoriale ha omesso la motivazione in ordine alle prove documentali da cui risulta il pagamento da parte del M. e ha 8 omesso di spiegare come dalle ricevute si ricavi il pagamento da parte del G.F..

Il motivo è inammissibile.

E’ denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014). La censura è irritualmente formulata come divergenza fra la motivazione e le risultanze istruttorie. Con il quinto motivo si denuncia violazione degli artt. 115, 116 cod. proc. civ. e 1180 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente, in via subordinata, che era controverso che i pagamenti fossero stati effettuati con denaro del M. e che la corte territoriale ha semplicemente liquidato la questione aderendo alla tesi dell’intimato. Il motivo è inammissibile. La censura attiene al giudizio di fatto ed è, in quanto tale, non sindacabile in sede di legittimità. Lo stesso ricorrente afferma che la circostanza dei pagamenti era controversa, per cui l’apprezzamento della Corte d’appello non può non avere avuto carattere valutativo. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poiché il ricorso viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 - quater all'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali dell'obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, con distrazione in favore del procuratore anticipatario e che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma il giorno 9 giugno 2023