Giu Il termine di decadenza biennale entro il quale può essere chiesto il rimborso dell'IVA indebitamente corrisposta all'Amministrazione finanziaria trova applicazione anche ove una norma interna sia stata dichiarata incompatibile con il diritto dell'UE
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - SENTENZA 08 agosto 2023 N. 24194
Massima
“Il termine di decadenza biennale previsto dall'art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, entro il quale può essere chiesto il rimborso dell'IVA indebitamente corrisposta all'Amministrazione finanziaria trova applicazione, in mancanza di una disciplina specifica, anche ove una norma interna sia stata dichiarata incompatibile con il diritto dell'Unione Europea, in quanto detto termine, come affermato dalla stessa Corte di Giustizia, non è contrario ai principi di equivalenza e di effettività, in quanto consente ad un soggetto normalmente diligente di far valere i propri diritti” (v. Cass. n. 4150 del 2018)

Casus Decisus
Con atto notarile del 4 marzo 1994, la S.vendeva a “Il P. s.r.l”. un complesso immobiliare, emettendo fattura comprensiva di IVA al 19% del prezzo di cessione pattuito, per un importo di lire 389.500.000, pari ad euro 201.159,96. La S.provvedeva al pagamento integrale dell’imposta, mentre la P. s.r.l. portava in detrazione l’IVA anzidetta. Con avviso di accertamento del 27 ottobre 1995, l’Ufficio contestava a “Il P.” la detrazione IVA, riqualificando l’operazione negoziale alla stregua di cessione d’azienda, soggetta all’imposta proporzionale di registro ai sensi dell'2, comma 3, lett. b), d.P.R. n. 633 del 1972. La CTP di Livorno accoglieva il ricorso di “Il P. s.r.l.” e confermava la detraibilità dell’IVA. La CTR della Toscana, con sentenza n. 150/27/00, del 25 novembre 2000, accoglieva l’appello erariale, disconoscendo la detrazione. La Corte di Cassazione, con sentenza del 10 ottobre 2008, confermava la decisione d’appello. Il concessionario della riscossione notificava, dunque, a P. s.r.l. cartella di pagamento, con la quale chiedeva il pagamento dell’IVA indebitamente detratta nonché le relative sanzioni ed interessi. Di poi, “Il P.” provvedeva al pagamento richiestole, quindi chiedeva formalmente a S.la restituzione della somma di euro 201.159,96, indebitamente versata a titolo di IVA. A seguito di detta richiesta, la S.formulava nei confronti dell’Agenzia delle entrate istanza di rimborso dell’IVA incongruamente addebitata a “Il P.”. L’istanza veniva rigettata, sul presupposto dell’avvenuto decorso del termine di decadenza biennale previsto dall’art. 21, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992. Il diniego in questione veniva impugnato dalla S.davanti alla CTP di Livorno, che rigettava il ricorso. Pure il successivo appello della contribuente veniva respinto. La S.affida il proprio ricorso a cinque motivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita al solo fine di partecipare all’udienza di discussione. In esito all’udienza pubblica del 17 settembre 2019, il Collegio ha emesso ordinanza interlocutoria, rinviando la causa a nuovo ruolo in funzione dell’acquisizione del fascicolo di merito dinanzi alla CTR. La nuova udienza pubblica si è svolta il 21 febbraio 2023. Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mauro Vitiello, ha concluso per iscritto chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V CIVILE - SENTENZA 08 agosto 2023 N. 24194 Bruschetta Ernestino Luigi

1.Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 21 d.lgs. n. 546 del 1992, per avere la CTR erroneamente trascurato di considerare che il termine ex art. 21, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 per il rimborso dell’IVA decorre da quando la S.– a seguito di intimazione alla restituzione 4 di 14 dell’IVA erroneamente addebitata alla cessionaria – ha avuto formale conoscenza della pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione del 10 ottobre 2008, emessa nei confronti di P. s.r.l..

2.Con il secondo motivo di ricorso, la contribuente censura, ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza, l’omessa pronuncia o totale contraddittorietà o apparenza della motivazione, per avere la CTR mancato di considerare che il termine ex art. 21, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 per il rimborso dell’IVA decorre da quando la S.– a seguito di intimazione alla restituzione dell’IVA erroneamente addebitata alla cessionaria – ha avuto formale conoscenza della pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione del 10 ottobre 2008, emessa nei confronti di P. s.r.l..

3.Con il terzo mezzo di ricorso, la contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza e la violazione del principio stabilito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza C-427/10 in relazione al rimborso IVA indebitamente pagata, posto che, in virtù della sentenza della Corte comunitaria essa doveva ritenersi rimessa in termini ai fini del rimborso, non potendo restare incisa dall’IVA erroneamente applicata.

4.Con la quarta censura, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione o falsa applicazione dell’art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992 e degli artt. 100 e 112 c.p.c. nonché la violazione del principio stabilito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza C-427/10 in relazione al rimborso dell’IVA indebitamente pagata, posto che, in virtù della sentenza della Corte comunitaria essa doveva ritenersi rimessa in termini ai fini del rimborso, non potendo restare incisa dall’IVA erroneamente applicata.

5.Con il quinto ed ultimo motivo, la contribuente contesta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti nonché la violazione del principio stabilito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza C-427/10 in relazione al rimborso dell’IVA indebitamente pagata, posto che, in virtù della sentenza della Corte comunitaria essa doveva ritenersi rimessa in termini ai fini del rimborso, non potendo restare incisa dall’IVA erroneamente applicata.

6.I primi due motivi di ricorso, avvinti da intima connessione, si offrono ad una trattazione unitaria, che li rivela privi di pregio e meritevoli di reiezione.

7.Questa Corte, con orientamento sedimentato, ha da tempo riconosciuto che, nel sistema dell'IVA, soggetto passivo del tributo, e quindi legittimato a richiederne il rimborso, ove il pagamento non sia dovuto, è – ai sensi dell’art. 17 d.P.R. n. 633 del 1972 – il cedente del bene o il prestatore del servizio, non già il cessionario od il committente, i quali ultimi, in quanto soggetti solo economicamente incisi e consumatori finali, rimangono estranei al rapporto con l'Amministrazione finanziaria (v. ex multis Cass. sez. un. n. 13446 del 1991 in motivazione; Cass. sez. un. n. 12590 del 1991 e, più di recente, Cass. n. 3306 del 2004; Cass. n. 8786 del 2001, in motivazione).

8.Segnatamente, si è più volte sottolineato che i tre rapporti derivanti dall'effettuazione di un'operazione imponibile – quello tra fisco e cedente, in relazione al pagamento dell'imposta; quello tra cedente e cessionario, in relazione alla rivalsa; quello, infine, tra fisco e cessionario, in relazione alla detrazione dell'imposta assolta in via di rivalsa – ancorchè collegati, non interferiscono tra loro, con la conseguenza che, come deve escludersi che il cedente possa opporre al cessionario, che agisca in restituzione, l'avvenuto versamento dell'imposta, così deve escludersi che l'Amministrazione possa opporre al cedente, che agisca per il rimborso, il fatto che questo si sia rivalso sul cessionario e non abbia restituito a costui l'imposta: è sufficiente, pertanto, ai fini del rimborso al cedente, l'avvenuto pagamento dell'imposta da parte di quest'ultimo e l'inesistenza della causa solvendi, senza che rilevi in contrario finanche l'ipotetica eventuale condotta illecita del cedente, che trattenga per sè quanto sia obbligato a restituire al cessionario perché indebitamente ricevuto (Cass. n. 5733 del 1998; Cass. n. 2868 del 2000; Cass. n. 272 del 2001 e Cass. n. 8783 del 2001).

9.Il rapporto tra l'erario ed il cessionario è irrilevante in questa sede, data la sottolineata autonomia, in tema di IVA, dei rapporti derivanti dall'effettuazione di un'operazione imponibile. Su queste premesse, resta, in altri termini, eccentrica alla fattispecie oggetto di causa la questione – pure adombrata nel ricorso per cassazione – concernente la detraibilità, da parte del cessionario, dell'IVA addebitata in rivalsa, nonostante l'erroneo assoggettamento ad imposta dell'operazione da parte del cedente.

10. Nel quadro ora in esame, per l'ipotesi di indebito tributario in materia di IVA, il ricorso alla procedura di variazione di cui all'art. 26 d.P.R. n. 633 del 1972, per la rettifica di inesattezze della fatturazione, costituisce una modalità di recupero dell'indebito rimessa alla libera scelta del contribuente, il quale può legittimamente optare per l'esercizio dell'azione generale di rimborso (come dimostrato, tra l'altro, nonostante l'impiego nell'articolo del verbo "deve", dalle speciali disposizioni che, nell'escludere - nel caso particolare di modifica legislativa dell'ammontare delle aliquote - l'incidenza delle variazioni già apportate sulle operazioni già concluse, non si sono limitate a negare la possibilità di effettuare le variazioni di cui al citato art. 26, secondo comma, ma hanno negato anche la possibilità di ottenere rimborsi di imposte pagate, con ciò implicitamente ammettendo la concorrenza alternativa, di norma, dell'azione generale di rimborso con quella della procedura di variazione in discorso: art. 75, secondo comma, della l. n. 413 del 1991 e art. 8, comma 36, l. n. 67 del 1988) (v. Cass. n. 3602 del 1990; Cass. n. 12543 del 1992; Cass. n. 11083 del 1996; Cass. n. 5427 del 2000).

11. Il credito di rimborso nasce da indebita applicazione di imposta (IVA in luogo della imposta di registro in misura proporzionale ex art. 2, comma 3, lett. b), d.P.R. n. 633 del 1972 "Non sono considerate cessioni di beni b) le cessioni che hanno per oggetto aziende, compresi i complessi aziendali relativi a singoli rami dell'impresa;..."), versata nel 1984, e pertanto, trattandosi di domanda di rimborso non rientrante tra quelle previste dall’art. 30 d.P.R. n. 633 del 1972, rimane soggetta al termine di "decadenza" biennale dell’art. 16, comma 6, d.P.R. n. 636 del 1972, come sostituito dall’art. 7 d.P.R. n. 739 del 1981, non trovando applicazione il termine ordinario di "prescrizione" dei diritti, relativo alla azione comune di restituzione dell’indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. (v. Cass. n. 16477 del 2004; Cass. n. 8461 del 2005; Cass. n. 27057 del 2008; Cass. n. 12433 del 2011, con riferimento alla analoga disposizione dell’art. 21, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992).

12. La predetta disposizione riprodotta nell’art. 21, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, vigente al tempo della stipula dell'atto pubblico e del pagamento dell'indebito (1994), stabilisce infatti che "In caso di versamento diretto o qualora manchino o non siano stati notificati gli atti indicati nel primo comma, il contribuente che ritiene di aver diritto a rimborsi ne fa istanza all'ufficio tributario competente nei termini previsti dalle singole leggi d'imposta o, in mancanza di disposizioni specifiche, entro due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui sia sorto il diritto alla restituzione"; non essendo prevista una specifica disciplina dei termini di rimborso per l'IVA, la restituzione dell'indebito oggetto della presente controversia, rimaneva regolata, pertanto, da tale 8 di 14 disposizione tributaria (v. Cass. n. 15840 del 2006 che, puntualmente rileva come, nell'ordinamento tributario viga, per la ripetizione del pagamento indebito, un regime speciale basato sull'istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta (in specie, per i rimborsi di versamenti diretti attinenti alle imposte sui redditi, dall’art. 38 d.P.R. n. 602 del 1973) o, comunque, in difetto, dalle norme sul contenzioso tributario (art. 16, comma 6, d.P.R. n. 636 del 1972 e, ora, art. 19, comma 1, lett d, e art. 21, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992), regime che impedisce, in linea di principio, l'applicazione della disciplina prevista per l'indebito di diritto comune).

13. Ne discende, da un lato, che all'istituto del rimborso su istanza di parte deve riconoscersi carattere di regola generale in materia tributaria – idonea, come tale, ad orientare anche l'interprete –, e, dall'altro, che le norme che contemplano l'istituto del rimborso ufficioso (che, ove applicabile, esclude ovviamente l'operatività del primo), data la loro natura eccezionale, vanno considerate di stretta interpretazione (v. Cass. n. 3662 del 2004).

14. La CTR ha rigettato l’appello sul presupposto dell’intervenuta decadenza dal diritto di invocare il rimborso, facendo applicazione di una norma che, in quanto posta a favore della Amministrazione finanziaria ed a tutela di diritti indisponibili dello Stato (esigenza di assicurare la stabilità delle entrate tributarie entro un periodo di tempo definito), è suscettibile di rilievo finanche "ex officio" (v. Cass. n. 3670 del 2012; Cass. n. 317 del 2015), qualora le circostanze di fatto (data di versamento della imposta; data di inoltro della istanza di rimborso) risultino acquisite al giudizio e non occorra procedere ad ulteriori accertamenti in fatto (v. Cass. n. 5862 del 2013; Cass. n. 24226 del 2004).

15. In definitiva, l’istanza di rimborso, avuto riguardo all’avvenuto versamento diretto dell’imposta, andava presentata all'ufficio tributario competente dal contribuente che avesse ritenuto di averne diritto, nel termine, in mancanza di disposizioni specifiche, di due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui sia sorto il diritto alla restituzione.

16. Orbene, in relazione all’operazione di che trattasi, rientrante in un'ipotesi di cessione di azienda ai sensi dell’art. 2 d.P.R. n. 633 del 1972, come tale assoggettabile alla sola imposta di registro, il diritto alla restituzione dell'IVA erroneamente versata dal cedente, venendo in rilievo un pagamento indebito sin dall'origine, sorgeva già con il versamento, sicchè era da tale data che iniziava a decorrere il termine biennale per la domanda di rimborso di cui al detto art. 16 (rectius art. 21), non sussistendo norme specifiche applicabili al caso che occupa.

17. Nè rileva, in proposito, l'incertezza soggettiva sul diritto al rimborso, che è questione di mero fatto, non incidente sulla possibilità giuridica di ripetere l'indebito e, quindi, sulla decorrenza del termine, in base al principio generale di cui all'art. 2935 c.c. (v. Cass. n. 3306 del 2004), dovendo farsi, in conseguenza, esclusivamente riferimento alla data del versamento, ai fini della individuazione del "dies a quo" di decorrenza del termine biennale di decadenza, non rilevando al riguardo fatti od eventi sopravvenuti, non costituenti ostacolo giuridico all'esercizio del diritto al rimborso (v. Cass. n. 12447 del 2011). È del resto noto che, anche nel caso di tributi costituzionalmente illegittimi od in contrasto (sin dall'origine) con l'ordinamento comunitario, la domanda di ripetizione decorre – di norma – dalla data del pagamento e non dalla sentenza dichiarativa dell'illegittimità costituzionale o della contrarietà all'ordinamento comunitario.

18. Dall'esame degli atti del fascicolo di ufficio e, in particolare, da quanto confermato nel ricorso per cassazione, risulta che il pagamento dell'IVA è stato eseguito dalla cedente nel 1994. La istanza di rimborso dell'indebito, trasmessa all'Ufficio finanziario in data 22 novembre 2010, è stata, pertanto, presentata oltre il termine di decadenza biennale di cui all’art. 21, comma 2, d.P.R. n. 636 del 1972, di talchè il rilievo pregiudizialmente effettuato dalla CTR in ordine alla decadenza in parola, quindi alla conseguente estinzione del diritto fatto valere in giudizio dall’odierna ricorrente si rivela corretto, non ricorrendo alcun impedimento giuridico all'esercizio del diritto al rimborso dell'indebito.

19. Il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso, intimamente correlati, vanno anch’essi trattati unitariamente e, palesandosi infondati, esigono il rigetto.

20. Giova rilevare che nel caso di specie l’odierna ricorrente ha emesso fattura con addebito IVA per la cessione d’azienda effettuata in favore della “P.”. Successivamente la cessionaria, a fronte del diniego di rimborso dell'IVA assolta, giusta provvedimento con cui l'Ufficio ha ritenuto trattarsi di prestazioni non soggette ad IVA, ma ad imposta di registro, ha chiesto alla S.la restituzione dell’ammontare dell'IVA pagata. A sua volta la S.ha chiesto il rimborso dell'IVA al competente Ufficio, che ha rigettato l’istanza in quanto presentata oltre il termine di decadenza biennale di cui all’art. 21, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992.

21. Anche con riferimento ai motivi di censura primo, secondo e terzo, necessita richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il rimborso dell'IVA indebitamente versata (nelle ipotesi non disciplinate dall’art. 30 d.P.R. n. 633 del 1972) soggiace al termine di decadenza ex art. 21, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, a norma del quale la domanda di restituzione di un'imposta non dovuta, "in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione" - piuttosto che al termine ordinario di prescrizione decennale previsto per l'indebito oggettivo, ex artt. 2033 e 2946 c.c. (v. Cass. n. 23552 del 2014; Cass. n. 1578 del 2014; Cass. n. 9818 del 2012). Al riguardo la Corte di Giustizia – anche nella pronuncia evocata nella rubrica dei tre mezzi di ricorso ora in esame (Corte giust. 15 dicembre 2011, causa C-427/10) – ha osservato che, in mancanza di una disciplina eurounitaria in materia di ripetizione di imposte nazionali indebitamente riscosse, in realtà spetta proprio all'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro prevedere termini di prescrizione o decadenza per la presentazione delle domande di rimborso, alla sola condizione che si tratti di termini ragionevoli e non lesivi dei principi di effettività e non discriminazione (cfr. anche Corte giust. 21 gennaio 2010, causa C- 472/08). Il giudice eurounitario ha anche incisivamente evidenziato che un termine di decadenza biennale, come quello in discussione, è da ritenersi ragionevole (Corte giust, 8 maggio 2008, causa C-95/07 e C-96/07).

22. Orbene, su queste premesse, merita soggiungere che sotto il profilo dell'effettività, questa Corte ha ritenuto che il soggetto legittimato può chiedere all'amministrazione finanziaria il rimborso dell'IVA anche dopo il decorso del termine di decadenza ex art. art. 21, comma 2, cit, nel solo caso in cui abbia a sua volta rimborsato l'imposta al committente – il che mutatis mutandis vale anche, per identità di ratio, con riferimento al cessionario – in esecuzione di un provvedimento coattivo; ciò conformemente a quanto affermato dalla Corte di giustizia con la richiamata sentenza del 15 dicembre 2011 (in procedimento C- 427/10), per cui il principio di effettività del diritto comunitario non osta ad una normativa nazionale in materia di ripetizione dell'indebito che preveda un termine di prescrizione per il committente più lungo di quello di decadenza previsto per il prestatore del servizio, a meno  che il soggetto passivo resti completamente privato del diritto di ottenere dall'Amministrazione finanziaria il rimborso dell'IVA non dovuta, ma solo se questo ha ad oggetto l'imposta che "egli stesso ha dovuto rimborsare al committente dei suoi servizi" in forza di un comando imperativo, e non già per qualsiasi imposta della quale il committente pretenda o abbia preteso il rimborso, nè per quella che il prestatore abbia rimborsato spontaneamente (Cass. n. 25988 del 2014; Cass. n. 12666 del 2012; Cass. n. 6600 del 2012).

23. Poste queste basi, sulla decorrenza del termine di decadenza biennale in questione si richiama il consolidato orientamento di questa Corte, per cui, a fronte del testo normativo, che fa decorrere il dies a quo "dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione", la seconda ipotesi non ricorre nè in presenza di successive risoluzioni dell'amministrazione finanziaria sull'interpretazione della normativa applicata, in quanto inidonee a costituire un diritto prima insussistente (Cass. n. 1578 del 2014; Cass. n. 12447 del 2011), nè in presenza di una pronuncia con cui la norma in virtù della quale sia stata pagata l'imposta venga dichiarata in contrasto con il diritto dell'Unione europea da una sentenza della Corte di giustizia, da momento che l'efficacia retroattiva di una simile pronuncia – analoga a quella che assiste la declaratoria di illegittimità costituzionale – incontra il limite dei rapporti esauriti, appunto ipotizzabile allorchè sia maturata una causa di prescrizione o decadenza, trattandosi di istituti posti a presidio del principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche (Cass. n. 27281 del 2014). In tali termini si sono espresse pure le Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui, nell'ipotesi in cui un'imposta sia stata pagata in base ad una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell'Unione europea, non possono invocarsi i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di overruling al fine di giustificare la decorrenza del termine decadenziale del diritto al rimborso dalla data della pronuncia della Corte di giustizia, in luogo della data in cui venne effettuato il versamento o venne operata la ritenuta, prevalendo in tal caso l'esigenza di certezza delle situazioni giuridiche, che, specie in materia di entrate tributarie, resterebbe vulnerata da una sostanziale protrazione a tempo indeterminato dei relativi rapporti (Cass. sez. un. n. 13676 del 2014).

24. Se dunque è questa la soluzione giuridica da applicare alle ipotesi più radicali di un pagamento effettuato in base a norme che lo imponevano, ma che in un secondo momento sono state dichiarate in contrasto con l'ordinamento eurounitario (o costituzionale), essa deve a maggior ragione valere per l'ipotesi integrata dalla fattispecie concreta, nella quale la S.non ha (a tutt’oggi) ancora restituito alla “P.” l’importo dell’IVA indebitamente addebitatale in fattura.

25. Giova anche riaffermare, in ultima analisi, il seguente principio di diritto: “Il termine di decadenza biennale previsto dall'art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, entro il quale può essere chiesto il rimborso dell'IVA indebitamente corrisposta all'Amministrazione finanziaria trova applicazione, in mancanza di una disciplina specifica, anche ove una norma interna sia stata dichiarata incompatibile con il diritto dell'Unione Europea, in quanto detto termine, come affermato dalla stessa Corte di Giustizia, non è contrario ai principi di equivalenza e di effettività, in quanto consente ad un soggetto normalmente diligente di far valere i propri diritti” (v. Cass. n. 4150 del 2018).

26. Alla reiezione delle censure consegue il rigetto del ricorso. Nulla va disposto sulle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla dispone sulle spese.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione