La controversia ha ad oggetto il pagamento del contributo per prestazioni residenziali socio-sanitarie erogate dalla C.C C.d.C., giusta contratto stipulato con l'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio C.. In particolare, la questione riguarda la sussistenza di un obbligo della Regione C. – che non ha preso parte all'accordo contrattuale - di partecipare, ope legis, al pagamento delle quote di degenza nella misura stabilita dalla normativa applicabile, nel caso di specie, pari al 50%. La C.C C.d.C., nell'anno 2013, in esecuzione del contratto stretto con l’A.S.P. di Reggio C., ha erogato prestazioni sociosanitarie residenziali in favore di anziani che l’A.S.P., tramite l'adozione di formali provvedimenti autorizzativi al ricovero, ha riconosciuto come necessitanti di cure mediche e non assistibili a domicilio. Per la remunerazione delle prestazioni in argomento, il contratto faceva riferimento agli artt. 17 e 18, L.R. C. 22/2007, che in ordine alle C.P. per Anziani pongono i relativi oneri, nella pari misura del 50% della retta giornaliera, a carico, rispettivamente, del Fondo Sanitario Regionale (gestito dalle Aziende Sanitarie) e del Fondo Sociale Regionale (gestito dalla Regione). I motivi di ricorso sono i seguenti:
1) VIOLAZIONE DELL'ART. 1372, COMMA 2, C.C. E DELL'ART. 1, COMMA 10, D.L. 27.08.1993, N. 324, CONVERTITO DALLA L. 27.10.1993, N. 423, IN RELAZIONE ALL'ART. 360, C. 1, N° 3, C.P.C. Il ricorrente fa valere l’illegittimità della sentenza impugnata ex art. 1372 comma 2 c.c. nella parte in cui ha escluso, riguardo al pagamento della c.d. "quota sociale" per le prestazioni socio-sanitarie rese nell'anno 2013, che esista alcuna normativa che consenta di affermare l'efficacia del contratto anche nei confronti della Regione C.; tale norma si rinverrebbe, infatti, nell'art. 1, comma 10, D.L. 27.08.1993, n. 324, convertito dalla L. 27.10.1993 n. 423, che radica la legittimazione passiva nel "soggetto finanziatore" (Regione) e non nell'A.S.P; Il ricorrente ha ricordato che quelle risalenti pronunce poste dalla Corte d’Appello a fondamento della sua decisione erano state rese dalla S.C. riguardo a fattispecie sorte tutte anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 1, comma 10, D.L. 27.08.1993, n. 324, convertito dalla L. 27.10.1993, n. 423, da cui si evince invece l'introduzione ex lege della legittimazione passiva della sola Regione C., quale ente "incaricato del pagamento" ed ente finanziatore delle Aziende Sanitarie. 2) VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 1372, COMMA 2, C.C. E DEGLI ARTT. 17-18, LR. C. 22/2007; ART. 49, LR. C. 23 DICEMBRE 2011, N. 47; ART. 41, CO. 4, L.R. C. 27 DICEMBRE 2012, N. 69; L.R. C. N. 12 DEL 21 APRILE 2015; ART. 9, L.. C. 2 DICEMBRE 2016, N. 40; ART. 16, CO. 6, L.. C. 27 DICEMBRE 2016, N. 44, IN RELAZIONE ALL'ART. 360, C. 1, N° 3, C.P.C. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta l’illegittimità della sentenza nella parte in cui ha escluso la legittimazione passiva della Regione C. riguardo al pagamento della "quota sociale", anche alla luce 5 di 12 della legislazione regionale di riferimento e dell'interpretazione autentica fornita dallo stesso legislatore regionale degli artt. 17-18, L.R. C. 22/2007, norme di legge ritenute fonte di obbligazione diretta di pagamento per la Regione verso le Strutture, dell’art. 41, Co. 4, LR. C. 27 Dicembre 2012, n. 6); L.R. C. n. 12 del 21 Aprile 2015; art. 9, L.R. C. 2 Dicembre 2016, n. 40; nell'art. 16, Co. 6, L.R. C. 27 Dicembre 2016, n. 44. 3) VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 2041 e 2042 C.C. E DELL'ART. 1, COMMA 10, D.L. 27.08.1993, N. 324, CONVERTITO DALLA L. 27.10.1993, N. 423, IN RELAZIONE ALL'ART. 360, C. 1, N° 3, C.P.C. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 C.c. riguardo alla domanda subordinata di indennizzo per indebito arricchimento rigettata dalla Corte d'Appello, avendo la medesima Corte erroneamente escluso la ricorrenza del requisito della "sussidiarietà", trascurando quanto previsto dall'art. 1, comma 10, D.L. 27.08.1993, n. 324, convertito dalla L. 27.10.1993, n. 423, prevedente che la ricorrente ha azione solo contro la Regione C. (quale "ente finanziatore") e non anche contro l’A.S.P.; 4) NULLITÀ DELLA SENTENZA IMPUGNATA E DEL PROCEDIMENTO AD ESSA SOTTESO, PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 345, 352, 189, 153 COMMA 2, e 294 C.P.C., IN RELAZIONE ALL'ART. 360, C. 1, N° 4, C.P.C. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata e del relativo procedimento ex artt. 345, 352, 189, 153 comma 2, e 294 C.p.c., per aver ritenuto ammissibile (e meritevole di accoglimento) la domanda avanzata dalla Regione C. di condanna della parte appellata e dei difensori "alla restituzione delle somme loro versate", benché avanzata solo in sede di precisazione delle conclusioni, e per aver ritenuto del pari ammissibile ed utilizzabile ai fini della 6 di 12 decisione la documentazione prodotta dalla Regione, benché genericamente richiamata e prodotta nella stessa sede di precisazione delle conclusioni. 5) NULLITÀ DELLA SENTENZA IMPUGNATA PER VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 111 COST, 112 E 132 C.P.C., 118 DISP. ATT. C.P.C., ATTESA LA MOTIVAZIONE MERAMENTE APPARENTE E APODITTICA DELLA STESSA, IN RELAZIONE ALL'ART. 360 N. 4 C.P.C. Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata e del relativo procedimento ex artt. 111 Cost., 112 e 132 C.p.c. e 118 Disp. Att. C.p.c., nella parte in cui ha accolto la domanda avanzata dalla Regione, in sede di precisazione delle conclusioni, di condanna della parte appellata e dei relativi difensori antistatari alla restituzione delle somme loro versate, avendo ritenuto provato il versamento in favore dell'odierna ricorrente e dei relativi difensori antistatari delle somme di cui veniva richiesta la ripetizione sulla base di una motivazione apparente e di fatto inesistente. 6) VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DELL'ARTT. 2697 C.C. IN RELAZIONE ALL'ART. 360, C. 1, N° 3, C.P.C. Con il sesto motivo, la ricorrente denuncia la illegittimità della sentenza nella parte in cui, in dispregio dell'art. 2697 c.c-, ha posto a carico della ricorrente l'onere di provare che le ordinanze di assegnazione a cui la stessa Corte d'Appello allude non sono andate a buon fine e che dunque le somme previste dall'ordinanza decisoria di primo grado non sono state pagate dalla Regione. 7) NULLITA DELLA SENTENZA IMPUGNATA PER VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 24 E 111 COST., 93 e 101 C.P.C., 2909 C.C., NELLA PARTE IN CUI CONDANNA ALLA RESTITUZIONE I LEGALI 7 di 12 DISTRATTARI DELL'ODIERNA RICORRENTE BENCHÈ NON PARTI DEL GIUDIZIO, IN RELAZIONE ALL'ART. 360, C. 1, N. 4, C.P.C. Con il settimo motivo, la ricorrente denuncia la illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui, in dispregio del diritto costituzionale di difesa (art. 24 Cost.) e del principio del contraddittorio (art. 111 Cost.) sancito anche dall'art. 101 C.p.c., ha condannato i difensori distrattari nel giudizio di primo grado alla restituzione di tutte le somme ricevute in adempimento dell'ordinanza di condanna pronunciata dal Giudice di primo grado, benché gli anzidetti legali non fossero parti del giudizio d'appello. I motivi di ricorso, da trattarsi unitariamente, sono tutti infondati. Infatti le questioni sollevate dalla ricorrente sono state già esaminate da questa Corte in numerose sentenze, relative ad analoghe controversie aventi ad oggetto il pagamento del corrispettivo di prestazioni sociosanitarie rese da strutture accreditate nell'ambito della Regione C. e poste parzialmente a carico del Fondo Sociale Regionale. Questa Corte con recente pronuncia (Cass. n. 18604/2020) ha affermato il seguente principio di diritto: « Al di fuori dei casi in cuisia la stessa legge a prevedere l'instaurazione di rapporti con i terzi, in virtù dell'inerenza dell'atto all'esercizio di funzioni proprie o all'intervento diretto nelle vicende di enti dipendenti, la Regione rimane normalmente estranea alla concreta gestione dei servizi socio-sanitari, essendo titolare di competenze riguardanti esclusivamente la sfera della programmazione, del coordinamento e della vigilanza sugli enti operanti nel settore; pertanto, in mancanza di un'espressa disposizione di legge che lo consenta, non sono ad essa riferibili in via diretta gli effetti degli atti posti in essere dai predetti enti nell'esercizio delle rispettive funzioni. Va confermato, quindi, che in base all'art. 7 della I.r. n. 23 del 2003 (riferibile 8 di 12 esclusivamente ai rapporti finanziari interni all'area dei servizi sociosanitari) e all'art. 13 della Lr. n. 24 del 2008 (attributivo alle Asl della competenza in ordine alla stipulazione dei contratti con le strutture accreditate), i contratti di gestione socio sanitaria riferibili alle ASL non svolgono alcun effetto nella sfera giuridica e patrimoniale della Regione». Anche nel presente giudizio, la domanda trae origine da una convenzione stipulata tra l'attrice e l'Asp di C. ai sensi dell'art. 3 della legge regionale 7 agosto 2002, n. 29, e dell'art. 13 della legge regionale 18 luglio 2008, n. 24, con cui, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, la regione C. provvide dapprima a disciplinare gli accordi per l'acquisizione di prestazioni di assistenza ospedaliera con i soggetti, pubblici e privati, provvisoriamente accreditati, e in seguito a dettare la disciplina definitiva in materia di autorizzazione, accreditamento, accordi contrattuali e controlli delle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private; la stipulazione di tale convenzione, avvenuta senza la partecipazione della regione, non può essere ritenuta idonea a giustificare l'imposizione a carico della stessa della quota-parte del corrispettivo delle prestazioni rese dalla struttura gestita dalla società attrice, in virtù di quanto disposto dalla legge regionale n. 23 del 2003 e successive modificazioni. In forza di detta disciplina, come integrata dall'art. 13 della I.r. n. 24 del 2008, correttamente la Corte d'appello in particolare ha ritenuto che la regione, non avendo partecipato alla stipulazione della convenzione, fosse estranea e non tenuta a rispondere per la quota del corrispettivo posta a carico del Fondo sociale in mancanza della sottoscrizione del direttore generale del Dipartimento regionale delle politiche sociali, prescritta dalla citata delibera n. 685 del 2002; difatti l'art.13, secondo comma, della L.R. n. 24 del 2008 che demanda in via esclusiva alle 9 di 12 aziende sanitarie la definizione degli accordi con le strutture pubbliche e private, sia pure sulla base dei piani annuali preventivi e della valutazione dei bisogni di prestazioni, nell'ambito dei livelli di spesa e dei livelli assistenziali stabiliti dalla programmazione regionale, cosicché alla stregua di tale disposizione il contratto, stipulato per iscritto dal soggetto deputato allo scopo,non era da considerare idoneo a produrre effetti anche nella sfera della regione, quanto alla corresponsione della quota imputata al Fondo sociale regionale. Come rilevato nel precedente citato del 2020, questa Corte, in altre analoghe fattispecie sempre riferite alla regione C., ha già evidenziato come, nonostante sia stata contraddetta da un'unica decisione dissonante (Cass. n.11258/2020) la assolutamente prevalente giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare che la disciplina che demanda alle Asl (o Asp) ogni potere d'intervento diretto in materia di assistenza socio-sanitaria, ivi compresa l'instaurazione di rapporti contrattuali con le strutture pubbliche e private chiamate a rendere le relative prestazioni in regime di accreditamento, riserva alla regione i soli compiti di programmazione, coordinamento e vigilanza, tra i quali è compresa anche la ripartizione tra le Asl delle risorse economiche necessarie per l'effettuazione dei predetti interventi, cosicché deve escludersi che l'esecuzione delle prestazioni rese dalla società attrice in favore degli assistiti abbia potuto far sorgere obbligazioni a carico della regione, essendo questa rimasta estranea alla stipulazione della convenzione con l'Asp di C. e priva di ogni competenza al riguardo; come già in altre circostanze osservato, non rileva in contrario il richiamo della sentenza impugnata all'art. 7 della legge regionale n. 23 del 2003, che ha posto a carico del Fondo sociale regionale una quota del corrispettivo delle predette prestazioni, trattandosi di una disposizione 10 di 12 «che, oltre ad essere stata superata dalla successiva evoluzione legislativa, non poteva comportare una responsabilità diretta a carico della Regione nei confronti delle strutture accreditate, essendo destinata ad assumere rilievo esclusivamente sul piano interno dei rapporti finanziari tra la Regione e l'Asl competente per territorio» (Cass. n. 11924/2017). Invero, dando continuità all'orientamento espresso nella n. 18604/2020 (conf. a Cass. 38191/2021, 7745/2020, Cass. 2237/2016),anche a voler ritenere che la Regione non potesse, con un proprio atto amministrativo, stabilire le condizioni di validità degli accordi in questione, i cui requisiti soggettivi andavano individuati sulla base delle competenze previste dalla disciplina legislativa di settore, dovrebbe comunque escludersi la possibilità di desumere dalla stipulazione degli stessi l'avvenuta instaurazione di un rapporto diretto con la regione, e il conseguente obbligo di quest'ultima di provvedere, sia pure parzialmente, al pagamento delle rette. In ordine alla condanna dei difensori antistatari di restituzione di quanto ricevuto, occorre richiamare il consolidato principio per cui: “”In tema di distrazione delle spese ai sensi dell'articolo 93 cod. proc.civ., allorché sia riformata in appello la sentenza, costituente titolo esecutivo, di condanna alle spese in favore del difensore della parte vittoriosa, il soggetto tenuto alla restituzione delle somme pagate a detto titolo è il difensore antistatario, quale parte del rapporto intercorrente tra chi ha ricevuto il pagamento non dovuto e chi lo ha effettuato, il quale ha diritto ad essere indennizzato dell'intera diminuzione patrimoniale subita e cioè alla restituzione della somma corrisposta, con gli interessi dal giorno del pagamento>> (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8215 del 04/04/2013; Cass. Sez. 11 di 12 L, Sentenza n. 1526 del 27/01/2016; più recentemente Cass.sez.6, nr. 6225/2022) . Quanto poi all’ordine di restituzione di somme ricevute in adempimento della sentenza di primo grado (quarto motivo), questa Corte con Sez. 1 - , Ordinanza n. del 29/10/2020 ha affermato che: “Nel giudizio di appello l'istanza di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, che peraltro può anche essere disposta d'ufficio dal giudice, non integra una domanda nuova ex art. 345 c.p.c. in quanto conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata; ne discende che, ove il pagamento sia intervenuto durante il giudizio di impugnazione, detta istanza può essere formulata in qualunque momento, anche nell'udienza di discussione della causa, in sede di precisazione delle conclusioni, oppure nella comparsa conclusionale (Vedi anche Cass. Sez. 1, sent. n. 11491 del 16/05/2006). Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso è infondato e deve essere rigettato con condanna della ricorrente alle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano a favore del controricorrente in euro 5.200,00 complessive per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento , agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge IVA e CPA. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso .