Giu Questione di legittimità e nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto opposto possa proporre una domanda nuova, diversa da quella avanzata nella fase monitoria
Corte di Cassazione, sez. I Civile - Ordinanza interlocutoria 17 luglio 2023 N. 20476
Massima
La Sezione Prima civile, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto per la remunerazione di prestazioni sanitarie, ha disposto, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite delle seguenti questioni di massima di particolare importanza, ritenute sino ad ora non espressamente affrontate e suscettibili di porsi in un numero rilevante di casi: a) se nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto opposto possa proporre una domanda nuova, diversa da quella avanzata nella fase monitoria, anche nel caso in cui l'opponente non abbia proposto una domanda o una eccezione riconvenzionale e si sia limitato a sollevare eccezioni chiedendo la revoca del decreto opposto; b) più in particolare, se ed entro quali limiti possa considerarsi ammissibile la modificazione della domanda di adempimento contrattuale avanzata con il ricorso per decreto ingiuntivo, attraverso la proposizione di una domanda d'indennizzo per l'ingiustificato arricchimento o di una domanda di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale.

Casus Decisus
1. L'Azienda Sanitaria Locale di Viterbo e la Regione Lazio convennero separatamente in giudizio il Gruppo R. S.r.l., in qualità di gestore della Casa di cura di N., proponendo opposizione al decreto ingiuntivo n. 1912/ 12, emesso il 31 gennaio 2012, con cui il Tribunale di Roma aveva intimato loro il pagamento della somma di Euro 818.324,06, oltre interessi legali, a titolo di corrispettivo dovuto per le prestazioni sanitarie erogate in favore degli assistiti nel secondo semestre dell'anno 2007 e nell'anno 2008. A sostegno delle opposizioni, le attrici eccepirono il difetto di legittimazione passiva e l'infondatezza della domanda, sostenendo che le prestazioni eccedevano il tetto massimo di spesa autorizzato. 1.1. Con due distinte sentenze, emesse rispettivamente il 12 gennaio e il 17 febbraio 2016, il Tribunale di Roma accolse le opposizioni, dichiarando il difetto di legittimazione delle opponenti. 2. Sugli appelli separatamente interposti dal Gruppo R., spiegò intervento nel giudizio la COIS S.r.l., in qualità di procuratrice speciale della IHC 1908 S.r.l., cessionaria dei crediti del Gruppo R. Riunite le impugnazioni, la Corte d'appello di Roma le ha rigettate con sentenza del 9 febbraio 2022. A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso la violazione dell'art. 269 cod. proc. civ., in relazione alle chiamate in causa reciprocamente proposte dalle opponenti, rilevando che, sebbene le stesse non fossero state autorizzate, in quanto effettuate con gli atti di opposizione, le attrici non avevano avanzato alcuna domanda l'una nei confronti dell'altra, ed escludendo che dalla citazione fosse scaturito alcun pregiudizio per le parti. Nel merito, la Corte ha ritenuto applicabile il principio della ragione più liquida, rilevando che non risultava contestata l'avvenuta effettuazione delle prestazioni oltre il limite del budget ed in assenza dell'accreditamento, il quale costituisce il presupposto indefettibile per l'imposizione a carico del Servizio Sanitario delle prestazioni erogate dalle strutture private. Ha quindi confermato il rigetto della domanda di pagamento proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo, ritenendo invece inammissibili le domande di risarcimento per responsabilità precontrattuale e d'indennizzo per ingiustificato arricchimento avanzate dal Gruppo R. nella comparsa di costituzione in primo grado, in quanto non conseguenti ad una domanda riconvenzionale proposta dalle opponenti, convenute in senso sostanziale. Ha ritenuto comunque infondate le predette domande, osservando che la fissazione del limite di spesa e la mancata previsione dei criteri di remunerazione delle prestazioni eccedenti trovano giustificazione nella necessità di rispettare il vincolo delle risorse pubbliche disponibili, mentre l'esecuzione di prestazioni oltre il predetto limite dà luogo ad un arricchimento imposto, in ordine al quale è precluso l'esercizio dell'azione di cui all'art. 2041 cod. civ. 3. Avverso la predetta sentenza il Gruppo R. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sei motivi. Hanno resistito con controricorsi la Regione e l'Asl di Viterbo, che ha depositato anche una memoria.

Testo della sentenza
Corte di Cassazione, sez. I Civile - Ordinanza interlocutoria 17 luglio 2023 N. 20476 A. Valitutti

1. Preliminarmente, si rileva che, sebbene l'intestazione della sentenza impugnata non rechi l'indicazione del Gruppo Ro.Ri. tra le parti del giudizio di secondo grado, dalla narrazione della vicenda processuale nella stessa contenuta risulta che la predetta società vi ha partecipato, in qualità di appellante, mentre la C. S.r.l. vi ha spiegato intervento ai sensi dell'art. 111 cod. proc. civ., in qualità di procuratrice dell'IHC 1908, cessionaria del credito controverso. Poiché alla costituzione in giudizio di quest'ultima non ha fatto seguito l'estromissione della cedente, la stessa deve considerarsi legittimata a proporre ricorso per cassazione, in qualità di dante causa a titolo particolare e parte soccombente, cui spetta una legittimazione concorrente con quella del successore (cfr. Cass., Sez. I, 20/11/2019, n. 30189; Cass., Sez. II, 11/ 05/2000, n. 6038; 30/12/1997, n. 13120). La mancata indicazione del suo nominativo tra quelli delle parti del giudizio d'appello non comporta poi la nullità della sentenza impugnata, non essendosi verificata alcuna violazione del contraddittorio, ma essendo l'omissione ascrivibile ad un mero errore materiale, che non determina alcuna incertezza nell'individuazione dei soggetti cui la decisione si riferisce, ed è pertanto suscettibile di correzione mediante la procedura di cui agli artt. 287 e 288 cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. VI, 18/ 07/2019, n. 19437; Cass., Sez. I, 25/09/2017, n. 22275; Cass., Sez. III, 28/ 09/2012, n. 16535).

2. Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 156, 159 e 269 cod. proc. civ., sostenendo che, nel ritenere ammissibili le chiamate in causa reciprocamente proposte dalle opponenti, la sentenza impugnata non ha considerato che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo la chiamata in causa di un terzo da parte dell'opponente richiede necessariamente l'autorizzazione del giudice, la cui mancanza, rilevabile anche d'ufficio, si traduce in un vizio del contraddittorio, che impone la rimessione della causa al primo giudice. Aggiunge che il pregiudizio derivante dalle chiamate in causa deve considerarsi in re ipsa, dal momento che l'adesione del terzo alla posizione del chiamante ha reso più gravosa quella della controparte, non potendosi stabilire la misura in cui le difese svolte dal terzo hanno inciso sul convincimento del giudice.

3. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 112 e 276, secondo comma, cod. proc. civ., rilevando che, per effetto dell'applicazione del criterio della ragione più liquida, la Corte territoriale ha omesso di pronunciare in ordine alla questione concernente la legittimazione passiva delle opponenti, il cui esame rivestiva carattere prioritario rispetto a quello del merito, trattandosi di questione pregiudiziale di rito. Sostiene che la legittimazione della Regione trova fondamento nell'art. 1, comma decimo, del d.l. 27 agosto 1993, n. 324, convertito con modificazioni dalla legge 27 ottobre 1993, n. 423, applicabile anche ai rapporti sorti anteriormente al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, il quale prevede l'accentramento dei sistemi di pagamento, facendo salva la possibilità di delega ad altro soggetto, la cui prova è a carico dell'erogatore delle prestazioni.

4. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 6, comma sesto, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 e dell'art. 21 della legge della Regione Lazio 3 marzo 2003, n. 4, osservando che, nell'escludere la sussistenza del credito, la sentenza impugnata ha erroneamente ricostruito il quadro normativo di riferimento, non avendo considerato che, in attesa del riordino del Servizio sanitario nazionale disposto con il d.lgs. n. 502 del 1992, le Regioni avevano avviato procedure di accreditamento anche per le strutture accreditate temporaneamente, destinate a concludersi entro un termine fissato per il 1° gennaio 2010 e più volte prorogato fino al 31 ottobre 2014. Aggiunge che, nell'ambito del sistema transitorio introdotto dall'art. 6, comma sesto della legge n. 724 del 1994, si era diffusa la prassi dell'instaurazione di rapporti convenzionali anche con strutture private non accreditate, ma solo autorizzate, la quale era stata tollerata dalla stessa Regione Lazio, che ne aveva fatto divieto soltanto a seguito dell'approvazione del piano di riordino della rete ospedaliera, avvenuta con decreto del 30 settembre 2010.

5. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 167, secondo comma, 183, quinto comma, e 645, secondo comma, cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibili le domande di risarcimento dei danni per responsabilità precontrattuale e d'indennizzo per l'ingiustificato arricchimento, senza considerare che la proposizione delle stesse, avvenuta con la comparsa di costituzione tempestivamente depositata, trovava giustificazione nelle difese svolte dalle opponenti, che avevano contestato l'esistenza e la validità del rapporto contrattuale.

6. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., rilevando che la Corte d'appello ha omesso di pronunciare in ordine al motivo di gravame riflettente l'omessa pronuncia del Giudice di primo grado in ordine alla domanda di risarcimento proposta ai sensi dell'art. 1337 cod. civ. Sostiene che nella specie sussistevano tutti i presupposti necessari per l'accoglimento di tale domanda, avendo la Casa di Cura provveduto all'erogazione delle prestazioni in virtù del legittimo affidamento riposto nella conclusione dei contratti, in considerazione della qualità delle controparti e dello stadio cui erano pervenute le trattative, tale da far apparire il recesso ingiustificato e quindi contrario alla correttezza ed alla buona fede.

7. Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1337 e 2041 cod. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto configurabile un arricchimento imposto, in contrasto con la volontà espressamente manifestata dall'Asl mediante la richiesta delle prestazioni, fino ad allora remunerate a carico del bilancio aziendale, e con la prosecuzione ininterrotta del rapporto, esplicitamente tollerata dalla Regione fino all'approvazione del piano di riordino della rete ospedaliera.

8. Così riassunte le censure mosse alla sentenza impugnata, si osserva, in riferimento alla questione sollevata con il quarto motivo, che, nell'escludere l'ammissibilità delle domande di risarcimento dei danni per responsabilità precontrattuale e d'indennizzo per l'ingiustificato arricchimento, la sentenza impugnata ha richiamato l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nell'ordinario giudizio di cognizione che si instaura a seguito della opposizione a decreto ingiuntivo, l'opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio, salvo il caso in cui, per effetto di una domanda riconvenzionale formulata dall'opponente, egli si venga a trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto, cui non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione (eventuale) di una reconventio reconventionis (cfr. Cass., Sez. III, 10/03/2021, n. 6579; Cass., Sez. II, 25/02/2019, n. 5415; Cass., Sez. I, 22/06/2018, n. 16564). Tale principio, avente una portata non circoscritta alle azioni di cui agli artt. 1337 e 2041 cod. civ., ma riferibile a qualsiasi domanda diversa da quella avanzata con il ricorso per decreto ingiuntivo, trovava giustificazione, per quanto riguarda in particolare la domanda d'indennizzo per l'ingiustificato arricchimento, nella sottolineatura della diversità strutturale e tipologica della stessa rispetto a quella di adempimento contrattuale: si osservava infatti che tali azioni, attinenti entrambe a diritti eterode terminati, si differenziano sia per il petitum, costituito nel primo caso dal pagamento del corrispettivo pattuito e nel secondo dal riconoscimento di un indennizzo pari alla diminuzione patrimoniale subìta dall'impoverito, che per la causa petendi, identificata rispettivamente nel fatto costitutivo dell'obbligazione e nell'ingiustificata locupletazione di una delle parti a detrimento della altra (cfr. Cass., Sez. Un., 27/12/2010, n. 26128; Cass., Sez. II, 4/07/2018, n. 17482); in virtù di tale diversità, si riteneva d'altronde, in linea più generale, che nel giudizio ordinario di cognizione instaurato mediante la proposizione della domanda di adempimento contrattuale quella d'indennizzo per l'ingiustificato arricchimento rivestisse carattere di novità, e se ne escludeva pertanto la proponibilità, a fronte di una condotta difensiva del convenuto articolatasi nella mera proposizione di eccezioni (cfr. Cass., Sez. I, 19/10/ 2016, n. 21190; 2/08/ 2007, n. 17007; Cass., Sez. III, 15/04/2010, n. 9042). Il predetto indirizzo, costantemente ribadito fino ad epoca piuttosto recente, ha costituito peraltro oggetto di rimeditazione, a seguito di una nota pronuncia delle Sezioni Unite, con cui, a modifica di un orientamento anche esso consolidato, è stata riconosciuta la possibilità di modificare, nella memoria di cui all'art. 183 cod. proc. civ., la domanda originariamente proposta ai sensi dell'art. 2932 cod. civ. in quella di accertamento dell'avvenuta produzione dell'effetto traslativo, affermandosi che la modificazione della domanda consentita dall'art. 183 cit. può riguardare uno solo o anche entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), purché la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che perciò solo si determini una compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali (cfr. Cass., Sez. Un., 15/06/2015, n. 12310; nel medesimo senso, successivamente, Cass., Sez. III, 14/02/2019, n. 4322; Cass., Sez. VI, 25/ 05/2018, n. 13091). A sostegno di tale conclusione, sono state addotte una pluralità di ragioni, sinteticamente individuabili a) nella disciplina dell'udienza di cui all'art. 183 cod. proc. civ., non recante un esplicito divieto di domande nuove, paragonabile a quello previsto dall'art. 345 cod. proc. civ. per il giudizio d'appello, b) nel tenore letterale dell'art. 189 cod. proc. civ., che in caso di rimessione della causa al collegio pone a carico del giudice il dovere d'invitare le parti a precisare le conclusioni «nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell'art. 183», c) nell'essenza delle modificazioni consentite dall'art. 183, ravvisabile non già nel fatto che esse non possono incidere sugli elementi identificativi della domanda originaria, ma nel fatto che le domande modificate si sostituiscono a quest'ultima, ponendosi in rapporto di alternatività rispetto ad essa, d) nella conseguente, implicita rinuncia alla domanda originaria, ritenuta non più corrispondente agl'interessi delle parti, in relazione alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio. Tali considerazioni sono state in seguito estese anche al caso della domanda d'indennizzo per l'ingiustificato arricchimento proposta a modifica di un'originaria domanda di adempimento contrattuale, essendosi rilevato che le due domande si riferiscono alla medesima vicenda sostanziale, attengono al medesimo bene della vita, tendenzialmente inquadrabile in una pretesa di contenuto patrimoniale, e sono legate da un rapporto di connessione per incompatibilità non solo logica, ma addirittura normativamente prevista, stante il carattere sussidiario dell'azione di arricchimento (cfr. Cass., Sez. Un., 13/09/2018, n. 22404; negli stessi termini, successivamente, Cass., Sez. III, 3/12/2020, n. 27620). Il principio secondo cui la modificazione consentita dall'art. 183 cod. proc. civ. può riguardare entrambi gli elementi identificativi della domanda è stato ritenuto infine applicabile anche al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in riferimento al quale si è affermato che il convenuto opposto può proporre con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata una domanda nuova, diversa da quella posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, anche nel caso in cui l'opponente non abbia proposto una domanda o un'eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezioni chiedendo la revoca del decreto opposto, qualora tale domanda si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attenga allo stesso sostanziale bene della vita e sia connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta, ciò rispondendo a finalità di economia processuale e di ragionevole durata del processo, e dovendosi riconoscere all'opposto, quale attore in senso sostanziale, la possibilità di avvalersi delle stesse facoltà di modifica della domanda riconosciute, nel giudizio ordinario, all'attore formale e sostanziale dall'art. 183 cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. I, 24/03/2022, n. 9633). E' in quest'ottica, nonché in virtù della sottolineatura dell'esistenza di un rapporto di connessione per incompatibilità tra la domanda di cui all'art. 2041 cod. civ. proposta in via subordinata e quella principale di adempimento contrattuale, che una recente pronuncia di questa Corte ha ritenuto ammissibile una modificazione della domanda anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (cfr. Cass., Sez. III, 9/02/2021, n. 3127), in tal modo pervenendo sostanzialmente alla conclusione che in tale giudizio, al pari di quanto accade in quello ordinario, il convenuto, in qualità di attore in senso sostanziale, può modificare la domanda avanzata nella fase monitoria, introducendo una domanda d'indennizzo per l'ingiustificato arricchimento, e ciò indipendentemente dall'atteggiamento difensivo assunto dal convenuto, il quale si sia limitato a resistere mediante eccezioni, astenendosi dal proporre domande riconvenzionali. La dissonanza di tale principio da quello costantemente ribadito nelle precedenti decisioni e l'insussistenza di analoghe pronunce in materia di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale, poste anche in relazione con l'importanza della questione, avente uno spiccato rilievo nomofilattico, in quanto suscettibile di riproporsi in un numero di casi tutt'altro che circoscritto, rendono evidente l'opportunità di un approfondimento della problematica in esame, tale da giustificare la rimessione degli atti al Primo Presidente, ai sensi dell'art. 374 cod. proc. civ., affinché valuti la sussistenza dei presupposti per l'assegnazione della causa alle Sezioni Unite, cui vanno sottoposti i seguenti quesiti: a) in via generale, se nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto opposto possa proporre una domanda nuova, diversa da quella avanzata nella fase monitoria, anche nel caso in cui l'opponente non abbia proposto una domanda o una eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezioni chiedendo la revoca del decreto opposto; b) in particolare, se ed entro quali limiti possa considerarsi ammissibile la modificazione della domanda di adempimento contrattuale avanzata con il ricorso per decreto ingiuntivo, attraverso la proposizione di una domanda d'indennizzo per l'ingiustificato arricchimento o di una domanda di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale.

P.Q.M.

rimette gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma l'8/02/2023