1. I motivi di ricorso possono essere così riassunti: 1) violazione degli artt. 540, comma 1, 150, comma 2, 157 e 193 c.c., perché la corte territoriale ha attribuito alla ricorrente lo status di coniuge separato, nonostante laF. non fosse tale al momento della morte di Arturo P.. Fino a quel momento erano stati emessi solamente i provvedimenti presidenziali provvisori, i quali, secondo le norme applicabili ratione temporis, non avevano hanno effetto anticipatorio; 2) nullità della sentenza per vizio di motivazione contradittoria e incomprensibile relativamente alla questione della ripresa del communio coniugalis, che la corte di merito avrebbe dovuto riconoscere; 3) omesso esame di fatto decisivo, consistente nella mancata considerazione di più aspetti riguardanti la genesi e le vicende del giudizio di separazione, che rendevano palese che la relazione affettiva fra i coniugi non era venuta meno, proseguendo secondo modalità diverse; 4) omesso esame di un fatto decisivo, individuato nel carattere non decisivo delle risultanze dei certificati anagrafici, essendo pertanto irrilevante la circostanza, erroneamente valorizzato dai giudici di merito, che la F. avesse ripreso la residenza anagrafica nella casa familiare dopo la morte del de cuius; 5) nullità della sentenza per vizio di motivazione, che la ricorrente individua nella erronea valutazione dei testimoni, anche sotto il profilo della loro attendibilità; 6) nullità della sentenza per violazione degli art. 113 e 115 c.p.c., tenuto conto del fatto oggettivo, trascurato dalla corte d’appello, che fra la data di comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente a quella della morte del coniuge erano decorso solo otto mesi; 7) nullità della sentenza per vizio di motivazione: è censurata la statuizione di inammissibilità del motivo di appello relativo al decisum di primo grado sulla domanda volta a ottenere il rimborso delle spese per i lavori di miglioramento all’immobile, a torto ritenuta generica dal Tribunale; 8) nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., 183, in riferimento agli artt. 166 e 167 c.p.c.: la domanda di rimborso, a suo tempo proposta in primo grado, non era affatto generica, dovendosi tenere conto della possibilità accordata dall’art. 183 c.p.c. di integrare deduzioni e prove in un secondo tempo; 9) omesso esame di fatto decisivo, ravvisato nella mancata considerazione della tempestività della produzione documentale operata ai fini della prova della domanda di rimborso, dolendosi inoltre la ricorrente della mancata ammissione delle prove orali e della consulenza tecnica, richiesta al fine della prova del quantum dei lavori eseguiti; 10) nullità della sentenza per omissione di pronuncia, sulla domanda dell’appellante, di restituzione di quanto pagato dal defunto a beneficio dei figli per debiti loro verso terzi o per 5 prestiti effettuati in loro favore. Nel motivo si aggiunge la censura relativa alla liquidazione delle spese di lite, operata separatamente per ciascuna parte, nonostante la corte territoriale avesse disattesa, in motivazione, la richiesta di maggiorazione per la difesa di più parte nel giudizio; 11) contraddittorietà fra motivazione e dispositivo sul punto, già oggetto del motivo precedente, della separata liquidazione delle spese di lite; 12) violazione dell’art. 92 c.p.c., perché la Corte, pur avendo deciso sulla base di una giurisprudenza successiva, aveva omesso di compensare le spese di lite.
2. Il primo motivo è fondato e il suo accoglimento è idoneo ad assorbire le censure dei motivi seguenti fino al sesto. Intanto deve precisarsi che la Corte di merito ha ritenuto applicabili nel caso in esame il principio di giurisprudenza sul coniuge separato senza addebito, che non sono del tutto attinenti al caso in esame, che non riguardava una ipotesi di separazione consensuale, ma una causa di separazione giudiziale ancora in corso al momento della morte di uno dei coniugi. Il provvedimento presidenziale, anche secondo la disciplina attuale, peraltro non applicabile ratione temporis, anticipa solo l’effetto di scioglimento della comunione legale, ma non attribuisce ai coniugi la qualità di coniugi separati. Ma al di là di questo rilievo il principio di giurisprudenza è stato oggetto di motivate critiche da parte della dottrina, che questa Suprema Corte ritiene non superabili e tali da imporne l’abbandono.
3. È questione da sempre discussa se i diritti riconosciuti al coniuge dall’art. 540, comma 2, c.c., possano sorgere a favore del coniuge superstite che vivesse legalmente separato dal 6 di 11 defunto. Il dubbio ovviamente si giustifica in ragione del fatto che al coniuge separato senza addebito, la legge riconosce gli stessi diritti successori del coniuge non separato. È sembrato a taluni interpreti che la separazione legale implichi, necessariamente, il venir meno del presupposto per la nascita dei diritti di abitazione e di uso, divenendo impossibile, a seguito della separazione, individuare una “casa adibita a residenza familiare”. In base a questa posizione, fatta propria della giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 13407/2014; n. 15277/2019), per “casa familiare” dovrebbe intendersi unicamente la casa di residenza comune al momento dell’apertura della successione. Secondo una diversa opinione, oggetto dei diritti di abitazione e di uso dovrebbe essere l’ultima casa che fu di residenza comune, benché in un tempo precedente all’apertura della successione, ed i mobili che la corredavano. Ancora una diversa tesi suggerisce di identificare come casa di residenza familiare quella che fu comune ed in cui il coniuge separato sopravvissuto si trovi ancora al momento di apertura della successione, o perché rimastovi di fatto, in conseguenza di un accordo con l’altro coniuge, o per disposizione del giudice. In base a questa opinione il presupposto per la concreta attribuzione dei diritti, in sintesi, mancherebbe solo nelle ipotesi in cui, all’apertura della successione, il coniuge sopravvissuto non vivesse più nella casa familiare comune. A tale soluzione è stato rimproverato di introdurre una disparità di trattamento nei confronti del coniuge senza prole o che vi abbia rinunziato all’assegnazione della casa familiare per ragioni legittime o al quale per qualsiasi motivo, il giudice non abbia attribuito il diritto di abitazione.
4. Pur dovendosi riconoscere (come evidenziato in dottrina), l’opportunità di un chiarimento legislativo, sul piano applicativo si deve affermare la prevalenza degli argomenti che inducono ad accogliere la tesi secondo la quale l’adibizione della casa a residenza familiare non deve essere necessariamente in atto nel momento di apertura della successione, e pertanto non viene meno per il solo fatto della separazione legale. La norma, infatti, non annovera fra i presupposti per l’attribuzione dei diritti la convivenza fra coniugi e, d’altra parte, la lettera dell’art. 548 c.c. è chiara nel parificare i diritti successori del coniuge separato senza addebito a quelli del coniuge non separato. In base a questa opinione i presupposti per la nascita del diritto mancherebbero solo qualora, dopo la separazione, la casa fosse stata abbandonata da entrambi i coniugi o avesse comunque perduto ogni collegamento, anche solo parziale o potenziale, con l’originaria destinazione familiare. In tal caso, essendo cessata l’adibizione a residenza della famiglia, i diritti di abitazione e di uso non sorgono per difetto del presupposto oggettivo, mentre i presupposti continuerebbero a sussistere anche quando la successione si sia aperta in favore di quello che se ne fosse allontanato, lasciando a viverci l’altro ora defunto. Merita di avere seguito l’osservazione, proposta in dottrina, che se è vero che l’interesse di un coniuge e non mutare ambiente di vita aveva dovuto cedere, nel conflitto, a quello dell’altro, proprietario esclusivo o comproprietario, è vero nello stesso tempo che altrettanta forza non può essere riconosciuta - sì da impedire al superstite il ritorno in quell’ambiente, che può avere conservato con lui un valore non soltanto economico - agli interessi esclusivamente patrimoniali degli altri chiamati in concorso. Si deve inoltre condividere l’opinione, sempre proposta con riferimento all’ipotesi dell’abbandono della casa coniugale, che non sono consentite in materia distinzioni, a seconda che esso sia o no giustificato. Non si può rimettere al giudice della successione un accertamento di colpa che le legge prende in considerazione - all’effetto di escludere la vocazione ereditaria e, con essa, il diritto di abitazione sulla casa familiare - solo quando sia intervenuto. in contraddittorio con l’altro coniuge, in un giudizio definito prima dell’apertura della successione. Ad analoghi criteri occorre riferirsi, a maggior ragione, con riguardo ai casi di mera separazione di fatto.
5. In accoglimento del primo motivo, la sentenza deve essere cassata e il giudice di rinvio dovrà attenersi al seguente principio di diritto: «I diritti di abitazione e uso, accordati al coniuge superstite dall’art. 540, comma 2, c.c. spettano anche al coniuge separato senza addebito, eccettuato il caso in cui, dopo la separazione, la casa sia stata lasciata da entrambi i coniugi o abbia comunque perduto ogni collegamento, anche solo parziale o potenziale, con l’originaria destinazione familiare».
6. Il settimo motivo è inammissibile. Il primo giudice ha rigettato la domanda avanzata dalla convenuta nella comparsa di costituzione e risposta, di rimborso delle spese sostenute per la cosa comune, perché generica, oltre che non supportata da alcun elemento di prova. La Corte d’appello ha riconosciuto aspecifico il relativo motivo d’appello, perché non confutava in modo preciso e puntuale la prima delle ragioni poste a base del rigetto, ovvero che la domanda fosse generica. La ricorrente censura tale statuizione, sottolineando che, nel corso del giudizio, fu fornita la prova dei lavori eseguiti. Ma è 9 di 11 chiaro che tali deduzioni, in quanto attinenti alla prova del credito, non si atteggiano quali censure idonee a incrinare la valutazione di genericità della domanda con la quale il credito fu fatto valere.
7. È inammissibile l’ottavo motivo, con il quale la ricorrente censura la valutazione di genericità della domanda, fatta dal primo giudice in quanto condivisa dalla Corte d’appello. Infatti, si tratta di considerazioni aggiuntive rispetto alla statuizione di inammissibilità del motivo di appello sul capo di decisione riguardante la domanda di rimborso delle spese. In altre parole, la “condivisione” del giudizio di genericità della domanda, dato dal primo giudice, degrada a considerazione secondarie della decisione, non suscettibile di ricorso per cassazione (Cass. 20 n. 17004/2015; n. 24154/2017). A ciò si deve aggiungere che la sentenza impugnata, dopo aver condiviso la valutazione del primo giudice sulla genericità della domanda, sottolinea che l’appellante, attuale ricorrente, non depositò alcuna memoria nel primo dei termini accordati dal giudice ai sensi dell’art. 183, comma 6, c.p.c. Tutti i rilievi del ricorrente, sulla possibilità di postume integrazioni della domanda iniziale, diventano allora irrilevanti, perché riferite alla seconda memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., con la quale è consentita la sola deduzione dei solo fatti secondari, volti alla prova dei fatti principali, che a quel punto debbono essere già compiutamente dedotti (Cass. n. 8525/2020).
8. È conseguentemente inammissibile anche il nono motivo, con il quale si censura la mancata ammissione delle prove orali sulla domanda di rimborso. Una censura del genere, infatti, non si confronta con la ratio decidendi della decisione impugnata, la quale ha ravvisato la genericità del relativo motivo d’appello, comportando una tale statuizione, non efficacemente impugnata in questa sede, l’irrilevanza a priori di ogni e qualsiasi questione riguardante il merito della vicenda.
9. È inammissibile anche il decimo motivo, che censura l’omessa pronuncia su una domanda che la ricorrente non deduce di avere già proposta nel giudizio di primo grado. Infatti, nel riportare i motivi d’appello, la Corte non accenna a una tale domanda (riportata solo nella parte dedicata alle conclusioni di parte nel giudizio d’appello), la quale, pertanto, deve ritenersi proposta per la prima volta nel giudizio d’appello. In questo senso, del resto, depone la stessa impostazione difensiva della ricorrente, che riferisce l’omissione alla Corte d’appello, senza minimamente menzionare la decisione di primo grado. Si ricorda che «l'omessa pronuncia, qualora abbia ad oggetto una domanda inammissibile, non costituisce vizio della sentenza e non rileva nemmeno come motivo di ricorso per cassazione, in quanto, alla proposizione di una tale domanda, non consegue l'obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito» (Cass. n. 20363/2021; n. 22784/2018). 10. L’undicesimo e il dodicesimo motivo sono assorbiti, riguardando la liquidazione delle spese del grado. 12. In conclusione, in accoglimento del primo motivo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio innanzi alla Corte d'appello di Brescia, in diversa composizione, perché riesamini l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento dei diritti del coniuge sulla casa familiare, alla luce del principio sopra stabilito. Alla stessa si demanda anche la liquidazione delle spese di legittimità.
Sono assorbiti i motivi dal secondo al sesto; sono inammissibili i motivi dal settimo al decimo; sono assorbiti l’undicesimo e il dodicesimo motivo. La causa deve essere rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara assorbiti i motivi dal secondo al sesto; dichiara inammissibili i motivi dal settimo al decimo; dichiara assorbiti l’undicesimo e il dodicesimo motivo; cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e rinvia, anche per la liquidazione delle spese di legittimità, innanzi alla Corte d'appello di Brescia, in diversa composizione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda